sabato 27 Aprile 2024

Tra i ghiacciai dell’Ecuador: testimoni sofferenti della crisi ecologica

Marco ha 68 anni, barba lunga e capelli grigi. Lo incontro nella sua casetta, ai piedi della montagna più alta dell’Ecuador, il Taita Chimborazo, di 6.310 metri di altezza. Un gigante di roccia e ghiaccio che si impone maestoso nella provincia che assume il suo nome. La prima volta che Marco salì sulla vetta del Chimborazo aveva 13 anni. La sua vita si è svolta in simbiosi con questa montagna sacra, di cui mantiene un ricordo e conoscenze che ormai si stanno perdendo, insieme al ghiacciaio che va ritirandosi.

La cosmovisione andina

[Bosco di Polylepis, nell’arenal del Chimborazo (4300 mt). Il Polylepis è una pianta millenaria tipica dei paramo, in via di estinzione.]
Insieme al Chimborazo, Cotopaxi è uno dei vulcani più alti in Ecuador (Paese che ne conta in totale 98, di cui 31 attivi e 7 masse glaciali). Un gigante di pietra e ghiaccio. La sua vetta raggiunge i 5.897 metri di altezza e la sua potenza di lava e fumo ha distrutto più volte la città di Latacunga, alle sue pendici.

La leggenda narra che questo vulcano ghiacciato, uno dei guerrieri più potenti della cosmovisione andina, combatté per molti anni con eruzioni, terremoti e nuvole di fumo contro l’avversario Chimborazo per conquistare l’amata rubacuori Tungurahua. Il Taita (padre) Chimborazo, la montagna più alta del Paese, fu il vincitore e riuscì a sposare il vulcano Tungurahua. Dalla loro unione nacque il Guagua (bambino) Pichincha che, quando piange, fa diventare irrequieta la mamma vulcano, di 5.023 metri di altezza, che inizia a buttare fumo e ad agitarsi.

Nella cosmovisione indigena, la terra, o Pacha Mama (madre terra) è un essere vivente. Gli esseri che la abitano, come le montagne, i vulcani e i ghiacciai, sono esseri viventi e, come tali, hanno le loro storie, i loro amori e i loro sentimenti. La tradizione andina, nella quale la parola “ghiacciai” non esiste, colloca queste “montagne innevate” nel mondo soprannaturale. Non sono “deserti bianchi” ma luoghi ricchi di vita, occupati da divinità ancestrali che, a seconda del popolo che ne parla, acquisiscono nomi e storie diverse. Lungo tutte le Ande le comunità hanno sempre cercato di ottenere la loro benedizione attraverso rituali, culti e offerte, compresi sacrifici umani praticati durante il periodo Inca. Si cercava così di ottenere i loro favori, come acqua sufficiente per coltivare e condizioni favorevoli per un buon raccolto, per permettere la sopravvivenza della comunità.

La scomparsa dei ghiacciai

[Cayambe (5790 mt), ghiacciaio Chiridormida (il “glaciar hermoso”).]
I ghiacciai in Ecuador stanno scomparendo. Sembra che le divinità che vi abitavano abbiano abbandonato quelle distese bianche, ormai in fase di ritiro e cambiamento. Il 54% dei ghiacciai è sparito negli ultimi 60 anni, passando da 92 km quadrati agli attuali 43. La causa principale è il riscaldamento globale, figlio della crisi ecologica e climatica. Ci sono sette masse glaciali in Ecuador, per un totale di circa 110 lingue glaciali: tutte stanno mostrando le conseguenze della crisi in atto.

