venerdì 13 Dicembre 2024

Serbia e Kosovo non sono mai stati così vicini a siglare l’accordo di pace

Il presidente della Serbia Aleksandar Vučić e il primo ministro del Kosovo Albin Kurti hanno accettato la proposta dell’Unione europea per normalizzare i rapporti tra i due Paesi. Si tratta di un passo storico che assume ancor più rilevanza alla luce della delicata situazione nei Balcani, con Pristina e Belgrado protagonisti nelle ultime settimane di una escalation di tensione. Per arrivare alla firma e alla ratifica di un accordo giuridicamente vincolante, l’intesa preliminare dovrà essere implementata in incontri futuri. Si tratta di un passo finale che nasconde diverse insidie interne, legate in special modo al forte sentimento nazionalista presente nei due Paesi. Nonostante ciò, al termine della mediazione, l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell si è detto soddisfatto dell’incontro e ottimista per quelli futuri. Se è vero che l’eventuale accordo non si tradurrà in un riconoscimento formale del Kosovo è altrettanto vero che sancirà la nascita di rapporti basati sulla pace, nonché sull’indipendenza come ribadisce l’articolo 4 della proposta UE: “la Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale”.

“Entrambe le Parti saranno guidate dagli obiettivi e dai principi stabiliti nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare quelli dell’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati, del rispetto della loro indipendenza, autonomia e integrità territoriale, del diritto all’autodeterminazione, della protezione dei diritti umani e della non discriminazione”. Così recita l’articolo 2 dell’intesa preliminare accettata dal presidente serbo Vučić e dal primo ministro kosovaro Kurti. Un’intesa che presto potrebbe trasformarsi in accordo vincolante. A rimarcarne l’importanza, nonché le conseguenze sul piano sociopolitico, è il riservo che ha caratterizzato la notizia sulla stampa locale, con l’adozione del temporeggiamento come linea generale. Gli stessi leader tornati in patria dopo il colloquio a Bruxelles hanno gettato acqua sul fuoco, restando vaghi e trasferendo il piano dell’accordo a un tempo futuro non ben definito. La preoccupazione principale è data dalla reazione delle frange nazionaliste, che nelle scorse ore hanno levato la propria voce di protesta nei confronti dell’accordo. A Belgrado, i parlamentari nazionalisti hanno esposto diversi striscioni contro il presidente della Repubblica Vučić e contro il Kosovo, considerato parte materiale e spirituale della Serbia, sede della propria Chiesa.

L’elemento religioso, che a Belgrado spesso si fonda con l’elemento nazionalista, è presente nell’accordo preliminare con l’obiettivo, forse, di tener vivo un certo legame tra i Paesi e contenere il dissenso di una parte del mondo politico nonché della cittadinanza. “Le Parti formalizzeranno lo status della Chiesa ortodossa serba in Kosovo e offriranno un forte livello di protezione ai siti del patrimonio religioso e culturale serbo, in linea con i modelli europei esistenti”, recita l’articolo 7 dell’intesa mediata dall’Unione europea. Tale disposizione ha suscitato il malumore dei partiti kosovari nei confronti del primo ministro Kurti, accusato di “debolezza” nei confronti della Serbia. Allargando poi il discorso dell’autonomia alla dimensione civile, il citato articolo 7 aggiunge che le parti si impegneranno ad “assicurare un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo”. Il riferimento è all’implementazione dell’autonomia amministrativa per il nord del Paese, a maggioranza serba, oltre che per le enclave di Belgrado presenti in Kosovo. Uno status presente già negli accordi precedenti tra i due Paesi, ma non rispettato in passato e dunque ribadito all’interno dell’ultima intesa.

A un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, l’Unione europea ha visto nelle crescenti tensioni nei Balcani un nuovo possibile fronte bellico, per questo motivo ha deciso di intensificare l’operazione diplomatica tra Serbia e Kosovo. Da tale avvicinamento, Pristina ne guadagnerebbe in termini di indipendenza, soprattutto agli occhi della comunità internazionale. Ciò vorrebbe dire convogliare le attenzioni rivolte finora al rapporto col proprio vicino nella gestione dello Stato. Inoltre, vista la mediazione di Bruxelles, non è da escludere un certo impulso alla liberalizzazione dei visti, sul tavolo delle istituzioni europee dal 2012. Tale misura permetterebbe ai kosovari di viaggiare senza richiedere un visto nell’area Schengen per 90 giorni ogni sei mesi. Allo stesso modo, la Serbia potrebbe essere premiata da Bruxelles attraverso la ripresa dei negoziati avviati nel 2014 e permettere così il suo ingresso all’interno dell’organizzazione.

[di Salvatore Toscano]

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