domenica 9 Novembre 2025
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Abbiamo letto tutto il piano di riforma della scuola di Valditara (forse siamo gli unici)

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Il ministero dell’istruzione ha pubblicato le Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione 2025, che presentano le linee guida per le scuole materne, elementari e medie. Sin da ben prima della sua pubblicazione il documento ha attirato fiumi di analisi, commenti, editoriali e dichiarazioni, provenienti da intellettuali e giornalisti che hanno dato risalto a dettagli di poco conto, dando l’idea che nessuno abbia letto il documento per intero. Come tanti hanno scritto, le Nuove indicazioni avanzano un’idea di cultura tendenzialmente tradizionalista, eurocentrica e nazionalista. Lo fanno, tuttavia, non reintroducendo il latino curricolare o proponendo l’apprendimento di poesie a memoria, bensì riformando la visione disciplinare delle materie e il concetto stesso di insegnamento e studente. Noi de L’Indipendente abbiamo deciso di prenderci il tempo necessario per leggere integralmente il documento, per poter presentare nella maniera più corretta e completa possibile le modalità in cui il governo intende declinare la propria idea di scuola e formazione.

Le modifiche introdotte 

Introdotte per la prima volta nel 1999, le indicazioni per la scuola servono a orientare la didattica e organizzare i curricula degli istituti. Il documento di Valditara introduce diverse novità, in primo luogo nell’insegnamento della disciplina storica. Le Nuove indicazioni elencano la lista delle conoscenze obbligatorie attese dagli studenti di elementari e medie, fornendo un lungo catalogo di contenuti da spiegare in classe, suddividendoli anno per anno. Vale la pena notare che questa modalità di presentazione delle conoscenze attese risulta assente in tutte le discipline diverse da quella storica. 

Le indicazioni per la scuola furono introdotte nel 1999, durante il mandato di Luigi Berlinguer come ministro della Pubblica Istruzione.

In generale, alle elementari la storia verrà insegnata sotto forma di narrazione e non più basandosi sulle fonti. Il primo anno deve servire a introdurre l’alunno alla disciplina attraverso lo studio di testi classici come la Bibbia, l’Iliade e l’Odissea; il secondo anno sarà interamente dedicato alla storia d’Italia e la sua costituzione come nazione nel periodo risorgimentale, con abbozzi di educazione civile; dal terzo al quinto anno, infine, lo spazio dedicato alla preistoria e alle società orientali viene ridotto all’osso e l’insegnamento si concentra prevalentemente sulle grandi vicende della storia greca e romana. Alle medie, invece, si partirà da Carlo Magno per arrivare a Mani Pulite, assumendo, come alle elementari, un punto di vista quasi esclusivamente occidentale.

Eurocentrismo e suprematismo 

«Solo l’Occidente conosce la Storia». Sono queste le parole con cui viene presentato l’indirizzo della disciplina storica, che mostrano chiaramente l’intento ideologico del documento. Valditara procede così a spiegare, con toni esplicitamente eurocentrici, le presunte ragioni per cui l’Occidente sia l’unica civiltà degna di fregiarsi di una cultura storica. Questo approccio viene consolidato dalla cancellazione dell’insegnamento della geostoria: essa, infatti, apre a un’interpretazione interdisciplinare della materia e fornisce le competenze basilari per avvicinarsi a quel campo della storiografia definito “Storia Globale”. Questo metodo, sempre più utilizzato in ambito accademico, mira a studiare gli eventi da un punto di vista mondiale, inserendoli all’interno di una narrazione interconnessa su scala – appunto – globale. Preferirvi l’approccio classico della storiografia nazionale, oltre a essere poco al passo coi tempi, riafferma quella stessa logica eurocentrica – e a tratti suprematista – di cui è intrisa la presentazione della materia. 

Sempre in termini disciplinari, anche la riduzione all’essenziale dello studio della preistoria mostra la tendenza ideologica del documento. Negli ultimi anni, infatti, lo studio della preistoria sta venendo messo fortemente in risalto, in virtù dell’evolversi delle discipline scientifiche, dell’antropologia e dell’archeologia. All’interno del dibattito accademico c’è chi sta iniziando a riconsiderare la stessa definizione di “storia”, ripensando quella che per decenni è stata fissata come sua simbolica data di inizio, che viene fatta coincidere con l’avvento della scrittura. La riproposizione dell’insegnamento della storiografia nazionale, focalizzata sul solo «Occidente» a scapito della preistoria, costituisce un enorme passo indietro dal punto di vista disciplinare, sottolineando ancora una volta la tendenza eurocentrica e tradizionalista delle Nuove indicazioni.

