martedì 11 Novembre 2025
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La nuova immagine scattata dal telescopio Webb che immortala 2.500 galassie

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Ci sono più di 2.500 galassie e sono tutte racchiuse in un piccolissimo angolo di cielo: è quanto rivelato dalla nuova immagine ottenuta grazie al telescopio spaziale James Webb, una delle più profonde mai realizzate dell’universo. Lo rivela l’Agenzia Spaziale Europea, aggiungendo che la regione osservata corrisponde al celebre Hubble Ultra Deep Field, rivisitata questa volta attraverso lo sguardo congiunto della Near-Infrared Camera (NIRCam) e dello strumento Mid-Infrared Instrument (MIRI). Dopo quasi cento ore complessive di analisi dei dati ottenuti, il tempo più lungo dedicato a Webb con un unico filtro sul medio infrarosso, i ricercatori hanno persino individuato galassie risalenti alle fasi iniziali della storia cosmica. Alcune sono apparse estremamente rosse, segno della presenza di polveri o di stelle molto antiche, mentre altre sono bianche e verdastre, tra le più lontane mai registrate. «Webb continua e amplia la tradizione dei campi profondi, rivelando nuovi dettagli e scoprendo galassie precedentemente nascoste», commentano i ricercatori a capo del progetto.

Lanciato nel dicembre 2021, il telescopio spaziale James Webb è progettato per osservare l’universo nell’infrarosso, con lo scopo di studiare la formazione delle prime galassie, l’evoluzione stellare e i sistemi planetari. Grazie ai suoi strumenti principali, NIRCam e MIRI, Webb riesce a penetrare la polvere cosmica e a rilevare oggetti estremamente lontani, la cui luce è stata spostata verso lunghezze d’onda più lunghe dall’espansione dell’universo, offrendo una visione più profonda e dettagliata rispetto a quella dei predecessori. Nel 2004, spiegano gli esperti, lo stesso campo era stato reso celebre dal telescopio spaziale Hubble (NASA/ESA) come Hubble Ultra Deep Field: un’area della costellazione della Fornace larga appena un decimo del diametro apparente della Luna piena, osservata per mesi tra settembre 2003 e gennaio 2004. All’epoca Hubble mostrò migliaia di galassie mai viste prima, aprendo la strada allo studio delle prime epoche dell’universo, ma la differenza principale rispetto a Webb è lo spettro osservato: Hubble operava principalmente nell’ultravioletto e nel visibile, mentre Webb si concentra sull’infrarosso, permettendo così di rilevare oggetti molto lontani la cui luce è “arrossata” dall’espansione cosmica o oscurata dalla polvere interstellare. Questa capacità, aggiungono, consente di osservare galassie formatesi pochi centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, approfondendo la comprensione dell’evoluzione galattica e delle prime strutture cosmiche.

L’immagine realizzata dal telescopio James Webb. Credit: ESA/Webb, NASA & CSA, G. Östlin, PG Perez-Gonzalez, J. Melinder, la collaborazione JADES, la collaborazione MIDIS, M. Zamani (ESA/Webb)

In particolare, lo strumento ha catturato immagini con i tre filtri a lunghezza d’onda più corta, integrate dai dati NIRCam, producendo una delle viste più profonde mai ottenute. Il risultato mostra centinaia di galassie estremamente rosse, probabilmente sistemi massicci oscurati dalla polvere o galassie evolute con stelle mature, e piccole galassie bianco-verdastre con elevato redshift, quindi tra le più distanti. I colori nell’immagine evidenziano caratteristiche diverse: arancione e rosso indicano galassie con polveri, intensa formazione stellare o nucleo attivo, mentre blu e ciano rappresentano galassie più luminose alle lunghezze d’onda più corte del vicino infrarosso. «Grazie all’elevata risoluzione del Webb, anche a lunghezze d’onda del medio infrarosso, i ricercatori possono risolvere le strutture di molte di queste galassie e studiare come viene distribuita la loro luce, gettando luce sulla loro crescita ed evoluzione», commentano gli scienziati, aggiungendo che l’immagine conferma la continuità con Hubble, ma offre dettagli senza precedenti, fornendo alla comunità scientifica dati preziosi per svelare nuove evidenze.

