venerdì 19 Aprile 2024

Esplode la rabbia dei pescatori italiani contro il caro gasolio

Proseguono ormai da settimane gli scioperi dei pescatori in tutta Italia per protestare contro il rincaro dei prezzi del carburante. Già lo scorso marzo si erano verificate le prime proteste che si sono poi intensificate da fine maggio coinvolgendo tutta la costa Adriatica – dalle Marche alla Puglia – la città di Napoli, la Sicilia e la costa del Tirreno. Sono molti i problemi che da tempo affliggono la pesca italiana oltre all’aumento dei prezzi del gasolio: tra questi la concorrenza straniera e l’alta pressione fiscale. Per questo ad Ancona a fine maggio gli armatori hanno protestato sotto la prefettura e al porto dorico hanno impedito lo scarico di tre tir che trasportavano pescato straniero fino alle quattro di mattina.

È chiaro che ora a gettare benzina sul fuoco su un settore già precario e in forte difficoltà è il caro carburante innescato dalle tensioni geopolitiche e da politiche poco lungimiranti che hanno favorito la speculazione finanziaria su materie prime essenziali. I costi per i pescatori sono così diventati insostenibili, costringendoli a lavorare in perdita. Apollinare Lazzari, a capo dell’Associazione produttori e pescatori di Ancona, ha spiegato chiaramente la situazione: “Ora paghiamo il carburante 1 euro e 20 centesimi al litro. Una barca consuma sui 3000 litri al giorno. Ed è chiaro che così non si può andare avanti. Noi, a differenza di altre imprese, non possiamo scaricare il costo sul prodotto. A noi serve un aiuto diretto, immediato. Non chiediamo sconti o altre agevolazioni, ci occorre solo che il gasolio non superi un certo prezzo, così da poter lavorare”.

 

Ieri è stato dunque il turno dei pescatori siciliani che hanno ormeggiato le loro barche nei porti di Portopalo Siracusa, Marzamemi, Scoglitti, della provincia di Ragusa, Cefalù e Sciacca. Anche una parte della marineria di Catania ha aderito allo sciopero e l’altra parte lo farà a breve. Fabio Micalizzi, presidente della Federazione armatori Sicilia ha chiesto che venga messo un tetto massimo al prezzo del gasolio e che venga aperta un’indagine dalla Procura per stabilire eventuali responsabilità di speculazioni. Ha dunque asserito che “Se prima c’erano barche che spendevano 2-3 mila euro di carburante ora ne spendono ben più del doppio. Non è più tollerabile. Il sistema pesca in Sicilia e nel resto d’Italia va verso il fallimento. La pesca è un settore ormai ko”. Sono affermazioni forti e particolarmente allarmanti che richiederebbero immediate iniziative politiche, in quanto il settore ittico rappresenta una componente importante non solo del commercio, ma anche della cultura gastronomica italiana e incide sul settore della ristorazione con forti ripercussioni anche sull’indotto turistico. Si rischia così di creare una spirale negativa che si aggiunge a un’inflazione già galoppante riguardante ormai la maggior parte delle materie prime.

Il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, su Radio Anch’io ha affermato che il governo ha già provveduto ad erogare due fondi da 20 milioni di euro, uno quest’anno e uno l’anno scorso: “Le azioni sia in Europa che in Italia ci vengono riconosciute come le migliori possibili” ha dichiarato. Tuttavia, alla luce dei fatti, queste misure paiono prive dell’impatto necessario per risollevare le sorti del settore, in quanto i pescatori continuano ad essere impossibilitati a svolgere il loro lavoro, schiacciati dall’esponenziale aumento dei costi. È lecito, dunque, domandarsi se e come siano stati effettivamente erogati tali fondi.

Per non parlare poi della spietata concorrenza estera da parte di Paesi come Spagna, Grecia e Nordafrica, dove il carburante costa meno della metà, e resa possibile anche dalla mancanza di qualunque misura protezionistica tesa a difendere i nostri mari e a rendere competitivi i nostri prodotti ittici: mentre, infatti, le flotte italiane sono state costrette a fermarsi, aumentano esponenzialmente le importazioni di pesce dall’estero. Secondo le stime di Coldiretti Impresa pesca, sarebbero otto su dieci i pesci arrivati da fuori Italia sui mercati della penisola. Sempre Coldiretti denuncia che questo stato di cose ha portato la flotta peschereccia pugliese a perdere oltre un terzo delle imprese e 18.000 posti di lavoro, “con un contestuale aumento delle importazioni dal 27% al 33%”.

Per pronta risposta, alle comprensibili proteste delle associazioni di categoria in tutta Italia non solo i rappresentanti di governo non hanno ricevuto alcun delegato del settore, ma si sono anche registrati episodi di tensione con la polizia, la quale ha impedito a un gruppo di pescatori riunitosi pacificamente a Roma di dirigersi verso il ministero dell’Economia.

Al momento nessuna iniziativa è stata presa per attenuare il rincaro dei prezzi ed è prevedibile che, se non verranno presi immediati e concreti provvedimenti, si rischia la serrata totale delle marinerie, con conseguenze che si ripercuoteranno sull’intero sistema economico italiano. Quest’ultimo già seriamente provato da una ripresa incerta, ulteriormente indebolita da scelte politiche che si stanno rivelando contrarie agli interessi nazionali.

[di Giorgia Audiello]

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3 Commenti

  1. Qui è il caso di citare “ il pesce puzza dalla testa “ , se non ci libereremo al più presto del nostro curatore fallimentare il Dragone è tutta le sanguisughe che lo sostengono , faremo chiudere tutti i nostri settori per regalarli a paesi stranieri, ma se non arriverà un aiuto dall esterno sarà molto dura .
    W gli italiani veri

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