venerdì 19 Aprile 2024

È stato creato il primo embrione di topo sintetico con un cuore pulsante

Ricercatori dell’Università di Cambridge e del California Institute of Technology sono riusciti a creare il primo embrione di topo in laboratorio sintetico, capace di sviluppare alcune regioni del cervello funzionanti e una struttura simile a un cuore in grado di battere. L’embrione è riuscito a svilupparsi per 8.5 giorni. L’esperimento, pubblicato sulla rivista Nature, è giudicato un passo decisivo nella ricerca ed arriva dopo dieci anni di studi e tentativi. Secondo gli esperti potrebbe aiutare a comprendere perché non tutti gli embrioni diventano dei feti e a sviluppare degli organi umani sintetici idonei per il trapianto. Ma non è tutto: si aprono di fatto le porte a nuove frontiere di ricerca con l’obiettivo di sviluppare forme di vita a partire da cellule staminali coltivate in laboratorio, senza utilizzo di spermatozoi e capaci di svilupparsi all’esterno della madre. Una frontiera necessariamente destinata ad aprire nuovi discussioni etiche.

L’embrione di topo sintetico è stato creato imitando i processi naturali in laboratorio, con la coltivazione di tre diversi tipi di cellule staminali presenti nel primo sviluppo dei mammiferi. I ricercatori sono riusciti a farle interagire tra loro, in modo che si assemblassero spontaneamente, senza ricorrere a particolari stimoli esterni. In questo modo l’embrione è cresciuto arrivando a 8,5 giorni – quasi la metà del tempo di gestazione del topo (circa 20 giorni) – dando origine a una struttura complessa e differenziata comprendente alcune regioni cerebrali, il tubo neurale che dà origine al sistema nervoso, una struttura simile a quella cardiaca in grado di pulsare, e il sacco vitellino da cui l’embrione riceve i nutrienti nelle prime settimane. Fino al settimo giorno gli embrioni sintetici sono cresciuti in un piattino, dal settimo all’ottavo giorno sono stati inseriti in un particolare macchinario, una sorta di utero artificiale, che ha fornito loro glucosio, vitamine, ossigeno e CO2 per la differenziazione e la formazione di tessuti e organi.

La tecnica utilizzata è stata messa a punto da Jacob Hanna, biologo israeliano a capo del team del Dipartimento di genetica molecolare del Weizmann Institute of Science, il quale ha sviluppato l’incubatrice che è stata in grado di coltivare embrioni naturali di topo al di fuori dell’utero per sei giorni. Il procedimento scientifico prevede l’inserimento degli embrioni in fiale di vetro ruotanti in un sistema simile a una ruota panoramica, dotato di ventilazione per il controllo della pressione e della miscela di ossigeno e anidride carbonica che entra nelle fiale. Il gruppo di ricerca israeliano ha condiviso il meccanismo alla base del dispositivo scientifico con altri biologi, tra cui quelli dell’università di Cambridge i quali, apportando qualche piccola modifica, hanno utilizzato “l’utero artificiale” per la coltivazione dei loro embrioni. Non solo, come “prova del nove”, questi hanno condotto un esperimento durante cui hanno eliminato il gene Pax6 che detiene un ruolo chiave nello sviluppo del cervello. Ciò ha provocato l’arresto della corretta formazione delle parti neurali, analogamente a quanto accade negli embrioni naturali privi di questo gene. Una dinamica che ha dimostrato la validità del procedimento scientifico: le cellule staminali si sono combinate in palline, le quali hanno poi dato il via alla creazione di tessuti e organi distinti, creando degli embrioni uguali per il 95% a quelli naturali, in termini di struttura interna e profili genetici delle cellule.

Nell’ottica dei ricercatori questi modelli embrionali sintetici hanno più vantaggi degli embrioni naturali perché, crescendo al di fuori dell’utero, sono più facili da osservare e “manipolare” geneticamente. In più, se la tecnica sperimentata nei topi, applicata alle cellule staminali umane darà il successo sperato, i ricercatori hanno assicurato che si arriverà alla creazione in laboratorio di organi per i trapianti. Ma tradurre questo lavoro in ambito umano non sarà semplice, specialmente considerando che il raggiungimento dello stadio di formazione degli organi avviene circa un mese dopo la fecondazione.

Una sfida scientifica non solo significativa, ma causante anche preoccupazioni etiche: gli embrioni sintetici umani come sarebbero classificati? Le correnti che ritengono che l’embrione sia già considerabile una vera e propria forma di vita umana sono già sulle barricate di fronte alla prospettiva di avere embrioni umani sintetici utilizzati come cavie da laboratorio per l’espianto di cellule, tessuti e organi al fine di salvare altre persone. Inoltre, al netto dei dilemmi etici sugli embrioni, la domanda di fondo rimane sempre la stessa: fino a che punto è lecito spingere la scienza nell’obiettivo di sviluppare forme di vita in laboratorio? Un quadro decisamente complesso che nei prossimi anni è certamente destinato a far parlare e a dividere. 

[di Eugenia Greco]

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