mercoledì 30 Aprile 2025

Come Israele ha agevolato e finanziato l’ascesa di Hamas

Tutto il mondo ha condannato Hamas per il violento attacco che ha sferrato lo scorso 7 ottobre contro Israele innescando la brutale rappresaglia dello Stato ebraico e gettando ancora una volta il Medioriente – e il mondo – nel caos. In pochi, però, a cominciare dai commentatori e dai giornalisti occidentali, mettono a fuoco quella che è tuttavia una verità storica provata da numerose fonti, incluse ammissioni esplicite di importanti politici e funzionari israeliani: ossia che Hamas è stato, sin dalle sue origini, appoggiato e finanziato dalla stessa Israele con un preciso intento strategico, tanto che Avner Cohen – un ex funzionario israeliano per gli affari religiosi – ha dichiarato esplicitamente al Wall Street Journal nel 2009 che il gruppo militare palestinese «è una creazione di Israele». Sono numerosi i documenti e le testimonianze che confermano lo stretto legame tra il movimento islamista radicale e Tel Aviv, a partire da quelli fatti trapelare nel tempo grazie al lavoro di Julian Assange e dello staff di WikiLeaks. Anche il quotidiano israeliano Haaretz ha recentemente pubblicato un articolo intitolato “Una breve storia dell’alleanza Netanyahu-Hamas” in cui si afferma esplicitamente che «Per oltre un decennio Netanyahu ha contribuito, in vari modi, al crescente potere militare e politico di Hamas. Netanyahu è colui che ha trasformato Hamas da organizzazione terroristica con poche risorse in un organismo semi-statale». Alla base di questa strategia apparentemente autolesionistica, vi è stata la volontà di indebolire la principale opposizione all’occupazione israeliana, ovvero l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) di Yasser Arafat, che fino agli anni Ottanta raccoglieva in forma unitaria tutte le sigle che lottavano per la liberazione della Palestina. L’OLP rappresentava una seria minaccia per Tel Aviv: Israele ha, dunque, permesso nell’ombra i finanziamenti e il proliferare di Hamas nella più classica logica del divide et impera. Una strategia portata avanti nel tempo anche attraverso la ferma determinazione a contrastare qualsiasi riconciliazione politica tra l’Autorità Nazionale Palestinese e Hamas.

Obiettivi e finanziamenti ad Hamas

Ma l’indebolimento dell’OLP non è l’unico obiettivo per cui Israele ha alimentato e permesso che fluissero ingenti fondi nelle casse di Hamas. Vi sono almeno altri tre importanti fini che Tel Aviv ha perseguito attraverso il movimento islamista: la fabbricazione e il mantenimento di un’opposizione violenta e fondamentalista al fine di alienare le simpatie dell’opinione pubblica internazionale verso la causa palestinese; giustificare le rappresaglie, l’espansione delle colonie e la prosecuzione dell’occupazione con il pretesto della lotta al terrorismo dividere i palestinesi e quindi impedire la nascita di uno Stato palestinese unito.

Rispetto a quest’ultimo punto, appare fondamentale la spiegazione fornita dal generale israeliano Gershon Hacohen che, in un’intervista al giornale online Mida, ha dichiarato che «Hamas a Gaza è un ostacolo a tutte le iniziative internazionali tese a imporci la soluzione dei due Stati». Famoso per le sue critiche da destra al capo del Likud, Hacohen ha spiegato che Netanyahu ha «impedito la realizzazione del progetto di Abbas di creare uno stato palestinese unito. Dobbiamo avvantaggiarci della situazione di separazione tra Gaza e Ramallah. Questo è uno dei massimi interessi di Israele, e non è possibile capire la campagna contro Gaza se non si capisce questo contesto».

In quest’ottica, lo Stato ebraico ha sempre permesso dietro le quinte il trasferimento di ingenti fondi al gruppo islamico palestinese: il Qatar, principale finanziatore del gruppo da quando nel 2007 Hamas ha preso il controllo della Striscia, ogni anno invia milioni di dollari a Gaza gestiti direttamente da Hamas. Il portavoce del Likud, Jonatan Urich, ha affermato che Netanyahu «fondamentalmente ha distrutto la visione dello Stato palestinese in questi due luoghi e che «Parte dei risultati sono legati al denaro del Qatar che arriva ogni mese ad Hamas». Lo stesso primo ministro israeliano, nel marzo 2019, durante un incontro dei parlamentari del Likud in cui era in discussione il tema del trasferimento di fondi a Hamas, ha dichiarato che «chiunque si opponga a uno Stato palestinese deve sostenere la consegna di fondi a Gaza perché mantenendo la separazione tra l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza preverremo la creazione di uno Stato palestinese».

