domenica 28 Aprile 2024

Una stella morta è tornata in vita e gli scienziati non si spiegano come sia possibile

Solitamente le stelle si formano, crescono e muoiono in fenomenali esplosioni chiamate supernove, oppure si spengono come una fiaccola rimasta senza combustibile. Non è il caso del Diavolo della Tasmania, nome dato ad una stella situata in una galassia lontana circa un miliardo di anni luce dalla Terra che ha continuato a mostrare lampi di luce anche dopo la violenta esplosione che solitamente segna la fine della vita di tali corpi celesti. Il fenomeno è avvenuto tramite ciò che viene chiamato un “transiente ottico blu veloce e luminoso” (anche se, in questo caso, la parola “transiente” può risultare fuorviante, visto che la stella ha continuato ad emettere radiazioni anche dopo tre mesi). I risultati sono stati racchiusi in uno studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. La scoperta è avvenuta grazie al lavoro di 15 osservatori, inclusa la telecamera ad altra velocità ULTRASPEC montata sul telescopio nazionale thailandese e grazie al software sviluppato dalla coautrice e professoressa assistente della Cornell University Anna Ho. Proprio lei ha dichiarato: «Nessuno sapeva davvero cosa dire. Non avevamo mai visto nulla del genere prima: qualcosa di così veloce e la luminosità così forte come l’esplosione originale, mesi dopo».

Doveva svanire nel nulla dopo aver emesso un transiente ottico blu veloce e luminoso (LFBOT), ovvero un cataclisma massiccio e superpotente di recente scoperta che emette luce blu e che solitamente risulta più brillante delle supernove, ma che svanisce entro pochi giorni. Invece, la stella zombie (denominata ufficialmente AT2022sd) ha continuato ad emettere sporadiche esplosioni di luce della durata di alcuni minuti, potenti quanto quella iniziale, per oltre tre mesi: per essere precisi, ha emesso 14 bagliori significativamente simili a LFBOT in 120 giorni. Alcuni brillamenti sono durati solo decine di secondi, il che suggerisce agli scienziati che la causa sia un residuo stellare sottostante formato dall’esplosione iniziale, cioè una stella di neutroni o un buco nero. «Gli LFBOT emettono più energia di un’intera galassia di centinaia di miliardi di stelle come il Sole. Il meccanismo alla base di questa enorme quantità di energia è attualmente sconosciuto. Ma in questo caso, dopo lo scoppio iniziale e la dissolvenza, le esplosioni estreme hanno continuato a verificarsi, avvenendo molto velocemente, nell’arco di minuti, anziché settimane o mesi, come nel caso delle supernove» ha affermato il coautore dello studio Jeff Cooke, professore presso la Swinburne University of Technology in Australia e l’ARC Center of Excellence for Gravitational Wave Discovery, ente del Commonwealth all’interno del governo australiano che mira ad utilizzare le onde gravitazionali per indagare la natura fondamentale della gravità relativistica. Cooke ha poi concluso: «La luce viaggia a una velocità finita. Pertanto, la velocità con cui una fonte può esplodere e svanire limita le sue dimensioni, il che significa che tutta questa energia viene generata da una fonte relativamente piccola».

Anna Ho ha aggiunto: «Sorprendentemente, invece di svanire costantemente come ci si aspetterebbe, la fonte si è brevemente illuminata di nuovo, ancora e ancora. Gli LFBOT sono già una sorta di evento strano ed esotico, quindi questo è stato ancora più strano». Le ipotesi per ora sono due: potrebbe trattarsi di un buco nero (e, nel caso, l’oggetto celeste potrebbe espellere getti di materiale lanciandoli attraverso lo spazio ad una velocità prossima a quella della luce) oppure l’esplosione iniziale potrebbe non essere la conseguenza della morte della stella e potrebbe essere stata causata da un evento non convenzionale, come la fusione con un buco nero. In tutti i casi, come concluso da Ho, «rimane il fatto che il cadavere non è semplicemente seduto lì, è attivo e fa cose che possiamo rilevare» e che «questa scoperta ci insegna di più sugli vari modi in cui le stelle finiscono la loro vita e sugli esotici che popolano il nostro Universo».

[di Roberto Demaio]

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