venerdì 13 Dicembre 2024

Milano, a processo per aver pubblicato post pro-Palestina: la storia di Moustafà

La persecuzione giudiziaria nei confronti di chi manifesta supporto alla causa palestinese non accenna a fermarsi. Dopo la vicenda dell’uomo residente a Roma, colpito da perquisizione domiciliare e licenziato dal lavoro, raccontata in esclusiva da L’Indipendente pochi giorni fa, riportiamo di seguito quanto accaduto a Moustafa, nato in Italia e di origini egiziane, 28 anni, residente a Milano. Per via dei post pubblicati sui suoi profili social, nei quali è evidente il supporto alla Palestina e la critica al sionismo, Moustafa si trova ora indagato per art. 270 bis c.p. (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico), antisemitismo e incitamento alla jihad (o guerra santa). Il suo profilo social è stato al momento sospeso e il ragazzo è in attesa del processo, che inizierà non si sa quando.

A ricostruire quanto accaduto è lo stesso Moustafa, che ha raccontato a L’Indipendente come alle cinque del mattino dello scorso 20 ottobre una decina di poliziotti della Digos, i volti coperti dal passamontagna, si siano presentati nel suo appartamento, abbiano riunito tutta la famiglia nel salotto e abbiano perquisito l’intera abitazione «in cerca di armi o bombe». Inizialmente gli agenti hanno sequestrato i dispositivi di tutti, «così che nessuno ha potuto fare video o chiamare un avvocato». Una volta terminata la perquisizione, ai familiari sono stati restituiti i dispositivi elettronici, mentre i suoi sono rimasti sequestrati per circa due mesi. A quanto riportato dal ragazzo, l’ordine di perquisizione è partito dopo che i contenuti del suo profilo Instagram hanno suscitato l’attenzione delle forze dell’ordine. Da quando è iniziata l’aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza, spiega Moustafa, «ho difeso Hamas a a spada tratta, perchè per me si tratta di partigiani che cercano di liberare il proprio Paese, esattamente come hanno fatto i vostri partigiani. Non mi interessa se voi li chiamate terroristi. Erano terroristi anche i partigiani? Io sono egiziano, erano terroristi anche i miei nonni che hanno combattuto contro gli inglesi? Anche Erdogan sta dicendo le stesse cose, ed è presidente di un Paese membro della NATO, consideriamo anche lui un terrorista?». Per questi motivi Moustafa risulta al momento indagato per associazione con finalità di terrorismo, oltre che essere accusato di antisemitismo e incitamento alla jihad. «Se il mio nome fosse stato Mario Rossi non mi avrebbero mai rivolto l’accusa di inneggiare alla jihad», ironizza. «Allora tutti gli italiani che stanno manifestando in sostegno della Palestina stanno incoraggiando la guerra santa?».

La procura ha trovato le posizioni di Moustafa “chiaramente apologetiche nei confronti di Hamas”, come si legge nel decreto di perquisizione (che L’Indipendente ha avuto modo di visionare), “di evidente connotazione antisemita e che lasciano trasparire una evidente volontà e determinazione ad intraprendere il jihad”, in funzione del quale il ragazzo “asserisce di prepararsi anche dal punto di vista fisico”. Inoltre, si aggiunge che “le predette pubblicazioni evidenziano che il giovane egiziano, oltre ad abbracciare totalmente la causa palestinese approvando le azioni di Hamas, non nasconde il proprio desiderio di martirio combattendo per la medesima causa”. A tal proposito, Moustafa spiega: «avevo condiviso una storia che riportava che circa 300 mila soldati riservisti provenienti da tutto il mondo erano partiti a combattere per IsraHell [IsraHell è una crasi tra la parola Israele e quella inglese Hell, ovvero inferno, ed è un termine considerato indicatore di pregiudizio antisemita, nda] e i media li indicavano come “coraggiosi eroi”… Al che preso dalla rabbia e inorridito dall’ipocrisia sotto gli occhi di tutti, ho posto un quesito: se io avessi desiderato partire per combattere per la Palestina, quegli stessi media e quella stessa società mi avrebbero considerato un eroe o un terrorista? Quindi ho postato una foto dopo un allenamento scrivendo “allenamento costante per annientare IsraHell” e da lì loro hanno ipotizzato un mio “desiderio di martirio”».