Nazionalismo

Giuseppe Valditara, dal 2022 ministro dell’Istruzione e del Merito con il governo Meloni

La volontà di promuovere una lettura della storia tradizionalista ed eurocentrica si traduce in ultima istanza come una proposizione dell’insegnamento della disciplina in chiave nazionalista. Gli intenti nazionalisti sono ben visibili tenendo a mente la chiave di lettura disciplinare che viene proposta dal documento e guardando le conoscenze attese alla fine del secondo anno di elementari. Spiegare a bambini di sette e otto anni la costituzione dell’Italia in senso nazionale, senza prima avere fornito loro un’adeguata introduzione ai metodi della stessa disciplina storica, sembrerebbe costituire un tentativo di indottrinamento in giovane età. Inoltre, dal punto di vista contenutistico e disciplinare, scegliere di isolare il periodo risorgimentale senza avere prima spiegato il processo che ha portato all’emergere dell’idea di Nazione non può che risultare in una lettura della storia faziosa e parziale, intrinsecamente connotata politicamente. 

Nei vari moti nazionalisti che hanno investito l’Europa, i teorici della Nazione risignificano in termini politici quel concetto che fino alla rivoluzione francese non era mai stato connotato politicamente. La Nazione diventa l’espressione di una comunità che detiene la sovranità all’interno di un territorio e, precisamente, quella di un popolo che condivide, a discrezione dei pensatori, lingua, religione, sangue, lignaggio, cultura, luogo di provenienza… i concetti di popolo, patria e Nazione, colorati da una nuova sfumatura politica, finiscono così per fondarsi su elementi precostituiti a cui viene attribuito un valore eterno: non sono solo gli uomini dall’Ottocento in poi a essere italiani, ma lo erano anche Dante, Petrarca e Boccaccio, Galileo e Bruno, l’Ariosto e Tasso, in quanto rappresentanti della “cultura italiana” e dotati di quelle stesse caratteristiche che servono a essere definiti italiani. Spiegare il Risorgimento senza avere prima spiegato come si sia arrivati a dare un nuovo significato al concetto di Nazione, presenta tale concetto non più come frutto di un processo storico, ma come quella stessa verità granitica e assoluta che i risorgimentali gli attribuivano, ritraducendolo ideologicamente.

Individualismo, tradizionalismo e conservatorismo 

Ultima, ma non meno importante, la visione individualista e conservatrice, ben visibile sin dalle prime pagine delle Nuove indicazioni. Il documento muove infatti i primi passi da un’interpretazione del concetto di “persona” come quello di «una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire “io”». Valditara passa poi a parlare dell’importanza di valorizzare le relazioni tra bambini in termini estremamente generici, sfruttando il linguaggio intrinsecamente generale del documento per trasformarlo in vaghezza. In molti hanno lamentato come nelle Nuove indicazioni siano assenti riferimenti diretti ai temi dell’inclusività, dell’uguaglianza di genere, dell’educazione sessuo-affettiva, che vengono in ultima istanza risolti con un rimando al concetto di «bona fides»: insomma, per Valditara la soluzione ultima alle discriminazioni razziali e di genere è che ci si comporti bene l’uno con l’altro. L’educazione al rispetto viene piuttosto profilata in maniera definita solo nell’ottica di osservazione delle regole — come nel caso della grammatica, che serve a «introiettare la cultura della regola» — e della gerarchia verticale, come nei confronti dell’insegnante come «magis» e del «principio di autorità», definito «conquista interiore dell’uomo libero».

Secondo specialisti e associazioni sociali, la completa assenza di riferimenti concreti a programmi integrativi che educhino al rispetto, la mancanza strutturale del principio di uguaglianza di fronte a un’esaltazione della «libertà» presentata come trionfo dell’Occidente e l’insistenza con cui si parla delle capacità individuali e dei «talenti» dei singoli senza metterli in relazione al lavoro condiviso promuovono quella classica visione ultra-individualista e competitiva della scuola. Essa si poggia su una contrapposizione tra il sé e l’altro perfettamente delineata dal concetto di persona come quella cosa che può acquisire «consapevolezza di sé» solo attraverso «la differenza con gli altri io e con il mondo».

In tutta Italia sono riprese le manifestazioni contro il riarmo, la guerra e la NATO

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La piazza voluta da Michele Serra e dal giornale Repubblica lo scorso 15 marzo, ufficialmente «a favore dell’Europa» ma nei fatti a favore del riarmo europeo in vista di una potetica guerra UE contro la Russia, è stata un boomerang. Anziché anestetizzare il mondo pacifista, l’ha risvegliato. In tempi rapidissimi, gli attivisti hanno organizzato due contromanifestazioni a Roma per quel giorno (una indetta dalla sinistra extraparlamentare a piazza Barberini e una, senza bandiere, a Bocca della Verità), oltre a raccogliere centinaia di firme prestigiose contro l’iniziativa di Serra e di RepubblicaAnche a Milano si è riusciti a organizzare una contromanifestazione il 15 marzo in via Mercanti, promossa dal Coordinamento per la pace. Ma non finisce qui: nei giorni successivi, il mondo pacifista ha messo in cantiere, in tutta Italia, una serie di eventi contro il riarmo e per la pace, la maggior parte calendarizzata per i prossimi 4, 5 e 6 aprile.

