La fine del Secondo conflitto mondiale ha sancito il definitivo riassetto dell’ordine geopolitico globale così come era stato fino all’inizio del Novecento. Il susseguirsi di due conflitti di tale portata in meno di mezzo secolo ha spinto i capi delle potenze mondiali a riunirsi intorno a un tavolo affinché si trovasse il modo di evitare che le generazioni a venire dovessero trovarsi di fronte agli orrori della guerra. Da questa profonda ferita nella storia dell’umanità è nato un nuovo equilibrio geopolitico, intorno alle Nazioni Unite e alle Convenzioni da esse emanate, a traino statunitense. In questo contesto, nel 1948, fu redatta la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, un documento dal valore simbolico che sanciva i diritti fondamentali e universali di ogni essere umano, dal quale hanno tratto ispirazione diverse Convenzioni destinate a proteggere tali diritti – quelle sì con valore vincolante per gli Stati che le hanno ratificate. Veniva reso chiaro in questo modo che, quantomeno su carta, esistevano delle basi giuridiche che imponevano il rispetto dei diritti umani. Tuttavia, nei decenni che seguirono il 1948 (e, in particolare, dopo la fine del bipolarismo USA-URSS) gli orrori della guerra non hanno smesso di insanguinare il mondo: si sono solamente spostati un po’ più in là, alle periferie del globo, lontani dal democratico occidente e dagli occhi delle masse. Chi, come Julian Assange, ha provato a denunciare gli orrori perpetrati proprio da quelle nazioni che si erano impegnate a difendere i diritti umani, la sta pagando cara. E se già in un mondo ad assetto unipolare è difficile comprendere come si possa garantire il rispetto di tali diritti, è lecito domandarsi come tutto ciò cambierà ora che l’ordine geopolitico sembra spostarsi sempre più verso un assetto multipolare.
I diritti umani nel sistema unipolare

La concezione dei diritti umani così come si è consolidata nell’Occidente moderno nasce e si sviluppa in seno a un contesto socioculturale ben definito, ovvero quello di una società capitalista e individualista. Basti pensare che tra i diritti fondamentali figura quello alla proprietà privata, uno degli assi portanti dell’intero assetto capitalistico. Una certa percezione diffusa porta a credere che, in quanto diritti fondamentali, questi siano tali da sempre, quando invece sono il frutto di un’evoluzione storica che affonda le proprie radici almeno nell’antica Grecia. I diritti umani sono (anche) un fenomeno sociale e sono andati moltiplicandosi man mano che l’uomo ha occupato un posto sempre più specifico nella società. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con i suoi 30 articoli, viene stilata proprio in un periodo storico ben determinato. Senza voler esprimere giudizi di valore in positivo o in negativo, o cadere nell’insidiosa trappola del relativismo, va notato come la pretesa di attribuire un valore universale al contenuto di una dichiarazione nata in un palazzo governativo occidentale e redatta da rappresentanti delle Nazioni occidentali sia di per sé problematica. Il periodo storico dal quale il mondo stava uscendo può tuttavia giustificare il tentativo di far sì che quanto accaduto non ricapitasse. In quegli stessi anni nascono le Nazioni Unite, il cui intento è quello di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità”, di “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo”, assicurare “la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale” e “promuovere il progresso sociale”. La pretesa dell’applicazione di tali diritti, nella forma nella quale è stata applicata successivamente, segue le direttrici dei rapporti di forza coloniali, dei quali il mondo non è mai riuscito a liberarsi. E, come sottolineava il filosofo Norberto Bobbio, di diritti umani si è teorizzato più nei salotti e nelle università di quanto si sia messo in pratica perché ne fosse garantito il rispetto.
L’uso politico della cooperazione e dell’ingerenza umanitaria

Tanto per fare un esempio, nel 2021 in Birmania vi è stato un golpe militare che ha sovvertito il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi e causato una sanguinosa guerra civile, che ha portato alla morte di migliaia di cittadini e al collasso dell’economia, oltre ad aver causato un’emergenza umanitaria che ha toccato milioni di persone, minori compresi. La reazione delle Nazioni Unite è stata tiepida (per usare un eufemismo), così come quella dei membri dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico), i quali hanno rifiutato di intervenire appellandosi al principio di non ingerenza. Ultimo, importante dettaglio sta nel fatto che i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’organo predisposto ad autorizzare eventuali atti di ingerenza umanitaria, è composto da Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, ovvero i maggiori esportatori di armi al mondo.
Pluralizzazione dei poteri: cambia davvero qualcosa?

Come ricorda l’antropologo indiano Amitav Ghosh, tutti quei Paesi non-Occidentali che hanno vissuto in qualche forma l’oppressione del colonialismo sulla loro pelle sono in grado di replicare dinamiche coloniali basate sullo sfruttamento delle risorse, in particolare dei combustibili fossili, anche a costo di reprimere le popolazioni nel sangue. «In India – scrive Ghosh – negli ultimi tre decenni, le credenze, le pratiche e i mezzi di sostentamento dei popoli delle foreste sono stati presi di mira come non era mai accaduto prima. In una grottesca imitazione del trattamento che i coloni riservarono ai popoli indigeni, ettari ed ettari di foreste sono stati sacrificati all’industria mineraria e a quella turistica, a volte con il sostegno di ambientalisti discriminatori che auspicano lo spostamento coatto degli abitanti delle foreste in nome dell’ecologia. Le loro montagne sacre sono state profanate, le loro terre allagate dalle dighe, la loro fede e i loro rituali stigmatizzati come “superstizioni primitive” – esattamente le stesse parole un tempo usate dagli amministratori delle colonie, dagli scienziati e dai missionari. Nel replicare le pratiche coloniali, ci si spinge fino a trasferire forzatamente in collegio i bambini tribali».
Dall’altra parte del mondo, l’ex governo brasiliano guidato da Bolsonaro ha sottoposto a medesimo trattamento le popolazioni amazzoniche per poterne sfruttare le terre, ricche di risorse. E così avviene in innumerevoli altri contesti. In questo modo, il termine multipolarismo assume semplicemente il significato di moltiplicazione degli oppressori. Capire come tutelare i diritti fondamentali delle popolazioni è un tema complesso. Tuttavia, non sarà possibile compiere passi in avanti fino a che le forze sociali che rappresentano gli interessi dei popoli non potranno sedere al tavolo di discussione con le grandi potenze internazionali. È ciò che, per esempio, numerose associazioni indigene stanno cercando di fare, conquistando spazio ai tavoli di dibattito dove i capi di Stato decidono il destino delle loro terre, spesso violando il loro diritto all’autodeterminazione e alla vita.
Ai rappresentanti degli interessi nazionali, che hanno necessariamente carattere politico (in quanto seguono la direttrice dei governi di turno), vanno affiancati rappresentati dei diritti dei cittadini, che si muovano su direttrici stabilite non dal capitale ma dall’interesse a tutelare le popolazioni dalle ricadute che le politiche economiche di sfruttamento hanno sulle persone. Una prospettiva forse utopistica, ma per la quale vale la pena lottare.
[di Valeria Casolaro]




Bell’ articolo, complimenti.
Sigh
Il mondo non è e non è mai stato senza guida, il primo anno di ogni Secolo e di ogni Millennio parla a chi capisce la storia.
Questo millennio è iniziato con il crollo delle Torri gemelle ad indicare la fine del predominio USA ed UK e l’entrata della Cina nell’organizzazione del commercio Mondiale.
Quindi passeremo da un dominio USA ed UK basato sulle armi ad un dominio Orientale e Cinese basato sul commercio, sicuramente un miglioramento!