giovedì 25 Aprile 2024

Il padrino dell’intelligenza artificiale lascia Google

Geoffrey Hinton, 75 anni, si è dimesso da Google, una notizia che assume un’importanza significativa nel momento in cui ci si ricorda che il noto premio Turing sia da molti considerato il “padrino” dell’intelligenza artificiale. Intervistato lungamente dal The New York Times, il professionista ha apertamente ammesso di aver preso le distanze dalla Big Tech poiché profondamente preoccupato dalla piega che stanno assumendo le IA a causa della concorrenza spietata tra Google, Microsoft e i vari poteri internazionali.

Il professor Hinton era finito sotto l’ombrello della nota azienda tech nel lontano 2012, dopo che questa aveva acquisito l’impresa da lui fondata insieme a due suoi ex-studenti al fine di assorbire le loro competenze nel settore dei network neurali, tecnologia meglio nota come la base di addestramento di molte delle intelligenze generative stanno spopolando in questi ultimi mesi. Nel confronto pubblicato mezzo stampa, Hinton sostiene di aver abbandonato il suo ruolo professionale per condividere liberamente con il mondo le sue opinioni riguardanti all’IA.

«Mi consolo ripetendomi la tradizionale scusa: se non l’avessi fatto io, lo avrebbe fatto qualcun altro», ha dichiarato il professore rimpiangendo almeno in parte il ruolo accademico che lo ha portato a essere parte di Bard, l’intelligenza artificiale di casa Google. «È difficile capire come sia possibile prevenire che un malintenzionato possa usare [lo strumento] per scopi malvagi».

A spingere Hinton verso una posizione tanto marcata è stato il rapido progredire dello strumento, il quale ha compiuto in pochi anni passi da gigante, ma anche ciò che il professore e molti altri osservatori considerano un marcato cambio di rotta delle politiche aziendali di Google. Complice la scelta di Microsoft di integrare l’intelligenza artificiale di OpenAI all’interno del proprio motore di ricerca, Google avrebbe messo da parte le opportune precauzioni pur di accelerare la ricerca, avviando una spirale di competizione aziendale impossibile da frenare. 

Nel confessarsi, il ricercatore da voce a tutte le preoccupazioni del caso: l’impatto sul mondo del lavoro, l’impossibilità di distinguere contenuti veri da quelli “allucinati”, ma anche le potenziali ripercussioni imprevedibili dell’aver addestrato strumenti facendo affidamento su di archivi che nessuna sa veramente cosa contengano. Hinton è inoltre tra coloro che sono convinti che, di questo passo, le macchine possano diventare più intelligenti degli esseri umani, pertanto si augura senza troppa convinzione che le varie Amministrazioni si attivino celermente per sviluppare nuove leggi internazionali che vadano ad arginare le insidie del caso. Il professore teme però che le sole norme sarebbero comunque insufficienti: a differenza della ricerca sulle armi atomiche, fa notare il tecnico, è impossibile stabilire se un’entità stia portando avanti indagini sull’IA in segreto.

In relazione alle dichiarazioni di Hinton, Jeff Dean, Capo scienziato di Google, ha cercato di attenuare il colpo attraverso una dichiarazione di natura corporativa: «rimaniamo impegnati nel garantire un approccio responsabile alle IA. Continuiamo a imparare a comprendere i rischi emergenti e nel mentre innoviamo coraggiosamente».

[di Walter Ferri]

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