Aggressioni fisiche, ronde armate e deportazioni forzate. Son solo alcune delle azioni messe in atto negli ultimi giorni da gruppi di cittadini tunisini ai danni dei migranti subsahariani. A Sfax, la seconda città più grande del Paese nordafricano, considerata un punto strategico per le partenze di chi vuole raggiungere l’Italia via mare – Lampedusa è a circa 130 chilometri di distanza – al tensione è altissima. Una vera e propria guerriglia, che ha raggiunto l’apice dopo la morte di un uomo tunisino di 41 anni, accoltellato probabilmente da alcune persone migranti durante una discussione. «Stiamo per vendicare la sua morte», intonano i cori sollevatisi durante il funerale della vittima. A Sfax le proteste non si sono fermate neppure per un momento. Gli abitanti di diversi quartieri si sono radunati per le strade chiedendo alla polizia di intervenire per sgombrare la città da tutti i migranti irregolari. Richieste in alcuni casi soddisfatte: i video circolati in rete mostrano gli agenti inseguire decine di persone, catturarle e caricarle sulle auto, tra gli applausi dei residenti. In altre immagini si vedono invece dei migranti a terra, con le mani sulla testa, circondati da individui con bastoni in mano.
Les images de #Sfax diffusées sur les réseaux sociaux témoignent d’une véritable violence à l’encontre des migrants subasahariens, comme ici ce groupe de personnes allongées à même le sol sous la contrainte. pic.twitter.com/ck1PB35Mmm
— Nissim Gasteli (@nissssim) July 4, 2023
Non sono mancate perquisizioni, sequestri di telefoni e denaro, allontanamenti e arresti arbitrari, a cui in certi casi hanno seguito, come denunciato da Alarm Phone, rimpatri alla volta di Paesi considerati poco sicuri, come la Libia.
«Un’altra prova che la Tunisia non può essere considerata un paese sicuro», commenta la ONG. L’ennesima, visto che della politica anti migranti portata avanti dal Paese si conoscono i dettagli già da molto tempo.
Sono mesi infatti che Kais Saied – in carica dal 2019 – utilizza i rifugiati come capro espiatorio, nell’eterno tentativo dell’élite di veicolare l’odio delle masse verso il basso, al fine di manipolarle. Il 21 febbraio scorso lo stesso Presidente aveva pronunciato un discorso piuttosto violento, rivolto alla comunità di migranti subsahariani presente sul territorio, accusandola di «portare in Tunisia violenza, crimine e altre pratiche inaccettabili». Saied ha inoltre insinuato che l’arrivo di «orde di immigrati illegali fa parte di un progetto di sostituzione demografica per rendere la Tunisia un Paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Un concetto che riprende quella teoria della “grande sostituzione” cara all’estrema destra occidentale.
Strategia, quella di Saied, che a quanto pare sta dando i frutti sperati, alimentando aggressioni a danni di migranti africani nelle strade. Fino ad ora la polizia ha nella maggior parte dei casi lasciato fare, ed anzi ha partecipato alla repressione dei rifugiati. Le forze dell’ordine hanno arrestato decine di migranti trovati senza documenti e persone originarie dell’Africa subsahariana sono state improvvisamente sfrattate dalla casa che abitavano in affitto.
Preoccupa per questo l’ipotesi piuttosto concreta della firma di un memorandum d’intesa tra Bruxelles e Tunisi, che prevedrebbe stanziamenti per un totale di 900 milioni di euro finalizzati a bloccare le partenze alla volta dell’Europa. Un accordo che non a caso ricorda quello che l’Italia stipula da anni con la Libia – e di cui conosciamo bene limiti e conseguenze per i diritti umani. Il trattato, preannunciato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani che l’ha definito, tra le altre cose, «un sostegno contro il traffico di esseri umani», pare possa essere concluso da un momento all’altro. Soprattutto perché, dall’altra parte, c’è un Paese, la Tunisia, che se da una parte non vorrebbe avere a che fare con i migranti e non vorrebbe ‘gestirli’ per conto dell’Europa, come fa la Turchia, dall’altra ha un urgente bisogno di soldi.
Nonostante la Tunisia abbia rappresentato per lungo tempo il volto riuscito di quelle primavere arabe nate per portare democrazia, ad oggi Saied ha instaurato una vera dittatura. Negli anni i Governi eletti liberamente non sono stati in grado di far fronte alle profonde ferite del Paese – tra cui disuguaglianze sociali e corruzione -, e l’elezione del populista e attuale Presidente non ha fatto altro che inasprire la crisi. La sua politica si è infatti principalmente concentrata ad arginare le libertà e i traguardi raggiunti, eliminando l’opposizione, limitando il potere giudiziario e accentrando su di sé tutti gli incarichi di Governo. Lasciando così scivolare ulteriormente l’economia del Paese nel baratro. Il colpo più basso è stato quello che il Presidente ha inferto alla Costituzione, cambiando quella in vigore: il testo, cioè, redatto dopo la Primavera araba del 2011, e per questo portatore di un grande valore simbolico.
[di Gloria Ferrari]