«L’Europa deve riarmarsi, è finito il tempo della melassa», aveva detto Carlo Calenda alla folla in piazza del Popolo, dando il là al maxi raduno del 15 marzo. Il suo appello è rimasto senza contraddittorio: i rappresentanti della Marcia Perugia Assisi, venuti in piazza con un contro appello a favore del disarmo, si sono visti rifiutare il palco e gli organizzatori hanno «tentato in tutti i modi» di fargli chiudere la loro bandiera arcobaleno. Ampio spazio sul palco, invece, è stato lasciato a chi faceva discorsi sulla superiorità europea (definiti da Guendalina Middei neocoloniali e guerrafondai). 

A fronte di quanto accaduto in piazza, i pacifisti di tutta la penisola si sono dati una serie di appuntamenti per contestare l’attuale Europa guerrafondaia. I giovani romani di Esc Atelier hanno indetto un incontro nazionale di tre giorni (28, 29 e 30 marzo) nella Capitale intitolato Riarm? No! Reset against the war, con campeggio nel prato dello spazio sociale Acrobax. A Firenze, venerdì 28 marzo (ma anche il venerdì precedente), il Coordinamento Fiorentino contro il Riarmo ha organizzato presidi in piazza Sant’Ambrogio per raccogliere firme «contro l’attuale delirante progetto del riarmo europeo». A Bari, sabato 29 marzo gli attivisti della Rete dei Comitati per la Pace di Puglia hanno riempito piazza Umberto con lo slogan «No alla corsa al riarmo, fermare la guerra, tornare all’ONU».  

La maggior parte delle iniziative è stata programmata per venerdì 4, sabato 5 e domenica 6 aprile prossimi e inserita in un calendario online creato dal neo Coordinamento Nazionale No NATO, fondato solo quattro mesi fa (qui la tabella per consultare le iniziative, città per città). Il 4 aprile, per esempio a Napoli verrà organizzato un flash mob per contestare l’anniversario della fondazione della NATO, davanti alla ex base NATO di Bagnoli che andrebbe riconvertita, dicono gli attivisti, in una struttura ad uso civile e sociale; il 5 aprile, sempre a Napoli, ci sarà una iniziativa a Casoria contro la militarizzazione delle scuole, mentre il 6 aprile è previsto un incontro, nella Galleria Principe di Napoli, con la delegazione sudcoreana della PAM (Piattaforma Antimperialista Mondiale) contro le provocazioni belliche statunitensi nel Pacifico. 

Tra tutte le iniziative elencate dal Coordinamento Nazionale No NATO, spicca soprattutto un evento pacifista di inedito carattere collegiale, programmato per sabato 5 aprile a partire dalle ore 13 a Roma, in piazza Vittorio Emanuele. Si tratta della manifestazione Basta soldi per le armi – fermiamoli, promossa dal Movimento Cinque Stelle. Gli attivisti del Coordinamento, mettendo da parte le loro differenze ideologiche, confluiranno nell’evento M5S, con i propri striscioni e le proprie parole d’ordine. Si tratta di un insolito “gesto di unità” da parte del Coordinamento, accolto con favore persino da gruppi storici anti-establishment come Rete NoWar e Donne in Nero, che aderiranno all’evento M5S anch’essi.

L’idea di confluire nell’iniziativa cinque stelle è stata fatta propria anche da un folto gruppo di intellettuali ed attivisti italiani, progressisti ma non seguaci del M5S, come ad esempio lo storico Angelo D’Orsi, l’ex-ambasciatrice Elena Basile, l’autrice satirica Francesca Fornario, il docente Alexander Hobel e l’editor Giulia Abbate – in tutto, più di 400 firmatari di un appello di trasformare, il 5 aprile, «una manifestazione indetta da un singolo partito in una mobilitazione di massa […] contro la guerra e contro le politiche dell’Europa». Anche Luciana Castellina, Luigi Ferrajoli e Gian Giacomo Migone hanno scritto un loro appello a essere presenti all’evento del 5 aprile. 

Malesia, incendio in un gasdotto: 63 ricoverati

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Nella mattina di oggi, nei pressi di Kuala Lumpur, capitale della Malesia, è scoppiato un incendio in un gasdotto, in seguito al quale sono state ricoverate 63 persone e ne sono rimaste ferite oltre un centinaio. Da quanto comunicano le autorità, le persone ricoverate hanno riportato ustioni, problemi respiratori e altre lesioni di diversa gravità. Il gasdotto appartiene alla società energetica statale Petronas e, dalle prime ricostruzioni, ci sarebbe stata una fuga di gas. L’incendio ha colpito almeno 49 abitazioni, intrappolando gli abitanti all’interno degli edifici. Le operazioni di soccorso sono ancora in corso.