Olbia: un uomo è morto di arresto cardiaco dopo essere stato colpito col taser dai carabinieri

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Nella serata dello scorso 16 agosto, i Carabinieri intervengono nel centro di Olbia. Un uomo, Gianpaolo Demartis, 57 anni e sotto l’effetto di droghe, sta «manifestando ostilità» contro i passanti. Gli agenti, per fermarlo, lo colpiscono con un taser, la pistola elettrica in dotazione alle forze dell’ordine. Poco dopo, l’uomo morirà a bordo dell’ambulanza intervenuta in suo soccorso a causa di un arresto cardiaco. Il fatto costituisce solamente l’ultimo di una lunga serie di episodi simili che, come già sottolineato da Amnesty, riportano al centro del dibattito «interrogativi gravi e urgenti» circa le modalità di impiego da parte delle forze dell’ordine del taser, arma che, ad oggi, viene ancora considerata non letale. 

Il Sindacato Indipendente dei Carabinieri (SIC), nel difendere l’operato dei colleghi, riferisce che i militari hanno agito dopo che l’uomo ha colpito al volto uno di loro, «causandogli lesioni tali da richiedere il trasporto in ospedale». Per neutralizzarlo, gli agenti hanno quindi impiegato il taser, la cui scarica elettrica causa una paralisi temporanea dei muscoli. Sarà l’autopsia, disposta dalla procura di Tempio, a cercare di stabilire se vi sia un nesso tra il decesso e l’impiego della pistola elettrica. In soggetti con le funzionalità cardiache alterate o compromesse (per cardiopatie o per utilizzo di sostanze stupefacenti, ad esempio, ma anche a conseguenza di attività fisiche intense, come la corsa), questo può infatti comportare conseguenze potenzialmente letali. E il problema legato al suo utilizzo risiede proprio nel fatto che si tratta di condizioni spesso non verificabili a propri. All’indomani della morte di Demartis, Irene Testa, Garante dei detenuti della Sardegna, ha definito l’arma uno strumento di «tortura legalizzata», impiegato per «contenere il disagio, provocando effetti fisici e psichici devastanti». Ad oggi, un registro riguardo la mortalità da taser non esiste – anche se, secondo quanto stabilito da Amnesty, negli Stati Uniti, dove il dispositivo è in uso da più tempo, le morti sono state migliaia negli ultimi 20 anni.

Sono numerosi gli episodi simili che si sono verificati nel tempo. A Pescara, Riccardo Zappone, 30 anni, è morto per arresto cardio-circolatorio dopo che due agenti lo avevano colpito con un taser a causa di un alterco per strada. Un anno prima, a Chieti, era toccato a Simone Di Gregorio, 35 anni, affetto da problemi psichiatrici. Lo stesso è accaduto a Bolzano e a Roma. In molti di questi casi, l’esame autoptico non si è rivelato conclusivo nello stabilire una correlazione tra l’utilizzo della pistola elettrica e il decesso. Eppure, secondo Amnesty, alla luce anche degli eventi di cronaca l’utilizzo di tali armi dovrebbe essere vietato «immediatamente», oltre che per le conseguenze fisiche – tra le quali sono comprese dislocazioni, fratture e ferite di altro genere, come effetti secondari delle convulsioni dovute alle scosse – anche per quelle psicologiche. In Italia, tuttavia, l’attuale governo punta a estenderne l’utilizzo: un emendamento del decreto Milleproroghe ha infatti esteso il loro utilizzo alla polizia municipale di tutti i Comuni con più di 20 mila abitanti.

Nubifragio in Pakistan: si cercano 150 persone sotto le macerie

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Dopo le forti inondazioni che hanno colpito il Pakistan nordoccidentale negli scorsi giorni, i soccorritori sono ancora alla ricerca di oltre 150 persone che risultano disperse nell’area. Il bilancio delle vittime nel distretto montuoso di Buner, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, ha raggiunto lunedì quota 277, dopo che i soccorritori hanno recuperato tre corpi. Le operazioni di ricerca sono state estese alle aree remote per trovare i residenti travolti dai detriti, ha dichiarato il portavoce dei servizi di emergenza Mohammad Suhail. L’esercito ha schierato ingegneri e macchinari pesanti per rimuovere le macerie.