Le origini di Hamas

Hamas affonda le sue radici nella Fratellanza musulmana, un’organizzazione nata in Egitto nel 1928 che ambisce all’instaurazione di uno Stato islamico, modellato sui principi della Sharia. L’organizzazione politica, dotata di una formazione paramilitare, si opponeva al Comitato degli ufficiali liberi, un raggruppamento indipendentista composto da militari che intendevano fondare un Egitto moderno e laico. Il Comitato, nel 1952, sotto la guida di Gamal Abdel Nasser compì un colpo di Stato che rovesciò la monarchia, costringendo l’esercito britannico – allora ancora di stanza in Egitto nonostante avesse concesso al Paese un’indipendenza quasi integrale nel 1936 – ad abbandonare il Canale di Suez. Dopo la nascita di Israele nel 1948, la Fratellanza cominciò a reclutare “adepti” anche a Gaza, allora sotto il governo egiziano. Nasser, però, represse brutalmente l’organizzazione islamista, fino a quando subì la sconfitta da parte di Israele nella Guerra dei Sei giorni nel 1967: da quel momento, lo Stato ebraico assunse il controllo di Gaza e della Cisgiordania, allentando la stretta sulla Fratellanza imposta da Nasser e dando la caccia, invece, ai membri di Al-Fatah (il principale partito dell’OLP) e alle altre fazioni laiche della resistenza palestinese.

Tra gli anni Settanta e Ottanta, Israele ha collaborato con un religioso storpio e mezzo cieco di nome Sheikh Ahmed Yassin – capo dei Fratelli Musulmani a Gaza – proprio mentre stava gettando le basi per quello che sarebbe diventato Hamas. Yassin fondò, infatti, il gruppo islamista Mujama al-Islamiya, un precursore di Hamas che fu ufficialmente riconosciuto da Israele come ente di beneficenza e poi, nel 1979, come associazione. Il governo dello Stato ebraico ha silenziosamente appoggiato il religioso paraplegico, tollerando la creazione da parte sua di un’ampia rete di scuole, cliniche, asili e di una biblioteca. Israele ha anche permesso la creazione dell’Università islamica di Gaza, che ora considera un focolaio di militanza. L’obiettivo dei leader sionisti era quello di permettere l’esistenza del gruppo islamista come contrappeso ai nazionalisti laici dell’OLP e alla sua fazione dominante, Al-Fatah di Yasser Arafat. Secondo Tony Cordesman, analista per il Medio Oriente del Center for Strategic Studies, Israele «ha aiutato Hamas in modo diretto e indiretto per usarla come antagonista dell’OLP». Lo Stato ebraico ha anche fomentato la divisione tra i nazionalisti laici e gli islamisti, facendosi spesso da parte quando le due fazioni hanno combattuto, a volte violentemente, per il controllo o l’influenza nella Striscia e in Cisgiordania.

Secondo alcune testimonianze, inoltre, Tel Aviv non avrebbe solo tollerato lo sviluppo della fazione islamista, ma l’avrebbe anche direttamente finanziata tramite l’esercito e il Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana. Al riguardo, il generale Yitzhak Segev – governatore militare israeliano a Gaza all’inizio degli anni Ottanta – rivelò al New York Times come Israele finanziava il movimento islamico palestinese: «il governo israeliano mi dava un budget e il governo militare lo elargiva alle moschee». Il generale ha anche raccontato di aver avuto contatti regolari con Sheikh Yassin, in parte per controllarlo: «il nostro principale nemico era Al-Fatah», e il religioso «era ancora pacifico al cento per cento» nei confronti di Israele, ha spiegato.

Successivamente, Yassin venne arrestato due volte: nel 1984, quando l’esercito israeliano individuò un deposito di armi a seguito di una segnalazione di alcuni membri di Al-Fatah, e nel 1989. Nella prima occasione, lo sceicco spiegò che le armi non sarebbero state impiegate contro Israele, ma contro i gruppi palestinesi antagonisti e fu quindi scarcerato dopo un anno. Nell’89, invece, Hamas sferrò il suo primo attacco contro Israele, rapendo e uccidendo due soldati, cosa che determinò la condanna all’ergastolo del religioso islamista. Nel frattempo, nel 1987, durante la prima Intifada, Yassin e altri sei islamici Mujama lanciarono Hamas, o Movimento di resistenza islamica, proprio mentre il leader dell’OLP Yasser Arafat – puntando alla nascita dello Stato palestinese attraverso la trattativa di pace con Israele – rinunciava al presupposto della “distruzione di Israele” contenuta nello statuto dell’OLP, riconoscendone il diritto ad esistere a patto del medesimo diritto per lo Stato palestinese. Da quel momento, l’OLP venne accusata di tradimento da Hamas e nel tempo si alienò sempre di più anche l’appoggio della popolazione civile, anche a causa dello sviluppo degli insediamenti dei coloni israeliani sui territori palestinesi, in particolare nella Cisgiordania. Questo comportò un crescente consenso verso Hamas da parte della popolazione araba – proprio come da “piano” di Israele – che raggiunse il culmine nelle elezioni palestinesi del 2006.