La criminale proposta di “pace” israeliana: stop al genocidio in cambio della pulizia etnica

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Il primo ministro israeliano Netanyahu ha chiarito le condizioni israeliane per fermare il genocidio a Gaza: ottenere il controllo della Striscia e implementare il piano di deportazione di Trump. L’annuncio è arrivato in occasione della riunione dell’esecutivo israeliano di domenica 30 marzo, in cui il primo ministro ha discusso delle «menzogne» che si direbbero riguardo a Israele e ai suoi rapporti con Hamas. Il giorno seguente è arrivata la proposta israeliana, che prevede in prima battuta l’instaurazione di una tregua temporanea durante la quale fare rientrare la metà degli ostaggi vivi ancora presenti nella Striscia. Nel frattempo, i bombardamenti non si sono fermati. Dalla ripresa delle aggressioni militari, Israele ha ucciso più di 1.000 persone. Solo negli ultimi due giorni l’esercito israeliano ha ucciso 80 persone, e sono stati trovati i corpi di 15 operatori umanitari e sanitari. Le IDF, inoltre, hanno diffuso ordini di evacuazione in quasi tutta la città di Rafah, nel sud della Striscia, sfollando decine di migliaia di persone.

La proposta israeliana ad Hamas è arrivata ieri ed è stata spiegata al quotidiano israeliano Jerusalem Post da un funzionario anonimo. Il piano sarebbe quello di instaurare una tregua temporanea di 40 giorni, in cui fare rientrare 10 degli ostaggi israeliani ancora vivi e l’ostaggio israelo-statunitense Edan Alexander. Il quadro proposto richiederebbe inoltre ad Hamas di fornire informazioni complete sulle condizioni degli ostaggi rimasti. Durante i 40 giorni di tregua si discuterebbe di come arrivare a una completa cessazione delle ostilità che, in ogni caso, passerebbe dall’istituzione di una zona cuscinetto all’interno della Striscia di Gaza, la smilitarizzazione della zona, la gestione della sicurezza a Israele e l’espulsione dei membri di Hamas. Proprio sulle condizioni israeliane per una tregua finale, Netanyahu è stato piuttosto limpido: «Hamas deporrà le armi. Ai suoi leader sarà permesso di andarsene. Ci occuperemo della sicurezza generale nella Striscia di Gaza e consentiremo la realizzazione del piano Trump per la migrazione volontaria», ha spiegato. «Questo è il piano. Non lo nascondiamo e siamo pronti a discuterne in qualsiasi momento».

La proposta di “pace” israeliana è arrivata due giorni dopo l’annuncio che Hamas aveva accettato un piano che contemplava, a detta dell’agenzia di stampa Associated Press, la liberazione di 5 ostaggi vivi, tra cui Edan Alexander, e l’instaurazione di una tregua di 50 giorni in cui fare entrare aiuti umanitari nella Striscia. Mentre si discute della tregua, come sottolineato dallo stesso Netanyahu, Israele non ha smesso di bombardare e ha, anzi, alzato il tiro nelle violenze come parte di una strategia di pressione per spingere Hamas ad accettare le sue condizioni. Ieri, il numero di persone uccise dalla rottura definitiva della tregua ha superato i 1.000 individui. Solo ieri, Israele ha ucciso 27 persone e sono stati rinvenuti i corpi di 15 operatori umanitari e sanitari appartenenti all’ONU, alla protezione civile e alla Mezzaluna Rossa Palestinese nell’area di Rafah, sepolti in una fossa comune con le luci di emergenza della loro ambulanza. Sempre ieri mattina, il portavoce delle IDF in lingua araba, Avicahy Adraee, ha diramato un ordine di evacuazione per buona parte del governatorato di Rafah, costringendo circa 140.000 persone ad abbandonare i propri rifugi per dirigersi a nord. «Come se la morte, le malattie, la distruzione e la fame non bastassero ai palestinesi di Gaza» scrive Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente, «le persone vengono trattate come flipper e i loro destini e le loro vite vengono costantemente influenzati da ordini militari».

Cina, esercitazione attorno a Taiwan

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Oggi le navi della Guardia Costiera cinese (CCG) hanno condotto esercitazioni attorno all’isola di Taiwan «per esercitare la legittima giurisdizione e il controllo sull’isola in conformità con il principio di una sola Cina». Secondo quanto comunica Zhu Anqing, portavoce dell’ufficio del Mar Cinese Orientale della CCG, le flotte hanno eseguito simulazioni di operazioni di «ispezione, cattura, intercettazione e detenzione di imbarcazioni non autorizzate». L’esercitazione cinese a Taiwan arriva in un contesto di generale tensione nel Mar Cinese Meridionale, dove USA e Filippine stanno rilanciando la cooperazione militare.

