mercoledì 30 Aprile 2025

Pesticidi, additivi e conservanti nel cibo: è davvero così grave ingerirli?

Pesticidi, additivi di vario tipo e conservanti sono sostanze che oggi troviamo praticamente nella totalità dei prodotti alimentari e sono un prodotto dell’industrializzazione della filiera agroalimentare, avvenuta in maniera strutturale ed estesa a partire dal secondo Dopoguerra, quindi dagli anni 50 del secolo scorso in poi. In un periodo di appena 70 anni tutto il modo di produrre cibo, di conservarlo e perfino di consumarlo è stato praticamente stravolto rispetto ad un passato di millenni, in cui l’umanità aveva sempre utilizzato in pratica le stesse modalità di accesso e consumo al cibo, con pochissime variazioni avvenute soltanto 10 mila anni fa, con il passaggio dall’era dei popoli cacciatori-raccoglitori a quella dell’allevamento e agricoltura dei popoli stanziali. 

L’industria alimentare globalizzata non può farne a meno

L’industrializzazione prima e la globalizzazione poi del settore alimentare sono nate, secondo la narrazione ufficiale, per far fronte alla esplosione demografica del secondo dopoguerra nei Paesi occidentali e rispondere ai bisogni alimentari di base. Pertanto le superfici agricole sono aumentate, come anche le rese per ettaro, e stabilimenti sono spuntati come funghi. Per dare da mangiare all’umanità affamata, centinaia di gigantesche navi porta-container, migliaia di aerei e milioni di camion percorrono il globo giorno e notte. Questa potente macchina industriale ed organizzativa è servita e serve ancora oggi a sfamare quasi 8 miliardi di esseri umani. Peccato che tutto ciò sia in gran parte una bugia, infatti ancora oggi circa 1 miliardo di esseri umani si trova in una condizione di fame e malnutrizione che causa parecchi decessi ogni giorno. Si stima che nel 2020 il 12% (dall’8,4% del 2019) della popolazione mondiale abbia vissuto uno stato di grave insicurezza alimentare, circa 928 milioni di persone, 148 milioni in più rispetto al 2019.

La verità è quindi che questa macchina industriale si applica solo ad alcuni continenti del pianeta, ma non è stata estesa a gran parte del continente africano, ad alcune zone dell’Asia e del Sudamerica, dove i camion che portano merci alimentari da consegnare nei supermercati o nei depositi di stoccaggio non arrivano, semplicemente perché nessuno ha ancora mai costruito supermercati in questi posti abbandonati del pianeta. Possiamo invece senz’altro vedere che le multinazionali dell’Occidente hanno gestito e sfruttato cave per l’estrazione di minerali necessari alla produzione di computer, cellulari o auto elettriche, pozzi per l’estrazione di petrolio e altre risorse da usare nel mondo cosiddetto “civilizzato” e così via. Insomma, i soldi e le risorse sono stati impiegati per lo sfruttamento dell’Africa più che per dare a questo continente uno sviluppo economico e garantirne il benessere.

Ma ammettiamo che fosse tutto vero e che questo sistema industriale e globalizzato di produzione degli alimenti serva effettivamente a sfamare tutti, non sarebbe utile chiedersi se esistono delle contropartite negative per la salute dei consumatori e del pianeta nel seguire un tale modello? Una volta risolto il problema della quantità di cibo per tutti (non proprio per tutti, come abbiamo visto…), resta ovviamente da affrontare la faccenda della qualità: questo cibo industriale è anche salutare e sicuro?

La parte oscura dell’industrializzazione

I guadagni in termini di rendimento economico per ettaro di questo modello industriale derivano sostanzialmente da diversi fattori tecnici, tra cui principalmente: la meccanizzazione e automazione dei processi, l’utilizzo di fertilizzanti chimici e pesticidi e la selezione varietale e genetica. Sorvolando sui danni per così dire “collaterali” legati all’eccessivo consumo energetico, agli effetti nocivi per l’ambiente e la biodiversità, all’inquinamento dell’aria e delle falde, per interessarci più direttamente a quello che poi ritroviamo nei nostri piatti e che non dovrebbe esserci. 

