martedì 15 Ottobre 2024

Allenarsi ai sogni

“I poliziotti si muovono con rapidità da una parte all’altra come cacciatori di farfalle. I pazzi del principale manicomio della città scorrazzano per le strade e i parchi confinanti con l’ospedale, in un’incredibile rivelazione di libertà. Alcune galline, che passano volando basso come cuscini di piume, decorano la scena. Tra quelli che corrono ci sono molte vecchie conoscenze: quello che si conta le dita, la mezzosoprano, il ciclista immaginario, il povero Venanzio. Il direttore del manicomio si dispera nell’isola spartitraffico del viale”. Per capire origine e seguito di tutto questo bisogna leggersi Sogni in affitto di García Marquez (Giunti 1999), libro che testimonia il lavoro creativo della Scuola internazionale di Cinema di Cuba. 

D’altra parte l’incontro del sogno col cinema è costitutivo delle sue origini, a cominciare da Une nuit terrible e Le cauchemar di Méliès, 1896, incubi ipnagogici che impediscono il sonno a un malcapitato. In tal caso, tuttavia, l’uomo che non riesce a dormire è come uno spettatore che assiste al suo sogno.

C’è irregolarità e follia nel sogno, c’è un sentimento di distacco, di capovolgimento, di lontananza, di spostamento, flash e sequenze irragionevoli che non sempre hanno bisogno di spiegazione ma che reclamano comunque una qualche attenzione al risveglio, quando le luci della sala si riaccendono e tu ti chiedi se ti è piaciuto quello che hai visto.

“Noi siamo della stoffa di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è cinta di sonno”, scriveva Shakespeare; e il cinese Chuang-Chou (III sec. a.C.) si chiedeva al risveglio se lui era davvero la farfalla che sognava d’essere stata “svolazzante, contenta del suo destino”.

Il sogno è preso inevitabilmente anche nella sua forza anticipatrice, annunziatrice di qualcosa, come pretendeva il mondo antico, che frugava nelle immagini inconsistenti per svelare la concretezza del dopo, l’annuncio di qualcosa che si sarebbe verificato, attingendo alle indicazioni divine, soprannaturali che il sogno conteneva, chiedendo ad esempio all’aruspice chi sarebbe stato il vincitore della battaglia del giorno seguente.

“È sempre l’alba. Sospesa tra la prima e la seconda venuta; tra la profezia e il compimento; tra la presenza e l’assenza, tra il vedere e il non vedere; tra il sonno e la veglia… Come nella poesia, che è sogno a occhi aperti. In trance, in transito”: così scriveva Norman O. Brown in Corpo d’amore (1966).

Certo, il sogno è veicolo di immagini imprendibili, è fonte di evasione, sfiora, come affermava Foucault, “la trascendenza del delirio”, ha una sua logica sorprendente, mescola le carte di chi si accontenta di vivere alla giornata, è fonte di inquietudine perché è goloso di realtà. Ha perfettamente ragione Oliver Sachs, quando sostiene che tutti noi vorremmo la libertà di spingerci oltre noi stessi: “Non importa se con telescopi e tecnologie in continuo sviluppo, oppure grazie a stati mentali che ci permettano di viaggiare in altri mondi… Noi esseri umani abbiamo bisogno di questo tipo di distacco” (Allucinazioni, trad.it. Adelphi 2013).  “D’altra parte, chi agisce nel sogno? La personalità del dormiente è usurpata da una controfigura che egli vede vivere al di fuori del suo controllo… A volte questo attore si sostituisce a lui, divide le sue preoccupazioni, a volte lo sconcerta e lo rende attonito” (R.Caillois).

L’attore prende la mano al regista, ha così caricato nella sua anima quel destino che gli è stato assegnato, il film ormai lo scrive lui, col suo carattere, i suoi tic, la sua follia.

Mi sembra di rivedere qualche sequenza di Marylin ha gli occhi neri, lo splendido film di Simone Godano (2021), popolato da un cast elettrizzante, a cominciare da Stefano Accorsi e Miriam Leone: ognuno ha il suo orizzonte alterato, il suo mondo interno e il suo mondo esterno ma è un contenitore, la vita, che può anche transitoriamente diventare ordinaria, vincere l’indefinitezza dei confini e concentrarsi su un copione. Il terapeuta, nel film,  convince i suoi assistiti ad aprire un ristorante. E così la follia, il sogno, la quotidianità del vivere si collegano, all’insegna di una speciale tolleranza. Ognuno ha la sua anima, ognuno ha la sua follia ma per un paio di ore gli spettatori potranno far parte, ammirati e commossi dello stesso sogno. 

Bisogna andare a scuola di cinema anche se non te ne farai nulla, bisogna allenarsi a sognare.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

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