Nonostante la raffica di sanzioni che l’Unione Europea ha approvato verso la Russia dall’inizio del conflitto in Ucraina, da una ricerca prodotta dal Centro di Ricerca sull’Energia e l’Aria Pulita (CREA) si apprende che Mosca durante i primi due mesi di conflitto ha quasi raddoppiato le entrate dalla vendita di combustibili fossili rispetto al 2021. L’impennata dei prezzi di gas e petrolio, infatti, ha più che compensato la riduzione dei volumi delle esportazioni, diminuiti del 30% nelle prime tre settimane di aprile rispetto al primo bimestre 2022. Secondo i dati della ricerca, dall’inizio dell’offensiva militare in Ucraina, la Russia ha esportato combustibili fossili per 63 miliardi di euro, di cui 44 miliardi provenienti dai Paesi europei. Una crescita imponente se paragonata ai 140 miliardi di euro spesi in totale dalla UE durante tutto il 2021: vale a dire circa 12 miliardi al mese. Nell’ordine, i maggiori importatori europei sono stati Germania, Italia, Paesi Bassi e Francia.
Da questi dati emerge come le sanzioni stiano danneggiando più i Paesi europei rispetto alla Russia: infatti, a fronte di un aumento dei ricavi che confluiscono direttamente nelle casse del Cremlino grazie a Gazprom, società energetica controllata dallo Stato, l’inflazione dei prezzi dell’energia – e non solo – incide pesantemente sulle tasche dei consumatori europei. Secondo l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambienti (ARERA), per il secondo trimestre 2022 è previsto un aumento del 55% del costo dell’energia elettrica e del 41,8% per il gas naturale, in linea con l’aumento dei prezzi già registrato nel primo trimestre dello stesso anno.
Ma qualcuno che dalle sanzioni ci sta guadagnando anche in Occidente c’è, sono le multinazionali dell’energia e del fossile. Secondo Greenpeace, dall’inizio del conflitto in Ucraina, “le compagnie petrolifere hanno guadagnato almeno 3 miliardi di euro di extra profitti dalla vendita di diesel e benzina in Europa”, mentre l’industria petrolifera, nel solo mese di marzo, ha incassato una media di 107 milioni di euro di entrate extra al giorno. Alcune delle compagnie che stanno facendo maggiori profitti sono BP, Exxon Mobil, Shell, Equinor ed Eni, le quali, come riportato dalla ricerca del CREA, continuano ad importare combustibili fossili dalla Russia. In particolare, Exxon Mobil negli ultimi mesi ha registrato ricavi per 90,5 miliardi di dollari con un aumento del 53% rispetto all’anno precedente, mentre British Petroleum e Shell registrano un profitto combinato di 12,6 miliardi di dollari nel primo trimestre 2022, con un notevole aumento rispetto allo stesso periodo del 2021. Similmente, l’italiana ENI nel primo trimestre dell’anno ha registrato un utile netto pari a 3,58 miliardi di euro rispetto agli 856 milioni registrati nello stesso periodo del 2021. Dunque, una crescita di tre miliardi dovuta “alla capacità di catturare il rilevante aumento dei prezzi di realizzo delle produzioni equity (+70% in media)” come riporta il gruppo petrolifero.
Mentre alcuni parlamentari statunitensi e il governo inglese stanno facendo pressione per imporre una tassa sui guadagni extra delle multinazionali petrolifere, nei giorni scorsi Bruxelles ha varato il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca insieme all’embargo totale sul petrolio russo, sebbene quest’ultima misura abbia spaccato il fronte dei Paesi UE, provocando non pochi problemi alla Commissione europea. In questo modo, il rischio è che non si faccia altro che provocare un ulteriore aumento dei prezzi su cui possano speculare le compagnie energetiche, mettendo in atto quelle che si potrebbero considerare le prime “auto sanzioni” della storia: se, infatti, anche la Russia sta in qualche modo risentendo delle sanzioni economiche, i Paesi Ue sembrano essere quelli più colpiti, arrivando a rischiare la cosiddetta recessione tecnica, come affermato recentemente anche dalle previsioni del FMI.
Infatti, nonostante tutto, la Russia non solo sta aumentando i suoi guadagni grazie all’aumento dei costi di petrolio e gas, ma anche la sua moneta, il rublo, si è ulteriormente apprezzata: oggi, infatti, il tasso di cambio con la valuta americana si attesta a 69,40 rubli per un dollaro. Uno dei cambi più favorevoli dall’inizio delle ostilità, addirittura migliore di quello prebellico. Inoltre, l’“appoggio” dei Paesi asiatici appare solido: Mosca ha incrementato i rapporti commerciali con Cina e India soprattutto per quanto riguarda l’aumento della vendita di petrolio e la possibile costruzione di nuovi gasdotti.
Dunque, nello scenario economico attuale di certo c’è solo l’enorme profitto extra delle multinazionali energetiche e l’impoverimento dei popoli europei. Mentre, almeno per ora, il fallimento di Mosca – auspicato e teorizzato dai governi d’Occidente – è rimandato a data da destinarsi.
[di Giorgia Audiello]
Ormai siamo senza parole, siamo nelle mani di stolti e buffoni, servi delle multinazionali e delle lobby, stanno distruggendo quella poca normalità che era rimasta, ma se esiste una giustizia divina, pagheranno prima o poi per le loro colpe!