La Mama Tungurahua, la “gola di fuoco”, non ha più ghiaccio. La sua cima è una distesa di terra e neve, ma il suo ghiacciaio è stato tra i primi a scomparire completamente. Il Carihuairazo è un vulcano alto 5.020 metri. Il suo nome in kichwa, una delle lingue più antiche della regione, significa “uomo del vento e della neve”. È stato uno dei primi grandi ghiacciai a sparire. Il suo volume si è ridotto del 92% dal 1956: oggi misura appena 30.000 metri quadrati e si prevede che scomparirà completamente nel prossimo decennio. Il vulcano Cayambe è la terza montagna più alta, coi suoi 5.230 metri di altezza a picco sull’equatore. Poco più di 25 anni fa i suoi 20 ghiacciai, spessi e maestosi, si estendevano per chilometri: ora la maggior parte si sta ritirando completamente (il 40% è andato perso nel corso di una generazione), lasciando sempre più spazio a rocce e terra. L’Antisana è il più grande massiccio glaciale dell’Ecuador, che contava 15,3 km quadrati nel 1997. I suoi ghiacciai hanno già perso il 50% della loro superficie. L’Illiniza Sur, un’altra delle più maestose montagne del Paese, vedrà scomparire completamente la sua distesa innevata nei prossimi dieci anni. Bolivar Careces, uno dei principali glaciologi dell’Ecuador, ritiene che tutti i ghiacciai andini al di sotto dei 5.000 metri spariranno entro i prossimi 10-15 anni se l’aumento della temperatura si manterrà su 1° centigrado. Prospettiva sin troppo ottimista, se si considera che gli scienziati sperano ormai di rimanere sotto l’1,5 °C di aumento. Tutti i ghiacciai ecuadoriani stanno restringendosi a grande velocità. «Sin dalle culture più antiche, prima degli Inca, il Chimborazo è sempre stata considerata una montagna sacra, un luogo divino. Si veniva in pellegrinaggio, venivano a chiedere i favori, a chiedere buone relazioni con gli spiriti che vivevano la montagna… si facevano sacrifici, offerte e ci sono moltissimi luoghi archeologici intorno al nevado del Taita Chimborazo». Marco è salito centinaia di volte su quelle vette. Ha visto ghiacciai estinguersi ed altri ridursi violentemente. Negli anni ’60 erano ben poche le persone interessate a queste dinamiche: fu solo a partire dagli anni ’80 che si iniziò a guardare alla perdita dei ghiacciai come a un problema. «Negli anni ’80, quando costruimmo il rifugio Whymper, sul Chimborazo, ricordo che ci mettevamo i ramponi direttamente nel rifugio, che stava al bordo della lingua del ghiacciaio, giusto lì! E oggi questo ghiacciaio si è ritirato, ha perso tutto… tutta la lingua. Ora c’è solo una piccola lingua a 5700 metri di altezza da quel lato e questo è drammatico. Sta succedendo in tutti i 18 ghiacciai del Chimborazo. Sappiamo che negli ultimi 50 anni più del 50% della superficie del ghiacciaio è scomparsa, è retrocessa di oltre 600 metri in mezzo secolo».

Le conseguenze dello scioglimento

[Cotopaxi (5897 mt) e cordigliera orientale, viste dalla cima del Ruco Pichincha. Sotto la città di Quito.]
I ghiacciai nel mondo coprono circa il 10% della superficie terrestre, ma immagazzinano più del 70% delle riserve di acqua potabile. Sono regolatori del clima, fondamentali per l’equilibrio del ciclo mondiale dell’acqua e parte integrante degli ecosistemi di ogni continente. Fungono da immense riserve idriche, assorbendo la neve d’inverno e rilasciandola sotto forma d’acqua d’estate durante il disgelo, assicurando così a fiumi e ruscelli una costante portata d’acqua, fondamentale per la vita in tutte le sue forme. Agricoltura, allevamento e produzione energetica dipendono dal corso dei fiumi alimentato dai ghiacciai; in moltissimi luoghi l’esistenza di milioni di persone e animali fa affidamento su questi grandi bacini situati sulle vette delle montagne. L’approvvigionamento idrico di molte città, anche se apparentemente situate lontane dai giganti innevati, dipende dall’acqua dei ghiacciai. Se questi ultimi scomparissero, l’equilibrio idrogeologico mondiale rischierebbe il collasso. Secondo alcuni studi, se l’aumento della temperatura globale aumenterà di 1.5 °C rispetto al livello preindustriale, entro il 2100 lo scioglimento quasi totale della maggior parte dei ghiacciai provocherà inondazioni, alluvioni e periodi di siccità, oltre che un innalzamento del livello d’acqua degli oceani di quasi mezzo metro. Se si scioglierà anche la calotta polare artica e i ghiacci permanenti della Groenlandia, le conseguenze saranno devastanti per tutto il pianeta, con cambi delle correnti oceaniche, perdita degli ecosistemi millenari che popolano i mondi artici e un innalzamento del livello dell’acqua pari ad alcuni metri. Fare delle previsioni esatte è difficile, certo, ma le conseguenze già in atto sono visibili in molte parti del mondo. In Ecuador innanzitutto. Inoltre, l’esistenza stessa dei ghiacciai rappresenta un freno al surriscaldamento globale, in quanto questi sono capaci di riflettere (e non assorbire) la luce del sole. Nel momento in cui i ghiacciai dovessero sparire, il cambiamento climatico potrebbe subire un’accelerazione.

