giovedì 28 Marzo 2024

Documentati gli orrori di un allevamento di maiali della “eccellenza italiana” DOP

Il gruppo investigativo dell’associazione animalista Animal Equality ha documentato e rivelato le pratiche in uso dentro un allevamento intensivo di maiali, in provincia di Brescia. Animali agonizzanti, incapaci di muoversi e senza accesso all’acqua, capi morti e contenitori pieni di placenta: sono solo alcuni degli oscuri dettagli emersi dall’indagine condotta negli stabilimenti di un’azienda che – spiega l’organizzazione – «rifornisce alcuni consorzi di prodotti a marchio DOP, simbolo della cosiddetta ‘eccellenza’ del Made in Italy». Eventualità, quest’ultima, confermata anche dalla presenza dei codici che vengono apposti sui capi destinati alla produzione di prodotti certificati. Non è la prima volta che Animal Equality porta alla luce le condizioni in cui versano gli animali allevati in contesti intensivi e, nonostante le varie promesse politiche, ad oggi sembra che nulla sia cambiato.

Madre in gabbia con zampe tra le sbarre [foto di Animal Equality Italia]
L’azienda nel mirino degli animalisti era già stata interessata, nel 2019, da un esposto depositato presso la Procura della Repubblica. Al tempo, sempre attraverso una video-inchiesta, le immagini avevano evidenziato gravi violenze da parte degli operatori nei confronti degli animali allevati. Successivamente Animal Equality ha continuato a sorvegliare l’allevamento fino alle più recenti evidenze. L’organizzazione ha così presentato integrazioni all’esposto del 2019 per segnalare lo stato di degrado generale dello stabilimento, la violazione delle norme sul benessere animale e il verosimile inquinamento ambientale provocato dall’azienda. Riguardo quest’ultimo punto, in particolare, è stata riscontrata una scorretta gestione dei liquami di scarto e, inoltre, «è stata documentata la presenza di altre zone allagate e di liquido sospetto all’interno del fosso adiacente l’azienda», aggiunge l’associazione precisando che «la carica batterica e i componenti presenti all’interno dei liquami (mistura di deiezioni, acqua piovana ed acque di scolo) non sono adatti allo sversamento a terra e ancor meno allo sversamento in fossato, dove le sostanze irregolarmente sversate possono essere trasportate altrove lungo il percorso di deflusso dell’acqua».

Suini in reparto ingrasso [foto di Animal Equality Italia]
L’indagine, al di là delle ideologie, ha quindi rafforzato le evidenze sull’insostenibilità etica e ambientale degli allevamenti intensivi. Oltre al benessere animale, che non viene quasi mai garantito, gli allevamenti intensivi rappresentano infatti una delle principali fonti di emissioni di gas serra a livello globale. Il rilascio di gas climalteranti dagli allevamenti intensivi – secondo un’analisi di Greenpeace – contribuirebbe a circa il 17% delle emissioni totali dell’UE, più di quelle di tutte le automobili e i furgoni in circolazione messi insieme. La stessa valutazione ha evidenziato poi come le emissioni annuali degli allevamenti siano aumentate del 6% tra il 2007 e il 2018, un incremento equivalente a 39 milioni di tonnellate di CO2. Ciononostante, ad oggi, un timido ma concreto passo avanti è stato fatto solo in termini di tutela del benessere animale quando, il 30 giugno 2021, la Commissione europea si è impegnata a vietare definitivamente l’uso delle gabbie negli allevamenti entro il 2027. A livello di impatto ambientale e climatico si procede invece ancora in ordine sparso con vari obiettivi strategici ma nessuna valida norma vincolante. Ad ogni modo, abolire completamente queste infrastrutture produttive sarebbe utopico e controproducente, ma una loro conversione a modelli più sostenibili è tanto inevitabile quanto urgente.

[di Simone Valeri]

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