Tutte le volte che Pippo Baudo è finito nel mirino della mafia

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È morto sabato 16 agosto, all’età di 89 anni, il celebre conduttore televisivo siciliano Pippo Baudo. Presentatore di 13 edizioni del Festival di Sanremo, autore di successo e ineguagliabile scopritore di talenti, Baudo assunse però un’inedita veste negli anni più “caldi” della storia politico-criminale italiana: quella di vittima designata di Cosa Nostra. Le prime avvisaglie si ebbero nel 1989, quando nella sua villa di Santa Tecla (Acireale) fu rinvenuto un ordigno rudimentale. Solo pochi mesi dopo, materiale infiammabile venne trovato in un’altra sua residenza. Poi, nel novembre del 1991, un feroce attentato dinamitardo distrusse la villa di Baudo mentre quest’ultimo si trovava a Roma. Infine, l’anno successivo, il piano omicidiario che implicava l’eliminazione del conduttore e di altre figure di spicco del mondo televisivo (tra cui Maurizio Costanzo) che si erano distinte per attacchi su larga scala alla compagine mafiosa. Progetti sanguinari che – al netto di quello nei confronti di Costanzo, consumato senza successo nel 1993 – furono messi da parte per lasciare spazio alla più proficua strategia eversiva e destabilizzatrice che vide Cosa Nostra in prima linea con la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.

Attacchi ripetuti

Come ricostruito dai magistrati in anni di indagini, le prime intimidazioni mafiose nei confronti del conduttore di cui si ha contezza ebbero luogo già il 17 gennaio del 1989. Nella villa di Santa Tecla era stato infatti trovato un rudimentale ordigno esplosivo. Il successivo 4 febbraio, la mafia replicò la sua azione dimostrativa, facendo rinvenire del liquido infiammabile in un’altra villetta di proprietà di Pippo Baudo. Ma fu solo l’anticamera di una mossa ben più impattante. Nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1993, un boato si udì in tutta Santa Tecla: la residenza di Baudo era stata colpita col tritolo. I Vigili del Fuoco impiegano oltre due ore per domare le fiamme. La villa venne completamente devastata e rimasero in piedi solo alcuni pezzi di muro. Baudo si salvò, perché aveva lasciato la casa poche ore prima alla volta di Roma, dove in quel periodo registrava Domenica In. Lo stesso giorno, all’ANSA arrivò una particolare rivendicazione: «Il presentatore di spettacoli di varietà televisivi Pippo Baudo può considerarsi un uomo fortunato. Agli industriali Vecchio e Rovetta, a Bicocca – nella sua città, alla periferia di Catania – necessità ci impose di riservare un destino ben peggiore. Gli consigliamo perciò di non distrarsi». Firmato: «Falange Armata». La stessa sigla usata per rivendicare i delitti della Uno Bianca tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta e numerosi attentati della criminalità organizzata dei primi anni Novanta, tra cui gli omicidi di Antonino Scopelliti, Salvo Lima e Giuliano Guazzelli e le stragi di Capaci, via d’Amelio, Roma, Firenze e Milano, così come l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.

Cause e responsabili

In una conferenza stampa tenuta dal conduttore il 5 novembre del 1991, un giornalista gli chiese: «Puoi immaginare che la mafia possa aver colpito te per colpire, per così dire, il mondo della tv e si è schierato contro Cosa Nostra? Mi riferisco ad esempio a Maurizio Costanzo…». «Potrebbe darsi anche questo, insomma, noi facciamo il nostro dovere di uomini civili di un Paese che speriamo sia civile – rispose Baudo -. Quando capita l’occasione di potersi esprimere e dire delle cose le diciamo. Penso che ognuno di noi debba farlo, perché ha il dovere di farlo». Effettivamente, pochi mesi prima, Baudo era intervenuto in una puntata speciale del Maurizio Costanzo Show incentrata sulla lotta alla mafia, esprimendosi senza mezzi termini contro gli uomini di Cosa Nostra e ricordando con orgoglio il giudice Rocco Chinnici, ideatore del pool antimafia, ucciso nel 1983 dalla consorteria mafiosa con un’autobomba. Le indagini degli inquirenti appurarono col tempo che a ordinare l’attentato alla villa di Baudo, concepito dal mafioso Marcello D’Agata, era stato direttamente il superboss catanese Nitto Santapaola, alleato di ferro dei corleonesi e giunto al potere della città etnea dopo la seconda guerra di mafia, che vide il gruppo di Riina e Provenzano vincitore nei primi anni Ottanta. A fornire uomini e mezzi per l’azione delittuosa fu il boss di Acireale Sebastiano Sciuto, che venne condannato a 15 anni e sei mesi di reclusione.

