venerdì 3 Maggio 2024

Le alterne vicende del pensiero armato

Forse nessun automobilista che percorra l’autostrada Torino-Piacenza-Cremona sa che 2245 anni fa, 222 avanti Cristo, in una località chiamata Clastidium, oggi Casteggio, i Romani sbaragliarono i Galli Insubri e che nella battaglia morirono 30-40 mila guerrieri. Quei campi, ora attraversati da arterie stradali, sono dunque insanguinati. E questo è soltanto un esempio delle cento battaglie campali combattute in quelle zone anche soltanto sino alle nostre guerre di Indipendenza. Ad esempio, Marengo, anno 1800, cinquanta chilometri ad ovest da lì, con la inattesa vittoria di Napoleone, poi Solferino e San Martino, seconda guerra di Indipendenza, 1859, centosessanta chilometri a nord-est da Casteggio, 5000 morti tra piemontesi, francesi e austriaci.

Le terre sono piene di orrore, ricoprono di silenzio la violenza e l’odio tra popoli e anche le legittime, naturali aspirazioni si scontrano con il pensiero armato, con gli ostacoli posti dai conflitti di interesse, dalla volontà di dominio. E le morti degli scontri dell’Antichità sono ancora più devastanti, anche in misura proporzionale, perché più devastanti erano le armi che in massima parte procuravano morti per dissanguamento.

Quando finirà questo orrore, quando smetteremo di giocare da bambini ai soldatini, decapitando per divertimento teste di plastica o esaltandoci alla PlayStation coi videogame di guerra, quando i mercanti di armi non siederanno più in Parlamento, quando smetteremo di scambiare la difesa per l’offesa, di interpretare la morte dei nemici come una vittoria, quando cominceremo a provare vergogna, a sentire la responsabilità di ogni decisione, di ogni gesto irreparabile che abbiamo causato o che abbiamo semplicemente incoraggiato rimanendo indifferenti?

Siano consegnate dunque le armi ai bambini che piangono, alle donne oltraggiate, agli anziani ingiuriati, ai giovani arruolati per scontri dove le ragioni e i pretesti non si riescono a distinguere. Quando mai renderemo inoffensive queste minacce, queste promesse di giustizia fondate sulla sofferenza e l’arbitrio? C’è chi consente di vendere armi a chiunque e c’è di conseguenza chi se ne serve per portare a termine stragi, quasi una battaglia personale contro nemici inconsapevoli.

La guerra è un omicidio di massa, è una dimostrazione non di potere ma di orrore, è la decisione spesso di qualche criminale che si nasconde nelle retrovie o che cavalca in prima linea, invasato, disturbato da deliri di vittoria come ricompensa non si sa di che cosa.

Le armi. L’etimologia di questa parola si rivela nella lingua inglese dove “arm” significa “braccio”. Dunque l’origine remota di “arma” sta nel significato di prolungamento del braccio. L’arma è impugnata, a cominciare dalla selce lavorata, dai nostri lontani progenitori, per procurarsi cibo o per risolvere le contese tra simili. La nascita dell’arma vive di questa ambiguità fondamentale, archetipica: nasce all’insegna dei bisogni per la sopravvivenza e sfocia nel desiderio di sopprimere avversari, competitori delle stesse prede, dello stesso territorio. L’arma ha un’anima etologica, territoriale. Il braccio a cui si appoggia, come avverrà in seguito per le armi bianche e per le armi da fuoco, è lo stesso braccio che poteva stendersi per stringere la mano, a dimostrazione appunto che era sguarnito e che quindi era pacifico.

L’arma ha una impronta somatica, ha un’origine corporea, connessa ai segnali prossemici di vicinanza e lontananza. Fino all’esasperazione contraddittoria della testata nucleare che esprime la sua forza devastante anche a distanze impensabili. Nell’arma nucleare si è esaltato ai massimi gradi il concetto di minaccia, e quindi di deterrente. Non è più necessario che gli eserciti siano schierati, che si misurino strategicamente le distanze, che si inventino dispositivi che forniscono informazioni sul campo. L’arma nucleare ci viene raccontata come l’arma a più alto potenziale emotivo, per la paura che riesce a generare, per la carica di tensione che deve venire governata perché non si proceda ad azionarla in modo irreparabile. L’arma nucleare è già devastante ancora prima che venga azionata, è il prodotto massimo dell’alleanza distorta fra scienza e potere, fra tecnologia e dominio. Non si tratta di diventare pacifisti, di negare le forze pulsionali profonde connesse all’affermazione personale, di tenere occultate le nostri parti oscure, di spegnere dentro di noi i fuochi e le passioni, di edulcorare ciò che di sua natura è giustamente contraddittorio. La questione è come sempre di non essere ipocriti, di considerare le armi per quello che sono, dunque di conoscere bene i limiti del concetto di difesa, esercitandola però senza timore.

Parlare di armi significa in ultima analisi parlare di limiti, di giuste misure, anche nella vita quotidiana dove il pensiero armato incombe sempre per cancellare qualsiasi forma di rispetto, insultare gratuitamente, fraintendere volontariamente, provocare invece di comprendere, insidiare insomma in qualsiasi circostanza la civiltà umana e renderla irrealizzabile o vana.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

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2 Commenti

  1. La guerra è una merda e non si ottiene pace facendo guerra,tonti che ci credono.in più senza che noi abbiamo deciso ,i soldi delle nostre fatture tasse al posto di essere usati per migliorare la nostra vita son usati contro la nostra volontà per alimentare una guerra studiata a tavolino per arricchire i signori della guerra.bel karma che abbiamo noi pecore italiana.

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