Tutti abbiamo sentito parlare di pesticidi, prodotti chimici tossici come fungicidi, insetticidi, erbicidi e antiparassitari. Meno conosciuti sono altri prodotti chimici largamente impiegati dall’agricoltura industriale sulle coltivazioni, ugualmente tossici. Ad esempio i cosiddetti “regolatori della crescita” di cui nessuno parla mai (che l’industria chiama spesso col termine meno allarmistico di fitofarmaci), e che modificano gli equilibri ormonali della pianta per influenzarne lo sviluppo e ottenere così dei frutti più abbondanti, più colorati, con fusti più o meno robusti e lunghi. In pratica stiamo parlando di ormoni della crescita, l’equivalente vegetale di ciò che si impiega negli allevamenti industriali per far crescere più in fretta gli animali, per stimolare una maggiore produzione di latte ecc. 

Ad esempio, per evitare che il grano si alletti (si pieghi verso il suolo) e aumentare così la resa, è possibile rafforzare il suo gambo e usare un prodotto che si chiama Medax Top della BASF. Sicuramente fa il suo lavoro egregiamente, ma il gigante della chimica tedesco e leader mondiale del settore indica comunque sulla sua scheda tecnica che il prodotto è nocivo in caso di ingestione, nocivo per gli organismi acquatici, e che determina effetti nefasti a lungo termine”.

Un altro fitormone ampiamente utilizzato in agricoltura, per la produzione di uva da vino (per quella da tavola non è ammesso l’uso) è il Sierra, sempre della BASF, che ha la funzione di distruggere i grappolini piccoli (che madre natura invece contempla), diradare le viti e regolare la maturazione dell’uva rossa. Il Sierra, sempre secondo il produttore, “provoca lesioni oculari gravi, è corrosivo per i metalli e nocivo per gli organismi acquatici a lungo termine”. 

Prodotti simili esistono per tutti i generi di ortaggi e frutti, ovviamente, e possiamo citare quelli usati per la produzione di pomodori o mele.

Non si tratta dunque di sostanze innocue o di semplici concimi naturali, ma di complessi prodotti chimici con effetti collaterali dichiaratamente nocivi per esempio per l’ingestione (un residuo più o meno importante nel prodotto finito c’è sempre e quindi viene ingerito) oppure per organismi acquatici come pesci e alghe nei fiumi e nei mari. È importante sottolineare subito che questi prodotti sono largamente utilizzati nell’agricoltura convenzionale ma non trovano nessun impiego in quella biologica in quanto sono espressamente vietati. 

Come vengono fissate le soglie di sicurezza per i residui di pesticidi?

A questo punto la classica argomentazione dell’industria a favore dell’utilizzo costante e indiscriminato di pesticidi, fitofarmaci e fertilizzanti chimici è quella del “i residui presenti negli alimenti sono al di sotto delle soglie di sicurezza stabilite dai limiti di legge”. In pratica, esiste una legislazione europea che fissa i livelli massimi di residui di pesticidi utilizzati, parliamo del Regolamento 396/2005 del Parlamento e del Consiglio europeo.

Quindi per quanto riguarda la protezione della salute dei consumatori possiamo dormire sonni tranquilli? I regolamenti di legge ci tutelano dai pericoli, basta che i produttori rispettino i limiti massimi consentiti? Non è affatto così, innanzitutto perché di default un certo numero di produttori non rispetta i limiti massimi di utilizzo e questo emerge dai report statistici presentati periodicamente dalle autorità preposte ai controlli e alla repressione frodi. I prodotti fuori norma finiscono sempre sul mercato e vengono consumati dai cittadini, anche se ogni anno vi sono una certa percentuale di controlli a campione (molto pochi) e vengono bloccati o ritirati dal commercio i campioni irregolari. Una parte viene bloccata, ma una parte sfugge sempre inevitabilmente ai controlli e finisce nella pancia dei consumatori, tanto per essere chiari. Quindi la massima che “tanto ci sono i controlli” non regge all’atto pratico, perché il danno si produce ogni anno e le sostanze fuori norma vengono mangiate dai consumatori. Tra l’altro, negli ultimi anni in Italia, stando ai report ufficiali del Ministero della Salute, le infrazioni sono in costante aumento.

