martedì 19 Marzo 2024

La traduzione corretta della lettera di Julian Assange a Carlo III

I traduttori automatici somigliano attualmente ai primi navigatori satellitari – quelli per la guida in macchina – apparsi sul mercato alla fine degli anni ‘90. Funzionavano, sì, ma spesso ingannavano l’utente e non sempre indicavano il percorso ottimale. (Succede a volte anche con i navigatori più moderni.)  

La stessa cosa si può dire oggi per le app di traduzione più comuni, come Google Translate, DeepL e ChatGPT. Funzionano, sì, ma spesso ingannano l’utente e non sempre forniscono una resa ottimale. 

Ne sono la dimostrazione le recenti traduzioni in italiano della lettera di Julian Assange al Re Carlo III del Regno Unito – quelle che sono apparse su alcuni mass media in Italia. Con poche eccezioni, le redazioni si sono avvalsi di un traduttore automatico (di solito DeepL, che fornisce traduzioni istantaneamente) per essere in grado di diffondere subito la lettera in lingua italiana. Ma con quali risultati? 

Alla lettura della lettera di Julian nella sua versione in lingua italiana, molti sostenitori del giornalista/editore australiano sono rimasti perplessi, qualcuno incredulo e sgomento. Infatti, i traduttori  automatici hanno generato, tutti quanti, una lettera che, all’orecchio italiano di questi sostenitori, suonava pietosa e sottomessa, a tratti inintelligibile e senza uno scopo chiaro. Non si percepiva affatto la voce  sempre pacata ma tagliente e arguto di Julian il fustigatore del Potere, quella voce che aveva ispirato milioni di persone in tutto il mondo sin dalla prima conferenza stampa del cofondatore di WikiLeaks, il 26 luglio 2010 presso il Frontline Club di Londra. 

Che cos’è successo? Dobbiamo concludere che le versioni italiane della lettera di Julian costituiscono un lampante caso di “tradurre/tradire”? Cioè, falsano il vero stato d’anima di Julian e i suoi veri intenti comunicativi? Oppure dovremmo concludere che l’impressione che la lettera in italiano ha generato in molti lettori era giusta. E che, dopo undici anni di reclusione, Julian si sarebbe effettivamente arreso. 

Non ci sono dubbi: si tratta senz’altro di un caso di “tradurre/tradire”. Ma allora come porre rimedio a questo tradimento (per quanto involontario) degli intenti comunicativi espressi nel testo originale?  

Non rimane che chiedere a un traduttore umano di rifare la traduzione per farci sentire davvero la voce di Julian. La sua voce alla Jonathan Swift, maestro della prosa satirica in inglese, colui che seppe usare un  linguaggio sempre elegante e forbito… come una frusta.  

Segue dunque il tentativo, da parte di chi scrive, di tradurre la Lettera al Re rendendo fedelmente tutti gli intenti comunicativi del testo di Assange ma non necessariamente i contenuti semantici: alcuni vengono soppressi o alterati per attenuare l’impressione di eccessiva ossequiosità proprio perché, all’orecchio di un britannico che legge la lettera nell’originale, i termini di rispetto utilizzati – che a noi sembrano  eccessivamente ossequiosi – risultano invece del tutto normali e scontati.  

Inoltre vengono aggiunte, laddove necessario, delle glosse – una ventina – per rendere immediatamente percepibili, ad un lettore italiano, gli intenti comunicativi latenti.  

In sostanza, la lettera verrà tradotta comunicativamente. Spiegheremo meglio la differenza tra la traduzione semantica e quella comunicativa in un futuro articolo incentrato sempre sulla Lettera di Julian al Re e anche su come utilizzare al meglio i traduttori automatici per non essere tratti in inganno. 

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  1. Le frasi ironiche vengono segnalate con un asterisco.  
  2. Le glosse vengono segnalate con la scrittura in neretto.

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A Sua Maestà il Re Carlo III, 

ritengo doveroso cogliere l’occasione della Vostra incoronazione per rivolgervi un sincero invito a  celebrare questa occasione memorabile visitando il Vostro “regno nel Regno”: (*) ovvero, la prigione di  Belmarsh. 

Senza dubbio ricorderete le sagge parole di un famoso drammaturgo:  

“Non s’è clementi per calcolo o costrizione:  

la clemenza è una dolce pioggia spontanea 

che si sparge su ogni terreno, e, dandosi

valorizza sia quel terreno che se stessa.” 

Ah, ma cosa saprebbe della clemenza quel bardo se fosse confrontato con tutto ciò che Voi invece dovete  affrontare all’alba del Vostro storico Regno? Soprattutto tenendo presente che il valore di ogni società si  misura guardando come tratta i suoi ultimi: i carcerati. Ebbene, su questo piano, bisogna riconoscere che  il Vostro Regno detiene molti primati. (*) 

La Prigione Reale di Belmarsh si trova al prestigioso indirizzo di One Western Way, Londra. Dista, dal  Collegio Reale della Marina di Greenwich, meno di una cavalcata di caccia alle volpi, sport che Voi nobili avete praticato da queste parti fin quando non fu messo al bando in quanto crudele. (*) Quanto dovete  essere orgoglioso del fatto che due istituzioni così stimate portino il Vostro stemma! (*)  

