giovedì 2 Maggio 2024

Scarichi illeciti in mare, in Italia i trasgressori se la cavano con 150 euro

In Italia chi inquina il mare con scarichi non adeguatamente trattati può cavarsela semplicemente pagando un’esigua multa di 150 euro. A stabilirlo, è stata una recente pronuncia con cui la Cassazione si è espressa sul rilascio illecito di reflui nell’Adriatico. A Termoli, in Molise, diverse inchieste della magistratura hanno da tempo registrato l’immissione vicino costa di scarichi non depurati con “un carico contaminante costituito da un’elevata quantità di Escherichia coli, microrganismo di natura batterica proveniente dalle reti fognarie civili pericoloso per la salute umana”. L’impianto, secondo quanto attestato dalla Suprema Corte, veniva infatti reso funzionante solo quando l’agenzia molisana per il monitoraggio ambientale effettuava i campionamenti. Per il tempo restante i reflui venivano invece immessi direttamente in mare senza depurazione. Nonostante la gravità dei fatti, i responsabili rimarranno impuniti: prima era stato loro contestato il delitto di inquinamento ambientale – che prevede la reclusione da 2 a 6 anni e una multa da 10mila a 100mila euro –, ma è stato ridimensionato ad una contravvenzione per “getto pericoloso di cose” che, sulla base dell’art. 674, viene punita con una sanzione fino a 206 euro. Ed ecco la ridicola condanna a 150 euro di ammenda. La quale, fra l’altro, non verrà nemmeno pagata: il reato, infatti, è prescritto a causa del decorso del tempo.

Le condotte contestate alle due persone finite sotto la lente della magistratura, il responsabile tecnico del depuratore e il responsabile dei lavori pubblici del Comune di Termoli, si sono specificamente verificate tra il 2015 e il 2018, quando il depuratore delle acque del Comune di Termoli ebbe importanti problematiche di funzionamento, per cui vennero più volte scaricati direttamente in mare reflui fognari, non depurati e maleodoranti. Per esempio, riporta la sentenza, “il 12 settembre 2015, veniva riscontrata la presenza di una chiazza di colore marrone scuro emergente dal fondale marino, in prossimità della scogliera e nella parte posteriore del muro frangi flutti del porto; tale evenienza era dipesa dalla rottura della condotta del depuratore, in quanto i reflui dovevano essere rilasciati depurati alla distanza di circa due chilometri dalla costa, mentre nel caso di specie veniva rilevata una macchia fungiforme maleodorante a poca distanza anche dalla battigia frequentata dai bagnanti”. Inizialmente i pm li avevano accusati del delitto di inquinamento ambientale, ma il gip lo aveva escluso, in quanto non era stato provato con certezza un “deterioramento significativo e misurabile” del mare. I due furono comunque rinviati a giudizio per avere rispettivamente provocato e non impedito lo “sversamento in mare di reflui fognari e liquami maleodoranti atti a offendere e a molestare le persone”. Nel 2021, sono stati condannati dal Tribunale collegiale di Larino. Fino ad arrivare, dopo il ricorso, alla recente decisione della Cassazione.

Nonostante l’esiguità della pena irrogata ai soggetti alla sbarra, la Cassazione ha sfruttato l’occasione per ribadire un principio importante, ovvero che dell’inquinamento non risponde soltanto chi lo ha direttamente provocato – nel caso specifico, la società che gestiva l’impianto di depurazione – ma anche il funzionario comunale che aveva in capo l’obbligo di “assicurare il corretto funzionamento e la necessaria manutenzione dell’impianto di depurazione, nonché di realizzare i lavori e le opere necessarie per consentire il corretto trattamento depurativo di tutti i reflui ivi convogliati prima dell’immissione nel Mar Adriatico”. Un concetto che assume piena validità “ogniqualvolta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dalla omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo”.

[di Stefano Baudino]

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3 Commenti

    • Gentile Pierpaolo, capirà che tacciare un giornalista di plagio – e indirettamente L’Indipendente come giornale di copiare altri – è un’accusa decisamente grave, che andrebbe suffragata da prove o quantomeno indizi. Purtroppo nella sua generica accusa non c’è nulla di tutto questo, e d’altra parte non potrebbe esserci visto che l’articolo pubblicato su L’Indipendente non ha nulla di copiato da quello da lei citato pubblicato sul Fatto Quotidiano.

      Partendo dal presupposto che quando si parla di una stessa notizia è normale che le informazioni di base siano le stesse (e questo vale ovviamente per tutti i giornali che l’hanno trattata, non solo per il Fatto Quotidiano), se avesse letto in maniera completa l’articolo di Stefano Baudino avrebbe potuto rendersi conto che al suo interno vi sono particolari che sono del tutto assenti nell’articolo che lei ci accusa di aver plagiato. Ad esempio, cito dal nostro articolo: “Inizialmente i pm li avevano accusati del delitto di inquinamento ambientale, ma il gip lo aveva escluso, in quanto non era stato provato con certezza un “deterioramento significativo e misurabile” del mare. I due furono comunque rinviati a giudizio per avere rispettivamente provocato e non impedito lo “sversamento in mare di reflui fognari e liquami maleodoranti atti a offendere e a molestare le persone”. Nel 2021, sono stati condannati dal Tribunale collegiale di Larino. Fino ad arrivare, dopo il ricorso, alla recente decisione della Cassazione. Di questi particolari non c’è traccia sul Fatto Quotidiano, così come non vi è traccia del fatto che anche il funzionario comunale è accusabile del fatto nel caso in cui “il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dalla omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo”.

      Se Baudino avesse plagiato il Fatto Quotidiano queste parti avrebbero dovuto quantomeno essere presenti nel loro articolo, non trova?

      La invitiamo ad essere più attento le prossime volte prima di giudicare l’onestà e la deontologia dei nostri giornalisti.

      Buona giornata,
      Andrea Legni, direttore de L’Indipendente

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