[Fonte: Ministero della Salute, report 2019]
In secondo luogo, anche quando i residui di pesticidi e altri fitofarmaci risultano entro i limiti di legge, va detto che queste soglie limite sono state stabilite in maniera piuttosto arbitraria e poco oggettiva, non garantendo affatto una tutela e una sicurezza ineccepibili. Infatti, come dichiara con orgoglio il Ministero dell’Agricoltura e dell’Alimentazione francese sul proprio sito, la fissazione dei livelli massimi di residui nei prodotti alimentari vegetali (frutta e verdura, cereali ecc.) tiene conto delle realtà agronomiche ma anche delle esigenze tossicologiche. In pratica, ciò significa che i livelli non sono fissati esclusivamente in base al criterio della tossicità, ma anche in funzione dell’importanza del pesticida per l’agricoltura e per le imprese produttive e distributive di tale settore agricolo. In altre parole, le norme sono a geometria variabile, non in base alla sola pericolosità della sostanza, ma in base alla sua utilità economica. Prendiamo il caso concreto di un pesticida molto conosciuto, il Glifosato, che dimostra come appunto le soglie limite di sicurezza, o meglio i Limiti Massimi di Residui, come li chiama la legge (LMR), sono fissati a discrezione e seguendo logiche favorevoli al commercio e ai profitti più che ad esigenze di precauzione e massima tutela dei cittadini. 

Dal 2015, l’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC), che dipende dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), afferma che il glifosato “è genotossico e probabilmente provoca il cancro nell’uomo”. Sostanza genotossica significa che è in grado di determinare dei gravi danni al DNA, ai geni appunto. Inoltre è sospettata di essere anche cancerogena, come si legge dai documenti ufficiali. Il glifosato è il principio attivo del famoso diserbante Roundup della Monsanto, azienda rilevata recentemente dalla tedesca Bayer, e il suo LMR (livello massimo residuo) è, ad esempio, di 0,1 mg/Kg per i pompelmi, le albicocche e le fragole, ma per le arance, i mandarini e l’uva è di 0,5 mg/Kg, ossia cinque volte più alto. Di conseguenza le norme ufficiali ci dicono che non bisognerebbe per nessun motivo consumare fragole con 0,2 mg/Kg di residuo di glifosato, ma che non ci sarebbe pericolo a mangiare dell’uva che ne avesse, ad esempio, 0,4 mg/Kg, cioè il doppio della dose precedente. Da un punto di vista nutrizionale e di valore scientifico questo dato non ha alcuna logica e senso, è evidente che tali limiti sono fissati in base a logiche e dinamiche che regolano i flussi di merci e i profitti sul mercato. Probabilmente applicare un limite severo all’uva, come avviene per fragole e pompelmi, penalizzerebbe la produzione di vino nel mondo e taglierebbe molti profitti.

Effetto tossico non dose-dipendente ed effetto cocktail

Il principio di questi LMR deriva dall’antico dogma formulato dal medico svizzero Paracelso (1493-1541): “È la dose che fa il veleno”. Quindi è sempre stabilito dall’autorità che al di sotto di una certa soglia (LMR), l’effetto tossico della molecola non si manifesta e che non c’è pericolo nel rintracciarla a bassa concentrazione nei nostri generi alimentari e nel nostro organismo.  

Solo che, dal XVI secolo ad oggi, le conoscenze scientifiche sono progredite: l’industria chimica produce decine di migliaia di molecole di sintesi tossiche nei confronti delle quali siamo molto vulnerabili, perché il nostro organismo non ha avuto il tempo di adattarvisi. In pratica al nostro DNA piace il cibo senza chimica, senza additivi e sostanze tossiche, perché esso è stato esposto a tale cibo naturale privo di chimica aggiunta per millenni.

