venerdì 3 Maggio 2024

11 luglio 1990: la grande rivolta degli indigeni Mohawk contro il dominio canadese

Trentatré anni fa, l’11 luglio del 1990, in una piccola cittadina del Canada, Oka, nello Stato del Québec, iniziò uno scontro armato, durato 78 giorni, che vide contrapporsi la Nazione indigena Kanien’kehà:ka (conosciuti come Mohawk) con la polizia e l’esercito canadese. Da una semplice protesta per vedere garantiti i propri diritti a una crisi violenta dovuta alla sordità e alla cecità delle autorità politiche canadesi, in una disputa sulla terra che perdurava da trecento anni, per espandere e proteggere in maniera sfacciata i privilegi dei conquistatori: 8 buche di un campo da golf da costruirsi sopra un cimitero indigeno.

Quella che è passata alla storia come “Crisi di Oka” si scatenò a seguito della protesta della comunità indigena locale contro la volontà di espansione di un campo da golf su terreni contesi in una zona conosciuta come “i Pini”, sulla quale insisteva un cimitero Kanyen’kehà:ka, quindi un luogo sacro. A seguito di tale annuncio, il primo aprile del 1989, qualche centinaio di Kanyen’kehà:ka protestarono sfilando per le strade della cittadina, chiedendo che venissero rispettati i lori diritti, ritenendo oltretutto un aggravante il fatto che la terra che gli sarebbe stata sottratta sarebbe stata destinata all’espansione del campo da golf del Club di Oka. Già in quel giorno, per bocca di Clarence Simon, i Kanyen’kehà:ka si dissero pronti all’occupazione del terreno allor quando i diritti della Nazione indigena non fossero stati rispettati. Così avvenne il 10 marzo del 1990, all’indomani della decisione del tribunale che decise di non riconoscere la richiesta dei Mohawk di fermare l’espansione a discapito della loro terra.

A distanza di un mese dall’inizio dell’occupazione, la presenza dei Mohawk si fece sempre maggiore. Le autorità locali posero un ultimatum per lo sgombero del campo e delle barricate erette ma la popolazione indigena rispose con un aumento dell’affluenza dei manifestanti. Centinaia di poliziotti erano ormai presenti sul posto, dispiegati attorno all’area. Ai primi di maggio venne posto un altro ultimatum da parte delle autorità locali, visto che l’ingiunzione precedente era stata completamente ignorata. Anche in questo caso, la comunità indigena si rifiutò di obbedire e arrivò sul posto la Mohawk Warrior Society. I Kanyen’kehà:ka erano chiaramente pronti per dare battaglia, e certamente non intendevano nasconderlo. Il vaso colmo di gocce d’acqua non poteva contenerne altre. «Se devo morire per il territorio Mohawk, lo farò, ma non vado da solo», furono le parole di un uomo dietro le barricate degli occupanti intenti a difendere la propria terra.

Il 4 luglio diverse decine di persone di comunità Mohawk vicine, arrivano sul posto per dare sostegno all’occupazione e alla rivendicazione dei propri fratelli. Il giorno seguente, il Ministro della Pubblica Sicurezza, Sam Elkas, concesse ai Mohawk quattro giorni per smantellare la barricata e il campo di protesta, annunciando che se l’ennesimo ultimatum non fosse stato rispettato le autorità avrebbero utilizzato la forza. Due mesi prima Elkas aveva promesso che non avrebbe mandato la polizia «a giocare a cowboy sulla questione di un campo da golf». Il 9 luglio, i Mohawk non si erano ancora mossi ed anzi avevano rafforzano la propria posizione con sempre più guerrieri armati presenti al campo. La polizia ancora non interveniva e i leader della comunità indigena chiesero colloqui da “Nazione a Nazione”, direttamente con il Primo Ministro canadese, Brian Mulroney.

L’11 luglio del 1990, scattò il raid della polizia all’interno del campo con utilizzo di gas lacrimogeni. Ne scaturì uno scontro a fuoco che lasciò morto a terra un poliziotto. La polizia si ritirò. Nel frattempo, alcuni guerrieri avevano interrotto alcuni collegamenti autostradali e un ponte nelle vicinanze di Oka, erigendo ulteriori barricate. Il 12 luglio, su richiesta del ministro della Pubblica Sicurezza del Quebec, le forze armate canadesi iniziarono a inviare ufficiali militari in borghese, fucili C-7, apparecchiature per la visione notturna, giubbotti antiproiettile e veicoli blindati, che iniziarono ad essere ammassati appena fuori la cittadina.

Dopo una situazione di stallo, l’8 agosto, il premier del Quebec, Robert Bourassa, invocò il National Defense Act e chiese che l’esercito canadese, fino a quel momento dietro le quinte, sostituisse la polizia. Il primo ministro Brian Mulroney nominò un mediatore speciale, il giudice capo del Quebec, Alan Gold, per avviare i negoziati con i Mohawk. Il 20 agosto, il 22° reggimento venne schierato in maniera ufficiale ponendo definitivamente sotto assedio la resistenza Kanyen’kehà:ka. Arrivati ai primi giorni di settembre, l’esercito canadese aveva rosicchiato terreno fino ad aver completamente circondato coloro che ancora non si erano arresi e che si trovavano adesso barricati all’interno di un edificio. Iniziò così una trattativa che vide la sua conclusione il 26 settembre, con gli ultimi Kanyen’kehà:ka che lasciarono le barricate.

Nel corso dell’occupazione da parte dei Mohawk, il governo canadese schierò circa 2.000 poliziotti, 4.500 soldati, oltre a più di 1.000 veicoli tra cui mezzi blindati, ruspe ed elicotteri. Decine furono i feriti da ambo le parti e due morti, uno per parte. A seguito di questo violento epilogo di una manifestazione che era iniziata in maniera pacifica, seppur con tanta decisione e determinazione dovuti a centinaia di anni di dominazione e sopprusi, l’espansione del campo da golf venne fermata.

L’esito fu quindi una vittoria delle Prime Nazioni, che ottennero ciò che volevano. Seppur quella terra non sia stata loro restituita, la lotta servì da slancio alle nuove generazioni delle popolazioni indigene di tutto il Nordamerica. Da allora, altre azioni di resistenza indigena si sono susseguite fino ai giorni nostri affinché fossero rispettati i diritti tribali, e altre ne verranno. Proprio i Mohawk stanno adesso affrontando una situazione di crisi ambientale dovuta a una discarica di rifiuti tossici che ha contaminato il lago Deux-Montagnes.

[di Michele Manfrin]

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