In Australia i petauri maggiori sono tornati a popolare le foreste

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In Australia, nelle foreste delle Southern Tablelands del Nuovo Galles del Sud, uno spettacolo straordinario ha sorpreso gli ecologi: il ritorno in massa dei petauri maggiori, piccoli marsupiali planatori tradizionalmente diffusi nel Paese. Durante le ricerche condotte con i riflettori, gli studiosi hanno contato fino a 59 esemplari a notte, con densità che arrivano fino a 140 individui ogni 50 ettari. Questo recupero, pari a un incremento del 45% rispetto ai livelli precedenti al 2019 - quando le fiamme e la siccità avevano messo a rischio la loro sopravvivenza - appare quasi incredibile, spe...

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Svezia, 1,5 miliardi in aiuti all’Ucraina

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La Svezia ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina del valore di 16 miliardi di corone (circa 1,48 miliardi di euro), che costituisce il più grande pacchetto di aiuti offerto dal Paese a Kiev dall’inizio della guerra. Il pacchetto è stato annunciato dal ministro della Difesa Pål Jonson in una conferenza stampa, in cui ha spiegato che la maggior parte dei fondi (circa 850 milioni di euro) sarà destinata alla fornitura di nuove attrezzature per potenziare la difesa aerea, il comparto di artiglieria, le comunicazioni satellitari e le capacità marittime di Kiev. Il resto, invece, sarà donato all’industria della Difesa ucraina.

Cosa contengono i bastoncini di pesce e perché sono un alimento da evitare

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I nutrizionisti consigliano di introdurre il pesce nell’alimentazione dei bambini fin dall’infanzia, almeno due o tre volte la settimana. Eppure non sempre si riesce a portarlo in tavola con questa frequenza e le ragioni sono diverse: ai bambini non piace tanto, i genitori hanno poco tempo per pulirlo e cucinarlo. Invece questo alimento è necessario proprio nell’infanzia e nell’adolescenza perché è ricco di sostanze preziose per la crescita e lo sviluppo del cervello. Sta di fatto che molti bambini oggi non mangiano il pesce fino a che arrivano all’età adulta. Ma i prodotti impanati preparati dall’industria alimentare i bambini li mangiano volentieri, come mai? 

Solo il 50-60% di pesce (il resto è panatura)

Analizziamo oggi questi prodotti, in particolare gli amati bastoncini (di merluzzo, salmone), disponibili di varie marche nel reparto surgelati del supermercato. Questi prodotti i bambini li mangiano perché l’industria sa come prendere i piccoli per la gola, aggiungendo nella panatura delle sostanze altamente palatabili (saporite) che sono gradite al gusto. Purtroppo le sostanze che aggiunge l’industria sono però di bassa qualità nutrizionale e spesso anche poco salutari, come ad esempio lo zucchero, l’olio di colza, oppure il sale, che viene aggiunto a quantitativi piuttosto elevati. Ma c’è dell’altro: la prima cosa importante che tutti i lettori dovrebbero tenere a mente a proposito di questi prodotti, è la seguente: quando acquistiamo questi bastoncini, in pratica stiamo acquistando solo il 50% di pesce e il rimanente è farina, acqua, olio, amido, zucchero e sale. A seconda della marca e della tipologia di pesce, si può arrivare al 60% di pesce, ma non oltre.

Si tratta infatti di un prodotto che contiene appena il 50% di salmone, con ingredienti come farina di frumento, zucchero, acqua, olio di colza, lievito, amido di patata ecc. In pratica assieme al salmone si introducono diversi altri “alimenti” non favorevoli alla salute o comunque non desiderati assieme al pesce, facendoli pagare cari come se fosse tutto salmone! 

Presenza di contaminanti cancerogeni

Sebbene la composizione e la qualità dei prodotti in questione sia già un valido motivo per non indulgere nel consumo di questi alimenti, ciò che tuttavia desta ancora maggiori preoccupazioni è la presenza di contaminanti tossici e cancerogeni come il glicidolo, l’acrilammide e gli esteri di acidi grassi 3-MCPD (3-monocloropropandiolo).