Adesso si sa che certi composti, per essere esatti le molecole genotossiche e cancerogene (come ad esempio il glifosato, secondo l’AIRC), hanno un effetto tossico lineare e senza soglia. Il che significa che fissare un LMR per questo tipo di molecole è un’eresia, perché sono attive e pericolose molto al di sotto di questa soglia illusoria. E questo è ancora più marcato nel caso dei perturbatori endocrini (sostanze usate come additivi nei processi alimentari, nelle plastiche e pellicole alimentari ecc, tipo Bisfenolo, BHA, Triclosan), che presentano una risposta non monotona con una curva dose-risposta non lineare, ma a forma di U o di J. Dosi basse possono dunque avere un effetto più marcato delle dosi medie. Questo è il pensiero di studiosi come Gerard Pascal, membro dell’Accademia dell’Agricoltura di Francia, nella sua analisi del 2016 sui perturbatori endocrini pubblicata su Association Francaise pour l’Information Scientifique. In poche parole ciò significa che, al di sotto di una certa soglia, la tossicità dei perturbatori endocrini non diminuisce quando si abbassa la dose, ma rimane identica o addirittura può aumentare

Un altro elemento molto importante che dobbiamo considerare è che ogni LMR è fissato per una coppia pesticida/alimento di base, e molto semplicemente non esistono LMR per una miscela di pesticidi. Questo però pone un problema, perché nei trattamenti che si fanno nelle coltivazioni agricole si usano sempre più molecole durante l’annata agricola, ovvero non ci si limita ad usare un solo pesticida ma se ne usano diversi, come anche diversi tipi di fertilizzante chimico. Con una miscela di 3 pesticidi diversi, e spesso anche molti di più fino a 20, queste miscele vengono definite cocktail di pesticidi negli articoli scientifici che se ne occupano. Pertanto si parla di effetto cocktail del residuo di pesticidi e altre sostanze chimiche (fertilizzanti, perturbatori endocrini, conservanti, ecc.) non quantificabile in termini di tossicità sull’organismo. Quello che la scienza conosce e ha studiato fino ad oggi è solo l’effetto tossico di ciascuna singola molecola, ma non quello derivante dall’interazione di più molecole. Questo effetto è praticamente impossibile da studiare. Ma il cocktail esiste ed è la norma nei modelli di agricoltura convenzionale (non biologica). Quali saranno gli effetti a medio e lungo termine dei cocktail di pesticidi quotidianamente ingeriti, se molto saggiamente mangiamo le nostre cinque porzioni di frutta e verdura al giorno raccomandate dagli esperti? Quali gli effetti combinati con altri inquinanti a cui il nostro organismo è sottoposto? Nessuno lo sa, sebbene numerosi oncologi, allergologi e altri esperti abbiano comunque una piccola (funesta) idea in merito.

Limiti Massimi di Residui (LMR) ed EFSA 

Per farla finita con gli LMR e infrangere le vostre ultime illusioni sul Food business e la sicurezza del modello industriale di produzione degli alimenti, sappiate che questi LMR sono sono fissati su decisione della Commissione europea in seguito a un parere espresso dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA, European Food Safety Agency) in base a dossier presentati dai produttori, basati su studi e dati forniti dagli stessi. Quindi si tratta di decisioni più di tipo economico e politico che scientifico e sanitario. Secondo un rapporto di Hans Muilerman di Pesticide Action Network, datato 2018, la quasi totalità dei metodi europei che servono alla valutazione dei pesticidi sono concepiti dall’industria stessa

Da anni l’EFSA è al centro di polemiche per la mancanza di trasparenza e per i conflitti di interesse di alcuni dei suoi membri. Nel giugno 2017, il rapporto Recruitement Errors del Corporate Europe Observatory ha stimato che il 46 per cento degli esperti presenti nei gruppi scientifici dell’EFSA avevano dei conflitti di interesse finanziari diretti o indiretti con le industrie dell’agrobusiness e del settore alimentare. Il Corporate Europe Observatory è una ONG che lotta contro l’influenza occulta delle multinazionali e delle loro lobby sulle politiche europee. 

