giovedì 14 Novembre 2024

Il Ponte sullo Stretto è senza soldi ma Salvini promette già 100mila posti di lavoro

Il Senato ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto Ponte sullo Stretto, con 103 voti favorevoli, 49 contrari e 3 astenuti. La norma riavvia ufficialmente le attività di  programmazione e progettazione del cavallo di battaglia della destra italiana. Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, raccogliendo l’eredità ideologica di Silvio Berlusconi, ha annunciato entusiasta l’avvio dei cantieri entro l’estate del 2024, 6 miliardi di risparmi per i siciliani e i calabresi e centomila nuovi posti di lavoro. Una sorta di via di mezzo tra i 120mila promessi dal leader del Carroccio dopo la vittoria elettorale e «le decine di migliaia» annunciate lo scorso 17 marzo. Alle stime senza riscontro ha fatto seguito un vuoto: nessun accenno alla crescita dei costi dell’opera, lievitati in poco più di dieci anni del 63%, e tantomeno alle sue coperture finanziarie, sempre più avvolte dal mistero.

La legge approvata dal Parlamento ha rilanciato il progetto presentato nel 2011 da Eurolink: un ponte a campata centrale lungo 3.666 metri, dotato di sei corsie stradali e due binari ferroviari. L’opera immaginata dal consorzio partecipato al 45% da Webuild di Pietro Salini è sprovvista di diverse autorizzazioni, come quella ambientale e paesaggistica, pertanto dovrà essere aggiornata, anche alla luce dell’evoluzione tecnologica dei materiali da costruzione nell’ultimo decennio. Nelle intenzioni del governo, ciò dovrebbe avvenire entro luglio 2024. Poco più di un anno per un lavoro delicato, su cui l’esecutivo non si è sbilanciato più di tanto, e intorno al quale potrebbe ruotare un traffico di risorse prelevabili tra le maglie di qualche ministero.

Nella legge è stato definito anche l’assetto della Stretto di Messina Spa, che conterà su un Consiglio d’amministrazione con 5 membri, di cui due designati dal governo e i restanti dalla Regione Calabria, dalla Regione Sicilia e dall’ANAS. La riattivazione della società chiusa dal governo Monti nel 2012 farà lievitare ulteriormente i costi del Ponte sullo Stretto a causa di diversi contenziosi aperti. In seguito alla decisione dell’esecutivo tecnico, il consorzio Eurolink vide sfumare i contratti con la società e per questo chiese danni per 700 milioni di euro. Altri 90 li ha richiesti Parsons, azienda statunitense tra le più importanti dell’ingegneria civile, per i progetti prodotti. Ai danni si è aggiunta poi la beffa: anche la stessa Stretto di Messina Spa ha chiesto i danni, aprendo un contenzioso con lo Stato per una cifra pari a 325 milioni di euro. Cause in corso, su cui la riapertura dei contratti avrà di certo un impatto.

Negli anni, i costi per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina sono sempre aumentati, complici i lavori di aggiornamento, l’introduzione di nuove tecnologie, il funzionamento della macchina burocratica e l’aumento dei prezzi delle materie prime. Nel 2011, la Corte dei Conti stimava una spesa pari a 6,3 miliardi di euro, passata a 8,5 l’anno seguente. A distanza di un decennio, si prevedono costi per 14,5 miliardi di euro. Stime ancora non del tutto chiare, che vengono corrette al rialzo settimana dopo settimana. Durante la conversione in legge del decreto è stato aggiunto un emendamento che destina 7 milioni di euro alla campagna pubblicitaria del ponte. «Questo emendamento è il simbolo della filosofia della propaganda del Ponte sullo Stretto di Messina, ovvero la mangiatoia di soldi pubblici dello Stato per sostenere un’opera che non ha un piano tecnico economico di fattibilità», ha commentato il portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli.

Ad oggi infatti, come ribadito dall’ultimo Documento di Economia e Finanza (Def), non esistono coperture finanziarie disponibili. Il problema è stato rimandato alla prossima legge di bilancio, guadagnando tempo per condurre un’utile campagna elettorale in concomitanza delle amministrative (domenica i Comuni al ballottaggio si recheranno nuovamente alle urne).
Nel Def emerge che “al finanziamento dell’opera si intende provvedere” tramite le risorse della Calabria e della Sicilia, messe a disposizione dai Fondi per lo Sviluppo e la Coesione europei; soldi a debito, “con priorità a finanziatori istituzionali come la Banca europea degli investimenti”; sovvenzioni europee. Secondo fonti del Ministero dei Trasporti, l’Unione europea sarebbe disposta ad aiutare l’Italia, andando a coprire il 50% dei costi per l’aggiornamento degli studi sull’impatto ambientale dell’opera. Una spesa contenuta, su cui Bruxelles ancora non si è espressa ufficialmente. A Palazzo Chigi attendevano segnali in occasione delle raccomandazioni di primavera, giunte ieri a Roma. Nulla da fare però: le attenzioni della Commissione europea si sono concentrate sul contenimento della spesa primaria netta, sulla cancellazione degli aiuti legati ai rincari energetici e sul superamento delle concessioni balneari.

[di Salvatore Toscano]

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