Infatti un recente test di laboratorio condotto dalla rivista svizzera Bon à Savoir, (mensile a tutela dei consumatori), ha sollevato alcune preoccupazioni riguardo la qualità di questi prodotti. Il test ha coinvolto ben 15 diversi marchi di bastoncini di pesce venduti nei supermercati svizzeri, facendo venire alla luce un problema serio: la presenza di glicidolo, una sostanza chimica pericolosa per la salute. SI tratta di una sostanza che può formarsi durante la lavorazione degli oli vegetali, soprattutto quando vengono sottoposti a temperature elevate nella frittura. Questo contaminante è noto per la sua natura potenzialmente cancerogena, e la sua presenza nei bastoncini di pesce ha sollevato una serie di preoccupazioni. Sebbene i livelli rilevati nel test non siano stati ritenuti sufficienti a causare un rischio acuto per la salute, l’accumulo di glicidolo nel corpo umano può comportare pericoli a lungo termine, soprattutto se il consumatore assume regolarmente alimenti contaminati da questa sostanza. Il glicidolo è stato trovato in molti dei campioni analizzati, il che rappresenta una minaccia che non va ignorata. Gli esperti sottolineano che l’esposizione al glicidolo è particolarmente preoccupante se si considera che viene assunto attraverso diversi alimenti quotidiani. Per esempio, oltre ai bastoncini di pesce, il glicidolo può essere presente anche in altri alimenti fritti o lavorati con oli vegetali, aumentando il rischio di accumulo nel corpo.

Un’altra analisi condotta dal mensile tedesco Oekotest ad agosto 2023 aveva esaminato 19 marche di bastoncini di pesce. I risultati avevano rilevato in ben 11 casi su 19 gli esteri di acidi grassi 3-MCPD, anch’essi tossici e legati alla lavorazione di oli e grassi vegetali ad alta temperatura, e in alcuni campioni anche glicidolo.

Queste sostanze tossiche grasse si formano quando i blocchi di pesce impanati vengono fritti in maniera decisa e profonda ad alte temperature per circa 30 secondi. I grassi vegetali da frittura formano solitamente esteri di acidi grassi, per i quali l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha stabilito una dose massima giornaliera. Nel sito web di EFSA si legge un’affermazione piuttosto grave e preoccupante, che riporto testualmente: 

«I livelli di consumo di 3-MCPD tramite gli alimenti sono considerati privi di rischi per la maggior parte dei consumatori, ma esiste un potenziale problema di salute per i forti consumatori delle fasce di età più giovane. Nella peggiore delle ipotesi, i neonati nutriti esclusivamente con latte artificiale potrebbero lievemente superare il livello di sicurezza».

Gli esteri di acidi grassi 3-MCPD sono presenti anche nel latte artificiale in polvere

Queste sostanze sono presenti infatti anche nel latte artificiale in polvere, che viene addizionato di grassi vegetali cotti e polverizzati come olio di colza, di girasole, di palma, i quali contengono quantitativi vari di 3-MCPD. Il 3-MCPD è stato classificato dall’EFSA come sostanza «genotossica e cancerogena, cioè che può danneggiare il DNA e provocare il cancro». Secondo il test tedesco del 2023 di Oekotest, un bambino di 30 kg che consuma 5 bastoncini potrebbe superare la dose giornaliera tollerabile stabilita dall’EFSA. Si tenga presente fra l’altro che la presenza di questi esteri degli acidi grassi 3-MCPD è certa anche in tutti gli altri alimenti che presentino fra gli ingredienti gli oli vegetali raffinati (girasole, colza, palma, soia, arachidi, mais), e ovviamente nelle confezioni di oli vegetali che sono presenti nei supermercati e che vengono acquistati dalle persone per friggere o per condimenti e cotture varie. Affinché si formino tali sostanze tossiche è necessario che gli oli alimentari siano portati a temperature superiori ai 200°C, questo è proprio ciò che caratterizza la fase di raffinazione (cioè trasformazione) degli oli vegetali tutti. Sappiamo queste cose da molti anni ma è lo stesso sito web dell’EFSA a confermarcelo, leggiamo infatti testualmente che

«La sostanza chimica 3-monocloropropandiolo (3-MCPD) e i suoi derivati chiamati esteri del 3-MCPD sono contaminanti da processi alimentari presenti in alcuni alimenti e oli vegetali trasformati, principalmente nell’olio di palma. Il 3-MCPD e i suoi esteri si formano non intenzionalmente in tali alimenti, in particolare durante i processi di raffinazione degli oli».

Alla luce di tutte queste informazioni, è evidente che i bastoncini di pesce non siano la scelta migliore per far mangiare il pesce ai nostri figli, e che anche tutti gli alimenti industriali dove all’interno troviamo oli vegetali raffinati, come ad esempio biscotti, brioche da colazione, fette biscottate, piatti pronti, noodles, etc. siano da scartare o limitare fortemente nel contesto di una dieta attenta alla salute. Gli unici oli vegetali salutari, a dire la verità, sono quelli che appunto non vengono raffinati, come l’olio extravergine d’oliva (sempre estratto a freddo) o l’olio di cocco vergine (esiste anche quello raffinato). Già l’olio d’oliva invece, o quello di sansa di oliva, sono oli raffinati in cui si utilizzano macchinari ad alte temperature per estrarre l’olio, e non andrebbero mai usati. Altri oli vegetali non raffinati sono quelli sulla cui confezione è dichiarato espressamente essere «estratto a freddo», e solitamente sono quelli biologici, dove per regolamento si possono utilizzare solo oli vegetali non raffinati ed estratti a freddo (es. olio di girasole, di soia o di lino estratti a freddo). Guarda caso, nel test della rivista svizzera di cui vi ho parlato in questo articolo, l’unica marca di bastoncini di pesce che è risultata priva di glicidolo è stata proprio quella del prodotto biologico Coop Naturaplan, come volevasi dimostrare.