Le elezioni del 2006 e la strategia del divide et impera

Nel gennaio del 2006, le elezioni legislative palestinesi – le ultime che si sono tenute – sono state vinte da Hamas con il 44% dei voti, mentre Al-Fatah ottenne solo il 41%. La distribuzione del voto tra Gaza e la Cisgiordania però non era uniforme: il partito islamista, infatti, aveva ottenuto maggiori consensi nella Striscia e Al-Fatah in Cisgiordania. La lotta per il controllo dei due territori innescò un vero e proprio conflitto armato tra le due fazioni – noto anche come guerra civile palestinese – che proseguì dal 2006 alla prima metà del 2007. Nel mese di giugno, dopo violenti scontri, Hamas ottenne il controllo della Striscia di Gaza.

Negli anni successivi alla guerra civile, ci furono diversi tentativi di riconciliazione tra le due fazioni palestinesi, sempre boicottate da Israele e, in particolare, da Netanyahu: nel 2011, quando Abbas decise di andare a Gaza per firmare un accordo con il Movimento di resistenza islamica, l’esercito israeliano uccise due attivisti di Hamas a Gaza secondo quella che è stata definita una «escalation premeditata» da parte di Israele. Il peggior incubo del capo del Likud – la riconciliazione tra le due principali fazioni palestinesi – infatti, stava per avverarsi: sono seguite, dunque, una serie di minacce diplomatiche da parte di Israele, tra cui sanzioni economiche contro l’ANP e la fine della collaborazione in materia di sicurezza.

Netanyahu stesso affermò che i discorsi sulla riconciliazione erano richiami per la distruzione di Israele e si oppose fermamente all’idea di un governo unitario: l’attuale premier dello Stato ebraico, dunque, da un lato, ha permesso il trasferimento di fondi a Gaza da parte del Qatar, perché – come scrive Haaretz – «l’inviato del Qatar va e viene a Gaza a suo piacimento»; dall’altro, sostiene che la riconciliazione tra Al-Fatah e il partito islamista costituirebbe una minaccia alla pace di Israele. In realtà costituirebbe la possibilità concreta dell’applicazione della soluzione dei due Stati, osteggiata dal Likud e dal sionismo religioso.

Una seconda riconciliazione tra Hamas e Al-Fatah era stata raggiunta nell’aprile del 2014, quando i due partiti avevano presentato un governo di unità nazionale che avrebbe aperto la strada a nuove elezioni per eleggere un nuovo presidente e parlamento palestinese. Anche in quel caso, Israele mostrò la sua contrarietà annunciando che non avrebbe negoziato alcun accordo e mettendo in atto misure punitive. Pochi mesi dopo, a luglio, Israele ha dato il via all’Operazione Margine di protezione, una campagna militare contro Hamas e altri gruppi nella Striscia di Gaza, volta a fermare il lancio di missili, che curiosamente ha ricevuto il via proprio dopo l’annuncio della nascita di un governo di unità nazionale palestinese. Sempre secondo il giornale israeliano Haaretz, Netanyahu avrebbe fatto trapelare un documento militare segreto in cui si precisava che l’intervento di terra a Gaza, nell’ambito dell’Operazione del 2014, sarebbe costata la vita a centinaia di soldati, creando così un clima di opposizione ad un’invasione di terra su vasta scala. Naftali Bennet, nel 2019, in riferimento alla diffusione del documento dichiarò che «Qualcuno si è preoccupato di farlo trapelare ai media per creare una scusa per non agire […] è una delle fughe di notizie più gravi nella storia israeliana». Yuval Diskin, capo del servizio di sicurezza per gli affari interni Shin Bet dal 2005 al 2011, ha dichiarato a Yedioth Ahronoth nel gennaio 2013: «Se guardiamo alla situazione nel corso degli anni, una delle principali persone che hanno contribuito al rafforzamento di Hamas è stato Bibi Netanyahu, fin dal suo primo mandato come primo ministro».