«Io non ho una conoscenza scientifica, accademica». Marco non ha studiato all’università o altro. «Quello che vedo e riscontro è la distruzione degli ecosistemi, tanto nella montagna dove vive il paramo (il complesso ecosistema delle Ande, ndr.) così come nella selva umida e piovosa dell’Amazzonia, fino alla costa del Pacifico, o ai boschi nebbiosi sud tropicali. Sono testimone di come, in questi 50 anni, i boschi andini siano stati distrutti, nell’ovest come nella parte orientale dell’Ecuador, per essere trasformati in zone di coltivazione e pastorizia. Molta gente è emigrata. Gli alberi millenari, i polilepis, sono ormai quasi scomparsi. Il paramo è stato devastato per far spazio a campi e allevamenti». Nella cosmovisione andina, come dicevamo, tutto è uno, tutto è interconnesso. Lo storico portoghese Luis Ribeiro Tabares riassume molto bene il pensiero andino preispanico: «Per l’uomo andino tutto ciò che esiste è costituito in un’unità, che è formata dalle stelle, dal sole, dalla luna, dagli esseri umani, dagli alberi, dagli animali, dalle montagne, dai fiumi, dalle rocce, ecc. Tutti questi elementi hanno vita e stabiliscono una relazione costante e permanente. Quindi, per mantenere un rapporto armonioso tra l’uomo e la natura, era necessario un dialogo costante tra tutti gli elementi della natura e l’uomo». Un dialogo che è andato sgretolandosi fino a diventare imposizione e ricerca di dominio dell’uomo su tutte le altri specie viventi e sulla natura.

Questa mentalità e questa pratica disarmonica sono ciò che sta causando i disastri ecologici e climatici che osserviamo oggi. Di certo sappiamo che il 92% dei ghiacciai in Colombia è scomparso completamente negli ultimi 150 anni, con un ritmo del 3% all’anno. Tra pochi anni, di questo passo, nel Paese non vi saranno più nevi permanenti. Il Venezuela diventerà il primo Paese dell’America Latina a rimanere senza ghiacciai. L’ultimo sopravvissuto è il Pico Humboldt, che è passato da avere 337 ettari di ghiaccio nel 1910 a 4 ettari nel 2022. In 50 anni, secondo i calcoli sono scomparsi circa 10 miliardi di tonnellate di ghiaccio in tutto il pianeta. Anche nella regione delle Alpi, i dati sono spaventosi: i ghiacciai hanno perso qui un sesto del loro volume totale nel corso di quattordici anni. Tra il 2000 e il 2014 sono scomparsi 22 chilometri cubi di ghiaccio alpino. In 40 anni, un terzo della superfice ghiacciata si è sciolta e, nel solo 2022 si parla di 300 milioni di metri cubi di ghiaccio. Uno dei peggiori ritiri degli ultimi cento anni.