[di Gianpaolo Usai]

Aggiornamento del 28 aprile 2025: A seguito della pubblicazione del nostro articolo, l’Istituto Italiano Alimenti Surgelati (IIAS) ci ha contattati per una replica, che pubblichiamo di seguito:

«Le accuse mosse ai bastoncini di pesce appaiono false, allarmistiche e prive di fondamento e rischiano di creare un grave danno di immagine al prodotto e, in generale, al settore dei surgelati, creando nei lettori confusione e inutili allarmismi. I bastoncini di pesce che troviamo in commercio in Italia, infatti, sono sicuri per il consumo e rispettano le normative sulla sicurezza alimentare, risultando al di sotto dei livelli massimi previsti dall’UE e delle dosi giornaliere tollerabili (TDI) raccomandate dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare per tutti i contaminanti citati.

In particolare, con riferimento ai contaminanti che si generano in fase di lavorazione e cottura del cibo (sia industriale che domestico), un recente studio: Home-made vs industry-made: Nutrient composition and content of potentially harmful compounds of different food products, pubblicato sulla rivista Science Direct, a firma di un gruppo di ricercatori  dell’Università di Wageningen e dell’Università degli Studi di Milano, ha messo a confronto proprio un bastoncino di pesce surgelato prodotto industrialmente con uno preparato in casa, con l’obiettivo di analizzarne sia i valori nutrizionali che i livelli di contaminanti generati durante le fasi di lavorazione. Ebbene, lo studio ha dimostrato che dopo la cottura (in padella o in forno), il bastoncino industriale presenta un contenuto di acrilammide inferiore rispetto al bastoncino domestico, grazie alla sua maggiore umidità negli strati esterni. Pertanto, anche nelle produzioni domestiche si generano contaminanti, ma nel caso dei prodotti industriali, come i bastoncini di pesce, questi livelli vengono tenuti sotto controllo, grazie alle conoscenze e competenze (cosa più difficile a livello domestico).

Definire “tossici” o addirittura “cancerogeni” questi prodotti è dunque scorretto e peraltro non corrispondente a verità. In Italia la produzione dei bastoncini di pesce, come peraltro quella dei surgelati in generale, è sottoposta a molteplici e rigorosi controlli, sia da parte delle aziende che delle pubbliche autorità, con l’obiettivo di garantire la massima salubrità di ogni prodotto, in ogni fase di lavorazione, e questa è la più grande conferma di qualità e sicurezza per il consumatore.

In alcuni articoli, inoltre, si afferma che questi prodotti contengono additivi che ne comprometterebbero la qualità, mentre i bastoncini di pesce in commercio, realizzati dalle aziende del nostro comparto, proprio perché rispettano la normativa vigente, non contengono né conservanti (non possono neppure farlo per legge) né additivi, come riscontrabile sui siti aziendali e nell’elenco ingredienti relativi al prodotto. L’assenza di conservanti, in particolare, è possibile perché la surgelazione è sufficiente a garantisce la conservazione degli alimenti: grazie al processo di surgelazione, che porta gli alimenti a temperature bassissime (mai superiori ai -18 °C, con picchi fino a -80 °C), le caratteristiche nutrizionali del pesce fresco vengono mantenute intatte.

IIAS tiene infine a ribadire che, da sempre, la tutela dei consumatori è la priorità delle aziende del settore, che si impegnano a garantire la massima trasparenza in tutte le fasi della produzione, utilizzando solo materie prime di qualità (come nel caso dei bastoncini, in cui la presenza di pesce in Italia supera mediamente il 60% e la materia prima utilizzata – filetti di merluzzo – è sempre di elevata qualità).

I bastoncini di pesce industriali sono un prodotto controllato e sicuro al consumo e possono essere inseriti nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata, supportando l’assunzione di un alimento importante come il pesce e favorendone il consumo anche da parte dei bambini, che grazie all’apporto degli Omega-3, fondamentali per lo sviluppo del sistema nervoso centrale e per il corretto funzionamento di neuroni e sinapsi, maturano migliori capacità di relazione e socializzazione».

