Secondo le stime del governo Draghi, ad oggi il nostro paese avrebbe già dovuto incassare la metà dei 10 miliardi di euro provenienti dalle tasse sugli extra profitti delle aziende energetiche (produttori, importatori e rivenditori di gas e petrolio) ottenuti per via dell’aumento del prezzo dell’elettricità e del gas. Ma le cose non sono andate proprio così. In concreto, delle 11mila aziende che per il ministero dell’Economia avrebbero dovuto sottostare alla misura (decisa a marzo scorso), solo in pochissime hanno deciso di pagare perché sicure che a breve questa verrà dichiarata incostituzionale dalla Corte. Di fatto nelle casse dello Stato è arrivato “solo” un decimo di quanto previsto. Così, mentre i cittadini sono alle prese con l’inflazione e il caro bollette le aziende del settore si stanno arricchendo più di prima.
A pagare le conseguenze dei battibecchi formali tra stato e i “signori dell’energia” sono ancora una volta i cittadini. Quei 10 miliardi – calcolati tenendo conto dei profitti in più incassati dalle imprese nel periodo fra il 1° ottobre 2021 e il 30 aprile 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – sarebbero infatti stati impiegati, secondo l’accordo, per finanziare misure in sostegno di famiglie e imprese in difficoltà (che fanno fatica, ad esempio, a far fronte al rincaro delle bollette). Insomma, con 23 miliardi il Governo avrebbe potuto rimpolpare – e non di poco – i sostegni, ma dovrà cavarsela con i 14,3 che erano già stati messi a disposizione.
Il Governo però ci spera ancora: nei prossimi mesi le aziende energetiche avranno – se lo vorranno – la possibilità di rimediare. Per novembre è infatti previsto il versamento della seconda “rata”, che ammonta al 60% della tassa totale. Per il Ministero dell’Economia “i contribuenti hanno ancora la possibilità di pagare quanto dovuto, ancorché in ritardo, secondo le regole del ravvedimento operoso”. Anche Draghi ha mostrato una linea dura nei confronti delle società energetiche, ribadendo che «Se non c’è una risposta siamo pronti a mettere mano ad altri provvedimenti».
Ma, guardando ai dati forniti dalle aziende energetiche, è difficile pensare che alla fine si riesca ad arrivare a quel tesoretto da 10 miliardi: Eni ha calcolato che la sua imposta debba aggirarsi attorno ai 550 milioni di euro, Enel circa 100, ed Edison 78. Se nemmeno le tre più grandi imprese riescono insieme ad arrivare al miliardo, figuriamoci con quanto poi possano contribuire imprese “più piccole” come Iren e Acea.
Effettivamente però la Corte Costituzionale potrebbe davvero sospendere tale misura – era già successo nel 2008 con una tassa sulle società energetiche varata da Berlusconi, giudicata incostituzionale qualche anno dopo. La consulta assume infatti un ruolo importante quando si tratta di contributi, di qualsiasi tipo. E può essere chiamata a verificare che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” e che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Entrambi principi previsti e sanciti dalla Costituzione. Inoltre per le aziende i provvedimenti governatici sarebbero da giudicare incostituzionale anche perché il lasso di tempo preso in considerazione dal Ministero esamina un periodo di tempo (l’inverno 2020-21) trascorso in parte in lockdown e con prezzi più bassi del solito (dunque il paragone non reggerebbe).
Al momento la partita rimane aperta. Non possiamo prevedere come andrà a finire, ma certo è che siamo molto lontani dalle misure prese da alcuni paesi nel resto d’Europa per contrastare la crisi. È il caso della Spagna, che tasserà banche e società energetiche per i prossimi due anni per aiutare i cittadini e offrirgli mezzi pubblici gratuiti.
[di Gloria Ferrari]
Il governo dei migliori. Non sono nemmeno in grado di scrivere una legge