Già negli anni Novanta, l’attuale premier israeliano aveva contribuito a sabotare gli accordi di Oslo firmati nel 1993 dall’allora primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e dal leader dell’OLP Yasser Arafat, liberando nel 1997 lo sceicco Ahmed Yassin per “motivi umanitari”. Gli accordi di Oslo sono sempre stati avversati dal gruppo islamista palestinese e applicati con grande riluttanza da Tel Aviv: Netanyahu sapeva di poter contare, ancora una volta, su Hamas per silurare gli accordi di Oslo, tanto che il deputato di sinistra Yossi Sarid definì il rilascio come «piccolo machiavellismo». In seguito, dopo aver deportato Yassine in Giordania, lo autorizzò a ritornare a Gaza dove venne accolto come un eroe nell’ottobre del 1997. Secondo un articolo del Wall Street Journal, l’ufficiale veterano del Mossad, Efraim Halevy, che ha negoziato il rilascio dello sceicco avrebbe affermato che la messa in libertà del religioso era difficile da digerire, ma che Israele non aveva scelta. Quando due anni dopo Halevy fu nominato direttore dell’agenzia di spionaggio, Yassin fu ucciso da un attacco aereo israeliano.

La strategia e le mire di Israele sulla Striscia di Gaza

Alla luce di ciò, appare chiaro come la nascita e il rafforzamento di Hamas abbiano giocato un importante ruolo nella strategia di Israele non solo per impedire l’effettiva creazione di uno Stato palestinese, ma anche come pretesto per perpetuare gli attacchi militari contro la Striscia: un documento di Wikileaks pubblicato nel 2010 riporta la testimonianza di uno scambio diplomatico del 2006 tra l’allora direttore dell’intelligence militare israeliana, il maggiore generale Amos Yadlin, e l’ambasciatore americano in Israele Richard Jones, in cui emerge il sostegno israeliano per una Striscia di Gaza governata da Hamas che Tel Aviv avrebbe poi dichiarato “entità ostile”, ottenendo così il pretesto per lanciare massicci attacchi sull’enclave.

Ed eccoci così ai fatti del 7 ottobre scorso, quando uno degli apparati militari più forti del mondo si è fatto sorprendere dall’attacco senza precedenti pianificato per mesi da Hamas, e Netanyahu ha ottenuto il pretesto per lanciare un’offensiva senza precedenti nella Striscia di Gaza. E mentre la popolazione civile palestinese subisce un genocidio di enormi proporzioni – con oltre 10.000 vittime in un mese – il governo di Tel Aviv sta pensando di tornare ad occupare la Striscia. Sebbene questa intenzione sia stata boicottata da Washington, sono evidenti le mire israeliane per il controllo dell’enclave, esternate pubblicamente da Netanyahu e da alcuni esponenti del suo governo, così come la volontà di portare avanti la pulizia etnica del popolo palestinese, messa nero su bianco in diversi documenti, per permettere l’insediamento nell’area dei cittadini israeliani. Anche in questo caso, dunque, Hamas avrebbe facilitato – consapevolmente o meno – la strategia di Israele.

[di Giorgia Audiello]

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5 Commenti

  1. Grazie G.A. La situazione e le strategie degli estremisti israeliani sono abbastanza chiare da tempo. Sarebbe interessante delineare le varie prese di posizione da parte dei partiti italiani (Italia che si è astenuta dalla risoluzione ONU di cessate il fuoco) ed anche le varie posizioni dei partiti europei.
    Tutti i colpevoli ignavi, privi di volontà e forza spirituale, che qualcuno ha votato.

  2. Dov’è che ho già sentito questa storia?
    … Ah sì era un certo David ICKE, più di venti anni fa.
    Parlava di una nota strategia usata dalle élites per raggiungere un certo obiettivo prefissato. Diceva più o meno così.
    CREA un PROBLEMA (Hamas, Bin Laden, guerra, terrorismo, paura, povertà, siccità, fame, Virus, malattie, … ….).
    Aspetta per una REAZIONE, data da uno stato “popolare – emotivo” di forte stress, sofferenza, insopportabilità al problema.
    Fornisci al mondo una SOLUZIONE al problema, dopo aver accuratamente eliminato mass-mediaticamente o fisicamente (.. …) eventuali altre soluzioni alternative che non portino al raggiungimento del VERO OBIETTIVO prefissato molti anni addietro dai gruppi dominanti.
    (Divertitevi voi a riempire sui puntini vecchi problemi “risolti” o nuovi urgenti da risolvere, obiettivi, eliminazioni, …. ….. )

    PROBLEM – REACTION – SOLUTION!

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