giovedì 28 Marzo 2024

Lo strano caso dell’ascensorista trovato morto dentro il ministero degli Esteri

Il pasticciaccio brutto che è costato la vita a Fabio Palotti è iniziato e finito nel giro di 15 lunghissime ore, da mercoledì pomeriggio alla mattina di giovedì. Più o meno a metà del suo turno pomeridiano, lo hanno sentito lanciare strazianti grida di aiuto, rimbombate nel silenzio della tromba di un ascensore, ed è stato inghiottito dal buio e dalla solitudine, tanto che per ritrovare il suo corpo straziato c’è voluto un bel po’. E chissà quanto ancora sarebbe stato necessario, se il caso non avesse fatto notare la sua auto ancora parcheggiata dal giorno precedente ad un suo collega che passava da lì. Un’ennesima morte sul lavoro con un particolare degno di nota, il luogo del fatto, e alcuni punti oscuri che saranno da chiarire, come la scomparsa del telefonino che la vittima aveva con sé.

Di certo c’è che la tragedia di  Fabio sia l’ennesima morte sul lavoro in Italia. In questi casi si parla di morti bianche, come se servisse o bastasse a renderle meno drammatiche e più gentili, in un Paese che registra numeri spaventosi: 1404 vittime l’anno scorso, quasi 4 morti ammazzati al giorno mentre si guadagnavano il pane, 422 da gennaio allo scorso 30 aprile.

Fabio Palotti, 39 anni, due figli piccoli (il secondo di 2 anni), era un operaio della ditta Smae, specializzata in manutenzioni di impianti come gli ascensori. La sua ditta aveva un appalto al ministero degli Esteri, per gestire e tenere in ordine i 4 ascensori che servono dipendenti e ospiti della Farnesina. Anche l’ultimo giorno della sua vita, Fabio è partito da Torre Maura, dove viveva con la famiglia, per recarsi al lavoro in centro. Dalla periferia sconfinata dell’Urbe, dove i palazzi con i marmi e i capitelli del centro lasciano il posto a sconfinate distese di palazzoni e di case e villette in parte o del tutto abusive, ma regolarmente condonate, al cuore della città e del potere, il palazzo al ministero. Uno dei tanti pendolari che formicolano a Roma in senso centripeto e centrifugo, a intervalli regolari. Turno dalle 14 alle 22, la mattina c’era un collega e già qualcuno potrebbe chiedersi come mai un lavoro tutto sommato non privo di rischi, come quello di infilarsi dentro gli ascensori e penzolare a decine di metri da terra, non preveda obbligatoriamente almeno un paio di persone per volta, in modo da non lasciare mai solo chi lo fa. Oppure la legge e le norme lo prevedono, e la Smae ha avuto una deroga. Chissà.

Fabio ha parcheggiato la sua auto davanti alla Farnesina e ha preso servizio come tutti gli altri giorni. Diceva che il suo mestiere non è pericoloso, basta attenersi alle misure di sicurezza, ma la sua morte violenta e atroce qualche dubbio non può non lasciarlo. A parte il fatto, il punto macroscopico e clamoroso di questa tragedia, è che si è consumata tutta all’interno del ministero degli Esteri. Ossia dentro una delle principali istituzioni di questo Paese, una di quelle che nemmeno a dirlo, dovrebbero appunto garantire e tutelare la vita e la sicurezza dei cittadini italiani.

Invece con Fabio è andata molto diversamente, e in un modo anche piuttosto strano. Ha preso servizio alle 14 come da turno, ricevendo il badge al varco di controllo gestito dai carabinieri. Ma proprio quella tessera mai riconsegnata a sera, evidentemente, non è stata notata da nessuno. Un pomeriggio di ordinario e solitario lavoro, il suo, filato liscio fino a quando almeno un funzionario della Farnesina ha sentito – e poi lo ha raccontato – le urla e la richiesta di aiuto di una voce disperata, quella dell’operaio. È  successo, secondo la sua testimonianza, tra le 18.25 e le 19 di mercoledì 27 aprile. Alle 18.25, peraltro, il suo cellulare ha smesso di essere usato, l’ultima traccia risale a quell’orario: e il suo cellulare, che Fabio Palotti aveva insieme a quello aziendale, è sparito e risulta ancora irreperibile.

Non è ancora chiaro cosa sia successo in quella mezz’ora scarsa che si è fumata via la vita di Fabio. Le ipotesi degli inquirenti, a quanto risulta, riguardano una distrazione fatale, forse una dimenticanza, ma anche un malfunzionamento del meccanismo di blocco dell’ascensore, che invece di essere in sicurezza, sarebbe precipitato addosso all’operaio che lavorava sotto, nel tunnel, sfracellandolo all’impatto e offendendo in modo tragico il suo corpo. C’è anche l’ipotesi agghiacciante che siccome nessuno ha capito o ha visto, l’ascensore sia stato utilizzato poi altre volte, colpendo e martoriando ogni volta di più il cadavere. L’autopsia eseguita al Gemelli ha certificato “ferite devastanti” che hanno lesionato il corpo dell’operaio in modo definitivo. Per il medico legale, Fabio è morto all’istante, schiacciato dalla cabina dell’ascensore che si è abbattuta su di lui spegnendo la sua giovane vita. Ma se non c’era niente da fare per lui, resta il fatto che ci sarebbe stato molto da fare nei momenti e nelle ore a seguire, quando suo malgrado l’operaio è diventato un disperso e nessuno è riuscito a capire cosa fosse successo.

I carabinieri del presidio dentro alla Farnesina, quelli che gli hanno consegnato il badge, hanno fatto un controllo dopo che il funzionario li ha avvisati di aver udito le grida disperate, ma evidentemente il loro controllo non ha riguardato l’ascensore e la presenza di Fabio dentro l’immobile. A sera, anzi a notte, la moglie che lo aspettava a casa e non lo ha visto rientrare, non si è preoccupata più di tanto, perché aveva avuto una discussione col marito e pensava si fosse fermato a dormire dai genitori, suoi suoceri: cose normali di normale vita di coppia, a volte, ma stavolta una coincidenza che ha allontanato al giorno successivo il ritrovamento del cadavere dell’operaio. Rinvenuto alle 9 di mattina circa, dopo che appunto un suo collega ha notato la sua auto parcheggiata davanti al ministero degli Esteri, quando non avrebbe dovuto essere (ancora) li. Il pm titolare delle indagini, Giovanni Conzo, ha aperto un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti. Le indagini, con una scelta non proprio azzeccatissima e di opportunità, sono condotte dagli stessi carabinieri. Secondo l’avvocato Michele Montesoro, legale della famiglia di Fabio, è molto grave che il cellulare personale dell’operaio non sia stato ancora trovato. Avrebbe dovuto essere addosso all’operaio o forse caduto nell’impatto, ma la tromba di un ascensore non è una prateria della Siberia: fatto sta che in questa bruttissima storia dove di chiaro non c’è quasi nulla, è un ulteriore elemento di opacità e dubbi. Può darsi che se salterà mai fuori, ci racconterà qualche elemento in più sull’orribile e incredibile fine di Fabio Palotti, schiacciato da un ascensore dentro alla Farnesina e dimenticato come un fantasma fino al giorno successivo, in un luogo che tra l’altro per motivi di sicurezza dovrebbe contare anche le cicche cadute sui pavimenti. È morto sul lavoro proprio il 28 aprile, giorno che dal 2003 viene dedicato ogni anno alla sicurezza sul lavoro da ILO, International Labour Organization: un destino che definire beffardo è dir poco.

[di Salvatore Maria Righi]

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