Additivi e DGA

Tutto quello di cui abbiamo parlato finora sui pesticidi si applica esattamente nello stesso modo alle centinaia di sostanze chiamate “additivi alimentari”, molti dei quali riconosciuti come tossici e per i quali non si parla di LMR ma di DGA (dose giornaliera ammissibile). Anch’essi sono valutati e autorizzati dall’EFSA, e li si ritrova in quantità nella quasi totalità dei nostri prodotti alimentari industriali. Si aggiungono ai cocktail di pesticidi che ingeriamo tutti i giorni della nostra vita e che, senza dubbio, contribuiscono a renderla un po’ più corta. Ma c’è una cosa ancora più scandalosa e inaccettabile: certi additivi, per quanto riconosciuti come tossici da decenni, come l’alluminio per esempio, non hanno neppure una DGA definita. La normativa europea precisa solamente che le dosi utilizzate devono essere impiegate quantum satis, vale a dire “quanto basta”. Quanto basta alle industrie produttrici per ottenere l’effetto tecnologico che serve a loro ottenere quando si inserisce l’alluminio nei prodotti alimentari. Per esempio l’alluminio puro (E173) si inserisce all’interno dei coloranti alimentari per rendere i colori più brillanti (metallizzati) e per rendere il composto colorante più stabile e duraturo, non soggetto a variazioni di umidità e temperatura. 

Eppure, nonostante le evidenze scientifiche incontestabili, chi detiene il potere decisionale su additivi e pesticidi tira dritto e non valuta abbastanza il principio di precauzione, che invece dovrebbe guidare la mano del legislatore quando si parla di salute dei consumatori e sostanze tossiche. Perché usare le sostanze tossiche anziché usare sostanze naturali che abbiano lo stesso effetto tecnologico ma senza rischi? Il fatto è che per il momento non si investono risorse in ricerca e sviluppo nel settore delle risorse naturali applicate ai processi di produzione alimentare. Non risulta essere ancora una priorità per le classi politiche al potere. Quando mai lo diventerà?

Per chiudere sulla pericolosità o meno del cibo industriale per la nostra salute, vi segnalerò le conclusioni inequivocabili di uno studio molto importante e recentissimo (2018), di cui tanti giornali hanno parlato. Si tratta dello studio dell’INSERM (Istituto nazionale francese della Salute e della ricerca medica) pubblicato sulla prestigiosa rivista medica British Medical Journal. Questa ricerca, di un’ampiezza assolutamente incredibile, condotta su 105.159 persone a partire dal 2009, dimostra che un aumento del 10 per cento del consumo di cibo industriale contenente vari additivi alimentari (cibo definito ipertrasformato) aumenta del 12 per cento il rischio di contrarre un tumore. Il problema principale, con questo tipo di cibi spazzatura e industriali, è che ci si intossica lentamente, in maniera insidiosa. Salvo il caso di un’intossicazione grave (come la salmonella), nessuno muore all’improvviso dopo aver ingurgitato una pizza surgelata piena di additivi residui di pesticidi. I problemi di salute legati a questo modo di nutrirsi compaiono dopo anni di cattiva igiene alimentare. E non sono insignificanti, perché quando si innesca un cancro al fegato o un diabete di tipo 2, le conseguenze sono sempre drammatiche e l’esito spesso è fatale. Ecco cosa dichiarava nel settembre 2017 il giurista belga Olivier De Schutter, non esitando a parlare di epidemia:« L’economia alimentare a basso costo che è stata messa in atto per aiutare le famiglie povere a nutrirsi ha un impatto sulla loro salute. L’Unione Europea si trova di fronte a una vera e propria epidemia in materia di salute pubblica: più della metà degli adulti della UE soffrono di sovrappeso o di obesità. Le malattie legate all’alimentazione, come il diabete di tipo 2 e le malattie cardiache, sono responsabili del 70 per cento dei decessi. E il problema non fa che peggiorare: fino a un terzo dei bambini di età compresa tra i 6 e 9 anni sono ora in sovrappeso o obesi ».  

Allora, in conclusione secondo voi, quando parliamo di pesticidi, additivi, conservanti, è grave o no mandarli giù?

[di Gianpaolo Usai]

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