Spagna, esplosione in miniera di carbone: 5 morti

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Cinque persone sono morte e quattro sono gravemente ferite a causa di un’esplosione verificatasi questa mattina in una miniera di carbone a Cerredo, nelle Asturie, nel nord della Spagna. I motivi dell’incidente non sono ancora stati chiariti, ma si ritiene che l’esplosione sia stata provocata da una sacca di grisù, gas che si sviluppa nelle miniere di carbone e che diventa infiammabile ed esplosivo a contatto con l’aria. Nella miniera di Cerredo sono già avvenuti diversi incidenti in passato, tra cui il crollo di un tunnel nel 2015, dove un uomo perse la vita.

 

Torino, la lotta non è associazione a delinquere: cade il teorema della procura

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Si è sgretolata nell’aula del Tribunale di Torino l’accusa di associazione a delinquere contestata a 16 attivisti dei movimenti di resistenza afferenti a diverse realtà del territorio piemontese. Quando al presidio di fronte alla procura arriva la notizia della lettura della sentenza, poco dopo le 15 di lunedì 31 marzo, esplode un boato di festa, le bandiere No TAV sventolano di fronte a un cordone di decine di agenti in tenuta antisommossa. «La lotta per il territorio, la resistenza sociale non è un reato. Sono tanti i reati che vengono contestati, la lotta è ancora lunga, ma la sentenza è chiara: si tratta di un messaggio importantissimo per i movimenti sociali e di lotta non solo di Torino, ma di tutta Italia» commenta una giovane in presidio. 

Il processo, iniziato nel 2022, vede alla sbarra 28 attivisti di età comprese tra i 20 e i 75 anni, afferenti a varie realtà antagoniste e di resistenza del contesto torinese, quali il centro sociale Askatasuna, lo Spazio Popolare Neruda, il Movimento No TAV e il centro sociale Edera, tra gli altri. Sedici tra gli imputati si trovavano ad affrontare l’accusa più grave, ovvero quella di associazione a delinquere: due in quanto ideatori della presunta associazione, sei in quanto promotori e altri otto in quanto partecipanti. Gli imputati restanti erano accusati dei cosiddetti “reati-fine”, ovvero commessi al fine di portare avanti il disegno criminoso dell’associazione – tra questi falò in Val di Susa, danneggiamento delle reti dei cantieri e altri reati minori. «Tutte cose che prese singolarmente non avrebbero fatto partire nulla, ma che messe insieme costruiscono il “disegno criminoso” del quale la pm sta cercando di accusarci» dice a L’Indipendente uno degli imputati. Tra coloro che, secondo l’accusa, costituivano i promotori dell’associazione a delinquere vi erano volti storici della lotta No TAV, come Dana Lauriola, per la quale la procura ha chiesto tre anni. In generale, le pene richieste vanno da un anno e sei mesi a sette anni di detenzione, per un totale di 88 anni complessivi.

Le accuse formulate dalla pm si basavano in gran parte su intercettazioni raccolte tra il 2019 e il 2021, utilizzate, secondo gli attivisti, in maniera del tutto decontestualizzata. Sulla base di queste, l’accusa aveva inizialmente ipotizzato l’accusa di associazione a delinquere con finalità eversive, uno dei reati più gravi del nostro ordinamento. In base a ciò era stato autorizzato lo sgombero del centro sociale Askatasuna e di vari altri edifici occupati a Torino, nonché di tutti i presidi No TAV in Val di Susa. Come spiegato dalla stessa Dana Lauriola a L’Indipendente, la tesi della procura era che, nel corso degli anni, un ristretto gruppo di persone si sia infiltrato nel centro sociale Askatasuna e nello Spazio Popolare Neruda, arrivando fino a realtà sportive e di altro genere del movimento No TAV, per commettere atti violenti. «La pm in aula ci ha anche detto che resistere e protestare è assolutamente legittimo, che però noi guarda caso lo facciamo nel modo sbagliato» riferisce a L’Indipendente L., uno degli giovani sui quali ricadeva l’accusa di associazione a delinquere. «Tuttavia, si tratta di accuse che a un certo punto, a un qualche grado del procedimento, cadono sempre. Succede in moltissimi processi contro i movimenti di resistenza. Che si tratti del primo o del secondo grado finirà, come è successo al comitato Giambellino a Milano». Il riferimento è al movimento per il diritto alla casa dei quartieri periferici di Milano, del quale nove membri erano stati condannati con pene da 1 a 5 anni proprio per il reato di associazione a delinquere con finalità di occupazione e resistenza.

Secondo gli attivisti, l’intero processo ha «chiari fini politici» ed è volto a delegittimare le rivendicazioni, in particolare, del Movimento No TAV, uno dei più longevi nella storia dei movimenti italiani, il quale si oppone alla costruzione di una grande opera e alla conseguente devastazione dei territori, oltre che allo sfratto di numerose famiglie dalle proprie abitazioni.

[di Valeria Casolaro]