domenica 15 Dicembre 2024

Perché è buona cosa evitare di mettere foto dei figli piccoli sui social

Si chiama sharenting (dall’inglese share, condividere, e parenting, genitorialità), ed è l’abitudine che molti genitori hanno di mettere assiduamente online contenuti che riguardano i propri figli (foto mentre mangiano o dormono, video del primo giorno di scuola, ecografie, storie sulle attività che svolgono, e così via). Secondo l’ultimo studio della Società Italiana di Pediatria (SIP), pubblicato sul Journal of Pediatrics, ogni anno i genitori postano in media 300 foto dei figli sui social – prima del quinto compleanno ne hanno già condivise quasi 1.000 – spesso senza essere consapevoli dei rischia cui, così facendo, espongono il bambino.

La ricerca dice che le prime tre destinazioni di queste foto sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%), piattaforme che non eccellono di certo nella tutela delle immagini e neppure nella riservatezza dei dati personali. E se apparentemente tutto sembra filare liscio e – a parte qualche like – non sembra accadere nulla di preoccupante, in realtà i contenuti che ritraggono i minori possono anche finire, nei casi più gravi, nel giro della pedopornografia (un’indagine condotta dall’eSafety Commission australiana ha evidenziato come circa il 50% del materiale presente su questi siti provenga dai social media).

Motivo per cui già lo scorso novembre la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Carla Garlatti, aveva richiesto che allo sharenting fossero applicate le stesse disposizioni previste in materia di cyberbullismo, e che tra l’altro consentono ai minorenni – certo, quando l’età gli permette di avere una certa consapevolezza – di chiedere direttamente la rimozione dei contenuti che li riguardano.

Stando ai dati a cui la SIP ha avuto modo di accedere, in media l’81% dei bambini che vive nei paesi occidentali ha una qualche presenza online già prima dei 2 anni: il 33% finisce online addirittura dopo poche settimane dalla nascita e un quarto di loro ancora prima di venire al mondo (negli Stati Uniti il 34% dei genitori pubblica abitualmente ecografie online, percentuale che in Italia si attesta al 15%). Come si è arrivati a questo punto?

“Nella maggior parte dei casi gli intenti dei genitori che condividono foto online dei figli sono innocui”, si legge nello studio. Tuttavia, anche se le immagini che ritraggono il bimbo in attività di vita quotidiana, o in momenti speciali (come compleanni e feste) sembrano del tutto prive di rischi, come ha spiegato Pietro Ferrara, uno dei curatori della ricerca, «non va sottovalutato però che questa pratica può associarsi ad una serie di problematiche che principalmente ricadono sui bambini». Prima fra tutte, il furto di identità: meglio omettere informazioni come la localizzazione o il nome completo del minore. «Dettagli intimi e personali, che dovrebbero rimanere privati, oltre al rischio di venire impropriamente utilizzate da altri, possono essere causa di imbarazzo per il bambino una volta divenuto adulto o possono inavvertitamente togliere ai bambini il loro diritto a determinare la propria identità».

Su questo fronte il nostro ordinamento offre una certa tutela, seppur contraddittoria. Se da una parte l’immagine della persona è protetta da diverse norme – come la legge sul diritto d’autore per cui nessun ritratto della persona può essere esposto senza il suo consenso, o l’articolo 10 del codice civile, che consente la richiesta di rimozione di un’immagine che leda la dignità di un soggetto – dall’altra, nel caso l’interessato sia un minore, è il suo rappresentante legale a dover decidere per lui. Cioè proprio il genitore.

A questo punto non rimane che sensibilizzare sul tema quanti più adulti possibili, visto che a loro è affidato il potere – in parte- di determinare la vita altrui. Un compito di cui potrebbero farsi carico i pediatri che, secondo la Presidente SIP Annamaria Staiano, «dovrebbero supportare le mamme e i papà, bilanciando la naturale inclinazione a condividere con orgoglio i progressi dei figli con l’informazione sui rischi connessi alla pratica dello sharenting», senza sottovalutarne i potenziali pericoli e tutto ciò che comporta in generale.

Costruire il “dossier digitale” di un bambino, senza il suo consenso e senza che lui ne sia a conoscenza, significa di fatto precludergli una libertà di scelta importante tanto quanto quelle che non appartengono al mondo virtuale. Lo dice la Costituzione e pure la Convenzione Internazionale su diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per cui gli interessi e la dignità del minorenne valgono molto più di qualche like.

[di Gloria Ferrari]

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