Le cause sono varie: le sempre maggiori emissioni di CO2 nell’atmosfera a causa delle attività industriali umane; l’intensiva combustione di carboni fossili; il processo di deforestazione che sta massacrando tutte le ultime foreste sul globo, con conseguente minore assorbimento della CO2 nell’atmosfera. Per quanto riguarda i ghiacciai in America Latina, tra le cause vi sono gli incendi della foresta amazzonica e la conseguente dispersione delle ceneri, i disboscamenti selvaggi per creare allevamenti e agricoltura intensiva, le eruzioni vulcaniche. Le conseguenze della perdita di questi giganti bianchi non sono solo spirituali e filosofiche, ma molto pratiche. Milioni di persone hanno acqua e terreni fertili grazie ai ghiacciai; altri milioni sopravvivono nelle città sudamericane per merito dei fiumi e torrenti che scaturiscono da quelle montagne, che altrimenti vivrebbero lunghi periodi di siccità. Enorme l’impatto anche sulla perdita di biodiversità, che interesserà soprattutto la fauna acquatica e dei dintorni dei manti innevati. Le Ande tropicali, infatti, ospitano circa 3.400 specie di animali vertebrati, che vedranno cambiare l’ecosistema in cui vivono. Anche le specie vegetali verranno minacciate dalla scomparsa dei ghiacciai andini. Si parla di circa 30.000 specie vegetali endemiche che popolano la regione che saranno a rischio di sopravvivenza. Lo scioglimento dei ghiacciai contribuisce oggi a quasi il 5% dell’innalzamento globale del livello del mare osservato, contribuendo a cambiare la temperatura dell’acqua e quindi a influenzare la vita di migliaia di specie marine.

Perdita delle tradizioni

[Antisana (5753 mt) con Curiquingues (rapace andino) in primo piano.]
Riti e tradizioni sono anch’esse ormai specie in via di estinzione. Alcuni rituali si stanno mantenendo, laddove sopravvivono le comunità andine che resistono all’invadente cultura capitalista occidentale. Ma in molte zone le tradizioni si stanno abbandonando. Quella simbiosi che esisteva tra umano e natura resiste, ma sempre in meno realtà. Marco ricorda anche come da piccolo il sincretismo religioso che mischiava la tradizione animista e la religione cattolica si vedevano quotidianamente, come attraverso il commercio di ghiaccio che era fiorente a Riobamba, la sua città natale. «Prendere il ghiaccio dalla montagna è una tradizione europea e araba, non è di qua. Fu introdotta in Ecuador per preservare il cibo, per conservare le cose, dagli spagnoli quando arrivarono a colonizzare. In tutte le montagne c’era gente che faceva questo lavoro obbligatorio di bajar el hielo dal Chimborazo. Li chiamavano los neveros… si portava il ghiaccio a Quito, a Riombamba, perfino a Ipiales. In Riobamba era molto comune quando ero piccolo, in casa mia non abbiamo mai avuto il frigo, né l’acqua calda. Questo uso del ghiaccio proveniente da un luogo sacro si mescolò a poco a poco con altre credenze cattoliche, come quella della comunione. Quando celebriamo la comunione ci alimentiamo del corpo di Cristo. E questo è sincretismo, che si esplicitò nel ghiaccio del Chimborazo, che rimane la rappresentazione di Dio, della divinità, parte della comunione. Si mantenne per molto tempo questa tradizione, nonostante arrivarono le fabbriche che producevano il ghiaccio, che era più economico. Era un privilegio fare questo, portare giù il ghiaccio. C’erano poche persone che potevano farlo, delle comunità indigene: avevano un ruolo speciale che consentiva loro di arrivare ai piedi della divinità, e facevano offerte come il cuy negro, si offrivano regali alla montagna per farsi ricevere. Negli ultimi 25 anni, le cose sono cambiate. Piano piano questa pratica si è persa, con l’uso del ghiaccio artificiale e con la perdita delle tradizioni e di identificazione culturale». Sospira profondamente. «Rimase come attrazione turistica, una mala pratica del turismo. Alcune persone, che
erano indigene e due volte a settimana salivano sul Chimborazo, invece di usare bene questo privilegio che avevano lo convertirono in una offerta turistica, per salire a prendere il ghiaccio per i turisti».

Chi ha memoria, non dimentica ciò che è stato. Marco rimarrà lì, ai piedi del gigante più alto dell’Ecuador, un guardiano di altri tempi a protezione del Chimborazo, il guerriero che per millenni ha protetto le comunità andine. E che ora, necessita protezione.

[testo di Monica Cillerai, foto di Antonio Giacometti]

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