domenica 28 Aprile 2024

Piena di petrolieri, snobbata da USA e Cina: la COP28 è già una farsa

Che il vertice delle Nazioni Unite sul clima fosse una farsa si era intuito già da un po’, ciononostante risultava difficile credere che si potesse fare ancora peggio. Quest’anno, invece, le contraddizioni e i potenziali conflitti di interesse sono stati persino messi alla luce del sole, in bella vista, davanti agli occhi di tutti. Il risultato è che, per farla breve, le decisioni che dovrebbero risolvere la crisi climatica sono state messe in mano a chi l’ha causata. La 28esima Conferenza delle Parti sul clima (COP28), avrà infatti luogo negli Emirati Arabi Uniti e sarà presieduta dal capo del colosso petrolifero della nazione. Il sultano Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della Abu Dhabi national oil company (ADNOC), avrà il compito di definire l’agenda della principale conferenza internazionale sulle questione climatiche, rivestendo un ruolo centrale nei negoziati finalizzati a raggiungere, in teoria, un consenso su punti come la riduzione delle emissioni di CO2 e l’abbandono progressivo dei combustibili fossili. Un’assurdità firmata Nazioni Unite che mina a quel poco di credibilità che rimaneva a detti negoziati. Certo, si potrebbe contestare affermando che della conversione energetica dovrebbe farsi carico proprio chi ha avuto le principali responsabilità climatiche, peccato però che le intenzioni sembrano andare tutt’altro che in tale direzione.

Partiamo col dire che gli Emirati Arabi Uniti sono il paese con i maggiori piani di espansione fossile al mondo. Un legame secolare, quello tra gli emiratini e il petrolio, che difficilmente verrà sciolto nel giro di qualche settimana. Come può una nazione con tali interessi spingere affinché le fonti energetiche che la sostengono vengano abbandonate in meno di 10 anni? Semplice: non può. Guardiamo poi alla azienda petrolifera statale degli Emirati, ADNOC, la quale, sebbene abbia i più grandi progetti a zero emissioni di qualsiasi altra azienda al mondo, impiegherebbe comunque oltre 300 anni per catturare tutte quelle che produrrà da qui al 2030. Ciononostante, il suo amministratore delegato, nonché presidente del Vertice, ha più volte sostenuto la cattura del carbonio come una delle soluzioni alla crisi climatica. Un primo timore è quindi che Al Jaber voglia utilizzare la COP28 per promuovere soluzioni tecniche, inutili e rischiose, anziché spingere per una rapida e necessaria riduzione della produzione di combustibili fossili e delle conseguenti emissioni climalteranti.

Ma non finisce qui. A quanto pare, il colosso fossile emiratino ha direttamente intenzione di sfruttare il vertice per concludere nientepopodimeno che nuovi accordi petroliferi. A rivelarlo è stata una recente fuga di documenti analizzata da alcuni quotidiani britannici. I documenti, ottenuti dal Centre for Climate Reporting, consistono in relazioni preparate dal team della COP28 prima dell’avvio dei colloqui. A far discutere, in particolare, vi sarebbero dei “punti di discussione” per 15 Paesi con i quali, in pratica, la compagnia fossile ADNOC vorrebbe collaborare per estrarre nuovi idrocarburi. Con la Cina, ad esempio, l’azienda si è detta “disposta a valutare congiuntamente le opportunità internazionali di GNL (gas naturale liquefatto)” in Mozambico, Canada e Australia. Nei documenti, ADNOC invita poi a comunicare, ad un ministro colombiano, che “è pronta” a sostenere la Colombia nello sviluppo delle sue risorse di combustibili fossili. Al ministro dell’Ambiente brasiliano è stato invece chiesto di aiutare a “garantire l’allineamento e l’approvazione” dell’offerta di ADNOC per la più grande società di lavorazione del petrolio e del gas dell’America Latina, Braskem. Al riguardo, un portavoce degli Emirati Arabi Uniti non ha negato di aver utilizzato le riunioni della COP28 anche per questioni d’affari, mentre ci ha tenuto a precisare che «gli incontri sono privati». Insomma, il vertice che dovrebbe portare allo stop definitivo dello sfruttamento delle fonti fossili diviene un’occasione per promuoverne l’espansione.

Parallelamente, sul piatto verrà almeno messo qualcosa di veramente utile nel contrasto ai cambiamenti climatici? A parole, sicuramente. La stessa ONU – nel documento che getta le basi per le discussioni – ha ad esempio dichiarato che l’esplorazione dei combustibili fossili dovrebbe cessare a livello globale entro il 2030 e che, sempre entro la stessa data, i finanziamenti per salvare i Paesi poveri dagli impatti della crisi climatica dovrebbero raggiungere i 400 miliardi di dollari all’anno. Dello stesso parere, l’Unione Europea, la quale ha scelto di difendere l’obiettivo più ambizioso, ovvero quello di ottenere un impegno globale sulla graduale uscita dalle fonti energetiche fossili. La buona notizia è che, finora, l’addio alle fossili non era mai stato inserito in un testo UE destinato ai negoziati sul clima. La cattiva è che, come al solito, è stata inclusa una scappatoia. “L’UE – si legge nel testo – promuoverà e chiederà sistematicamente un passaggio globale verso sistemi energetici privi di combustibili fossili non abbattuti ben prima del 2050”. In pratica, l’Unione chiede che si abbandonino solo le fonti fossili prodotte senza abbattimento delle emissioni, ossia, tutte quelle non associate agli ampiamente criticati sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio. Nel complesso, che le parole si tramutino in fatti è comunque tutt’altro che scontato. Basti pensare che né il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden né quello cinese Xi Jinping hanno in programma di partecipare all’evento internazionale sul clima. Manderanno sì i loro delegati, ma certo è che la loro decisione la dice lunga su quali siano le priorità delle nazioni più emissive al livello globale.

[di Simone Valeri]

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