È qui dentro che sono detenuti 687 dei Vostri fedeli sudditi, a conferma del primato del Regno Unito come nazione con la più grande popolazione carceraria dell’Europa occidentale. (*) Non solo ma, stando  alle recenti dichiarazioni del governo, il Vostro Regno conosce attualmente «la più grande espansione di  posti in carcere in oltre un secolo». Anzi, le Vostre ambiziose proiezioni mostrano un aumento della popolazione carceraria da 82.000 a 106.000 nei prossimi quattro anni. Una bella incombenza, davvero. (*) 

In qualità di prigioniero politico (*), detenuto per volontà di Vostra Maestà per conto di un sovrano straniero alquanto imbarazzato (*), sono onorato (*) di risiedere tra le mura di questa istituzione, di  livello mondiale. (*) La prigionia politica è illecita? Sciocchezza! Il Vostro Regno non conosce limiti. (*) Un primato anche questo. (*) 

Durante la Vostra visita, avrete l’opportunità di banchettare con le delizie culinarie (*) preparate per i vostri fedeli sudditi (*) alla modica spesa giornaliera di € 2.30 (complessivamente, per colazione, pranzo e cena). (*) Sicuramente un primato. (*) Assaporerete le teste di tonno frullate e le onnipresenti polpette  presumibilmente fatte di pollo e…? (*) Comunque, non vi dovete preoccupare della figura che farete a pranzo o a cena, perché a differenza di istituzioni di poco conto come Alcatraz o San Quentin (*), non ci sono pasti comuni a Belmarsh, non esiste una mensa. I prigionieri mangiano da soli nelle loro celle. Sempre soli, per poter gustare le pietanze nella massima intimità. (*)  

Al di là dei piaceri della bocca (*), posso assicurarvi che Belmarsh offre ai Vostri sudditi ampie  opportunità per elevarsi (*). Come scritto in Proverbi 22:6: «Insegnate al giovane la condotta da tenere e  anche da vecchio non se ne allontanerà». Osserverete, dunque, le lunghe code alla farmacia carceraria,  dove i detenuti si aggregano per avere le loro prescrizioni, non perché ne abbiano bisogno quotidianamente, ma per poter fare un “bagno di folla”, come quando andavano ai concertoni. (*) 

Avrete anche l’opportunità di rendere omaggio al mio amico Manoel Santos tristemente deceduto, un omosessuale che temeva la deportazione nel Brasile di Bolsonaro e che si è tolto la vita a soli otto metri dalla mia cella usando una rozza corda ricavata dalle sue lenzuola. (*) La sua squisita voce tenorile è stata messa a tacere per sempre. (*)

Avventurandovi nelle profondità di Belmarsh, Voi troverete il reparto più isolato di tutti dentro le sue  mura: l’Infermeria (o l’Inferno-ria, come lo chiama amorevolmente chi lo frequenta). (*) Ha regole  accuratamente studiate per la sicurezza: sono una meraviglia. (*) Ad esempio, niente gioco di scacchi per far passare il tempo (sarebbero pericolosissimi), mentre invece il gioco della dama è consentito. (*) 

All’interno della Inferno-ria, si trova il luogo più eccelsamente edificante (*) di tutta Belmarsh, anzi, dell’intero Regno Unito: la Suite (*) “Fine Vita”. Che designazione sublimemente inequivocabile! (*)  Ascoltate attentamente e potrete sentire le grida dei reclusi: «Fratello, qui dentro muoio», un tributo sia a ciò che vuol dire vivere, sia a ciò che vuol dire morire, dentro la Vostra prigione. (*)  

Ma non angosciatevi per così poco (*); perché tra queste mura c’è anche molta bellezza da scoprire. Deliziatevi nel guardare i pittoreschi corvi che nidificano fra il filo spinato (*) e le centinaia di topi affamati che chiamano Belmarsh casa. (*) E se venite in primavera, potreste persino intravedere gli anatroccoli nati dalle uova deposte da germani reali all’interno della prigione. Ma fate presto, perché le loro vite sono fugaci… per via dei topi famelici. (*) 

In conclusione, Vostra Maestà, vi supplico di visitare la prigione di Belmarsh: sarebbe un gesto degno di un re. (*) Vi supplico inoltre, mentre salite sul trono, di ricordare le parole riportate da Matteo (5:7):  «Beati i clementi, perché troveranno clemenza». E possa la clemenza essere la stella polare del Vostro  Regno, sia all’interno che all’esterno delle mura di Belmarsh. 

Il Vostro più devoto suddito, (*) 

Julian Assange 

A9379AY 

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Per dare un assaggio della potente lettura della traduzione  comunicativa in italiano della lettera di Julian Assange al Re Carlo III, alcuni attivisti pro-Assange stanno realizzando un cortometraggio, visibile in anteprima cliccando qui: http://interculture.it/assange/julian-carlo.htm

Per paragonare, paragrafo per paragrafo, (1.) il testo originale, (2.) la traduzione comunicativa e (3.) la  traduzione fornita da Chat GPT, si veda la tabella  disponibile qui: http://interculture.it/assange/tabella.pdf

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Il terzo articolo di questa serie conterrà anche una spiegazione delle differenze tra le “traduzioni  comunicative” e quelle “semantiche”. Commenterà alcuni passi della lettera di Julian dove l’ironia  potrebbe non risultare evidente ad un lettore italiano, indicando le possibili compensazioni. Infine,  verranno fatte alcune considerazioni sui limiti dei traduttori automatici (in particolare quelli basati  sull’intelligenza artificiale) e su come porvi rimedio, usandoli… con intelligenza (quella umana).

[di Patrick Boylan – docente di teoria e pratica della traduzione all’Università Roma Tre, autore del libro Free Assange e co-fondatore del gruppo “Free Assange Italia”]

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