venerdì 19 Aprile 2024

Israele attacca Gaza: uccisi almeno 22 palestinesi, 9 erano minorenni

L’esercito israeliano è tornato nella notte a colpire la città palestinese di Gaza, provocando un massacro. Secondo il ministero della Sanità di Gaza almeno 22 cittadini sono rimasti uccisi sotto le bombe, nove di questi erano minorenni. Dal canto suo l’esercito israeliano nega la ricostruzione, affermando di aver ucciso 15 «terroristi» e nessun civile. Ma a smentirlo ci sono le immagini che arrivano da Gaza (in particolare questo video, decisamente sconsigliato a chi legittimamente preferisce non vedere esseri umani agonizzanti). Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che l’azione dell’esercito «potrebbe durare un po’ di tempo», mentre la poderosa macchina propagandistica israeliana ha già affiancato quella militare cercando di accreditare la versione secondo cui si tratta di azioni contro il terrorismo e di legittima difesa, trovando – come spesso accade – un’acritica cassa di risonanza nei principali media del mondo occidentale, italiani inclusi.

Secondo la versione israeliana, infatti, i bombardamenti sono la risposta ad attacchi palestinesi. In particolare ai circa 150 razzi lanciati dai gruppi armati di Gaza sul territorio israeliano nelle ore precedenti l’attacco. Sono i razzi Qassam, rudimentali ordigni autoprodotti, con portata di pochi chilometri e scarsissima capacità distruttiva: solo uno è riuscito a centrare un bersaglio, colpendo una palazzina e provocando lievi ferite a sei persone. Anche se così fosse, sarebbe chiara la sproporzionalità distruttiva della risposta israeliana. Ma l’idea che l’attacco israeliano sia una risposta a queste azioni palestinesi non regge di fronte a un’onesta analisi dei fatti degli ultimi giorni.

Da settimane infatti polizia ed esercito dello stato ebraico stanno reprimendo nel sangue i palestinesi che abitano Gerusalemme Est. Zona che secondo il diritto internazionale è posta sotto l’autorità palestinese ma che è occupata militarmente da Israele dal lontano 1967. Qui i cittadini arabi protestano contro il piano di sgomberi forzati di famiglie palestinesi, in un piano di sostituzione etnica che Israele porta avanti da tempo nel tentativo di cambiare la demografia dell’unica zona di Gerusalemme a maggioranza araba. Proteste che negli ultimi giorni si sono sommate alla richiesta di potersi recare in preghiera presso la spianata delle moschee in occasione del mese sacro del Ramadan. La polizia lo sta impedendo, attaccando ogni tentativo di forzare i blocchi. Il risultato sono stati centinaia di palestinesi feriti, 200 solo nella giornata di ieri, con attacchi armati che sono giunti fin dentro alla moschea di Al Aqsa. Dopo giorni di escalation era giunto l’ultimatum di Hamas, movimento politico-militare che governa Gaza, al governo di Tel Aviv: garantire i diritti dei palestinesi e cessare la repressione entro le 18 di ieri ora locale. Scaduto questo ultimatum sono iniziati i lanci di razzi.

Un ultimo capitolo di contesto lo merita la reazione internazionale ai fatti delle ultime ore. Pilatesca l’Unione Europea che, limitandosi a invocare «la cessazione delle violenze da ambo le parti» si incarta su una posizione super partes che, in un conflitto ad armi affatto pari, finisce per tradursi inevitabilmente nella tutela del più forte. Ondivaga l’amministrazione americana che a parole – con il segretario di Stato Blinken – esprime «grande preoccupazione» per le azioni israeliane e per «l’eventuale sgombero di famiglie palestinesi dai quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah, molte delle quali vivono in quelle case da generazioni». Ma alla prova dei fatti blocca all’Onu una risoluzione di condanna dell’azione israeliana proposta da Cina, Norvegia e Tunisia. Anche tra gli stati arabi i palestinesi trovano sempre meno sponde: formalmente uniti nel coro di solidarietà ai palestinesi, ma in realtà quasi tutti impegnati in lucrosi rapporti commerciali con Israele. Al momento solo la Turchia alza la voce avvisando di voler agire per «fermare il terrorismo di stato» israeliano.

[di Andrea Legni]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Articoli correlati

1 commento

Comments are closed.

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria

Grazie per aver già letto

10 dei nostri articoli questo mese.

Chiudendo questo pop up potrai continuare la lettura.
Sappi però che abbiamo bisogno di te,
per continuare a fare un giornalismo libero e imparziale.

Clicca qui e  scopri i nostri piani di abbonamento e supporta
Un’informazione – finalmente – senza padroni.

ABBONATI / SOSTIENI