venerdì 3 Maggio 2024

Le misure alternative al carcere non servono? I dati smentiscono il governo

Durante la sua visita alla casa circondariale Mammagialla di Viterbo, il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro ha riferito le – già note – intenzioni del Governo sulla questione delle carceri. L’esecutivo punterà a ripristinare ordine, legalità e sicurezza con l’assunzione di più agenti («abbiamo più di 5mila addetti ormai in formazione») dotati di kit anti sommossa, l’ammodernamento dell’edilizia penitenziaria e la costruzione di nuove strutture detentive. Attenzioni tutte focalizzate dunque sulle celle: secondo il sottosegretario, le misure alternative al carcere sono «belle ma inefficaci» perché non fanno capire al detenuto di aver sbagliato. Ma è davvero così? Per comprendere oggettivamente come stanno le cose, bisogna guardare ai dati e questi, inclusi quelli ufficiali rilevati da enti e dipartimenti dello Stato, mostrano una realtà molto diversa.

Da uno studio effettuato dal Direttore dell’Osservatorio delle misure alternative del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP), è emerso che la percentuale di recidivi fra coloro che scontano una pena in carcere è del 68,45%. Cifra che scende al 19% fra coloro che scontano una pena alternativa – le misure alternative o di comunità esistenti in Italia sono principalmente tre: l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà e la detenzione domiciliare. L’osservazione ha poi mostrato che anche nel caso in cui un condannato riceva una pena detentiva, le probabilità che torni a delinquere si abbassano se durante la permanenza in carcere avrà avuto la possibilità di accedere a corsi di istruzione e formazione e la possibilità di lavorare, ovvero di svolgere attività risocializzanti e responsabilizzanti (come percorsi terapeutici). Tuttavia alcuni istituti penitenziari italiani non prevedono alcun progetto rieducativo. il problema non è la mancanza di fondi: è preoccupante invece le destinazioni in cui questi vengono convogliati e la carenza effettiva di funzionari giuridico-pedagogici – la media nazionale è infatti di un educatore per 83 detenuti.

Un grosso danno visto che, come evidenziato da uno studio che ha accompagnato un disegno di legge proposto alla Camera durante la XVIII legislatura (in carica dal 2018 al 2022), nel 2017 è stato revocato solo il 5.29% delle misure, nella maggioranza dei casi (2.9%) a causa di un andamento negativo dei programmi terapeutici per tossicodipendenti. Un altro dato dunque che conferma la validità del sistema delle misure alternative, accompagnato da quello che riguarda le revoche sull’affidamento in prova al servizio sociale: 4,32%, una percentuale anche in questo caso decisamente bassa, che rimarca l’importanza di contenuti rieducativi e di inclusione sociale. Uno strumento per questo sempre più utilizzato. Se infatti nel 2014 i soggetti in messa alla prova erano 503 nel 2022 il sistema contava più di 24mila persone – e le revoche si sono aggirate attorno al 2,6%.

Rinchiudere fisicamente e isolare chi mette a rischio la sicurezza non è dunque, come credono Delmastro e la sua schiera, l’unica forma di esecuzione di una pena. Negli ultimi anni il dibattito riguardo alle misure alternative alla detenzione ha acquisito importanza, anche a causa dell’evidente fallimento delle e nelle prigioni. L’istituzione carceraria appare più un’illusione di giustizia, una sicurezza camuffata, lontana dal permettere a chi abbia commesso errori di avere una seconda possibilità. E questo comporta in maniera diretta e provata l’aumento della possibilità di recidiva, rendendo di fatto meno sicura la società nel suo complesso.

Da tempo lo stesso Consiglio d’Europa agisce affinché gli Stati membri adottino misure alternative al carcere – d’altronde il nostro sistema penitenziario dovrebbe avere come scopo ultimo il reinserimento in società del detenuto, previsto dall’articolo 27 della Costituzione.

È vero che nel corso degli anni sono stati riscontrati miglioramenti, ma sapere che non si è ancora certi dell’efficacia di misure meno “severe” per chi commette reati – neppure chi è al Governo lo è – è ancora un enorme ostacolo.

Potrà forse essere convincente sapere che le misure alternative non fanno solo bene ai diritti dei detenuti ma portano beneficio all’intera comunità?

[di Gloria Ferrari]

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