Per il tribunale, “i post segnalati dalla Questura di Roma non rappresentano una temporanea esternazione di un fervente musulmano sull’onda emotiva dei recenti accadimenti”, ma, “attestano un sedimentato sentimento antisemita” e un “fanatismo parossistico che rende il soggetto particolarmente pericoloso”. In questo modo, il giovane “si pone come pericoloso punto di riferimento e potenziale volano per tutti coloro che inneggiano e propugnano una nuova deriva jihadista in medio-oriente e che valutano intimamente una sorta di upgrade ideologico, rendendosi disponibili a passare all’azione, vuoi con comportamenti posti in essere autonomamente, vuoi aderendo alle varie chiamate al jihad che provengono da più parti del mondo islamico radicale”.

Non si sa ancora quando avrà inizio il processo contro Moustafa. Da questa vicenda, tuttavia, è possibile ricavare due spunti di riflessione. Il primo è che la lettura delle autorità dei fatti storici recenti appare ancora una volta schierata e appiattita su posizioni intrinsecamente faziose. Da quanto si legge nel documento, infatti, l’attività investigativa nel nostro Paese è stata intensificata “all’indomani dei tragici eventi di Israele” del 7 ottobre, che “hanno contribuito a rendere ancor più instabile il già precario equilibrio geopolitico medio orientale”. Quasi un secolo di oppressione palestinese, di colonizzazione illegale israeliana (è stata la stessa ONU a sancirlo), di violenze quotidiane e di lento genocidio della popolazione spariscono, cancellate dalla memoria storica, che si cristallizza su un particolare ignorando volutamente il contesto. In aggiunta a ciò, va detto che il processo a Moustafa è un processo alle idee ancor prima che ai fatti – una prassi nella storia recente, come dimostra il processo agli anarchici di Bezmotivni. Un po’ a suggerire che politica e giustizia costituiscono due campi separati solamente su carta.

[di Valeria Casolaro]

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4 Commenti

  1. Il problema è che da ambo le parti c’è chi difende e sostiene omicidi. Inneggiare a qualunque organizzazione che spinge alla guerra, alla uccisione di persone innocenti, ha un evidente problema psichico. E ritengo giusto che ci si accerti che queste persone non si spingano oltre, abbiamo sufficiente quota di dolore legata a guerre e terrorismo che aggiungere altro non può che incrementare il trauma collettivo. Non serve fare le vittime, piuttosto prendere atto delle proprie responsabilità. Ribadendo che ciò dovrebbe esser fatto per chi parteggia per la distruzione di persone da ambo le parti conflittuali.

    • Sono d’accordo con Te in toto. In teoria.
      Peccato che il tuo “ritengo giusto che si accerti…” prima di arrivare ad altri atti di violenza, imbecillità o terrorismo, è molto molto disequilibrato, NELLA PRATICA. E può giustificare una via fascistoide liberticida e di ingiustizia verso il più debole di turno e il non allineato al governo, alle ideologie dominanti.
      Quindi, come ben scritto nell’ultimo paragrafo dell’articolo, non si dovrebbe certo arrivare a giudizio (portare in tribunale) basandosi sul nulla. E non si dovrebbero allora aprire altre centinaia di pratiche giudiziarie nei confronti degli “ultrà” filo-israeliani sparsi in ogni dove; parlamento, salotti televisivi, social e giornali compresi?
      Dici: “ciò che dovrebbe essere fatto per chi parteggia per la distruzione da ambo le parti..”.
      Ne ho sentite eccome di persone dire che dovrebbero radere al suolo Gaza, far fuori tutti i palestinesi ecc..ecc…
      Allora che si fa? Caccia alle idee ed alle esternazioni (idiote, violente, ignoranti, paurose, estremiste ecc…)?

      Ribadisco il mio accordo con Te in teoria. Soprattutto quando dici che “non serve fare le vittime, piuttosto prendere atto delle proprie responsabilità.” Ma non si possono perseguitare le idee. L’emotività e l’immaturità umana. Se queste non portano a nulla di penalmente rilevante, un minimo concreto.
      C’è solo ipocrisia, a mio avviso, ingiustizia e tanta tanta strada da fare ancora.

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