La “spedizione” romana

Ma c’è di più. Perché, come ricostruito dai magistrati che si sono occupati della stagione omicidiario-stragista che tenne in scacco l’Italia nei primi anni Novanta fino al fallito attentato allo Stadio Olimpico del gennaio ’94, i piani di morte di Cosa Nostra nei confronti di Baudo e di altri importanti personaggi del giornalismo e dell’intrattenimento televisivo si estesero anche ai mesi successivi. Nel febbraio del 1992, infatti, i programmi di morte di Totò Riina si concentrarono su Roma, dove venne inviato un commando di mafiosi con l’obiettivo di colpire Giovanni Falcone (all’epoca direttore generale degli affari penali al ministero della Giustizia), l’allora Guardasigilli Claudio Martelli e altri personaggi che si erano distinti nella battaglia mediatica contro la mafia, come Maurizio Costanzo, Michele Santoro e Pippo Baudo. Poco dopo, però, Totò Riina diede l’ordine ai suoi uomini di rientrare in Sicilia. In ballo c’era «qualcosa di più grosso». Il resto è storia, con l’omicidio del democristiano Salvo Lima – asse portante dell’alleanza politica tra mafia e DC dall’epoca del “sacco di Palermo”, ucciso il 12 marzo 1992 per non aver ottemperato all’impegno di dirottare il Maxiprocesso verso un nulla di fatto – e l’inaugurazione della “strategia della destabilizzazione” con l’attentato di Capaci del 23 maggio del 1992, seguito dalla strage di via D’Amelio a soli 57 giorni di distanza.

L’attentato a Costanzo

Tra la morte di Falcone e quella di Borsellino, ebbe inizio la “Trattativa Stato-mafia”, con l’apertura al dialogo che gli ufficiali del ROS dei Carabinieri (poi processati e assoltu per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato) lanciarono ai vertici di Cosa Nostra per il tramite dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Una mossa che, secondo le Corti di Firenze che si sono pronunciate sul tema, instillò nei capimafia l’idea che la strategia stragista «pagasse» e che, dunque, fosse funzionale portarla avanti anche nel 1993 al nord e al centro Italia, puntando al patrimonio artistico dello Stato. Eppure, il primo appuntamento di quell’annata di sangue fu organizzato per versare altro sangue: il 14 maggio, andò in scena l’attentato – fortunatamente fallito, ma che provocò comunque decine di feriti – in via Fauro, nei pressi degli studi del “Maurizio Costanzo Show”, proprio ai danni di Costanzo. Il quale si salvò, insieme a sua moglie Maria de Filippi, solo grazie a un cambio di automobile deciso all’ultimo.

Australia, multa di 36 milioni a Google per accordi anticoncorrenziali

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Google ha accettato di pagare una multa di 55 milioni di dollari australiani (35,8 milioni di dollari americani) in Australia dopo che l’autorità garante della concorrenza ha scoperto che la compagnia aveva danneggiato la concorrenza pagando le due principali compagnie telefoniche per preinstallare la sua app di ricerca sui telefoni Android, escludendo motori di ricerca rivali. La sanzione arriva in un momento difficile per Google, che ha recentemente perso una causa contro Epic Games per le sue pratiche nei negozi di app. Inoltre YouTube, di proprietà di Google, è stato aggiunto lo scorso mese al divieto australiano di piattaforme social che consentono l’accesso agli utenti under 16.

Un anno dopo, il naufragio del Bayesian rimane ancora un mistero

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Il veliero inaffondabile, secondo chi ha costruito quei 56 metri di bellezza e tecnologia, è colato a picco in un quarto d’ora, forse 13 minuti. E un anno dopo l’affondamento del Bayesian, lo yacht che si è inabissato a 49 metri di profondità davanti a Porticello, a due passi da Palermo lasciando una scia di sette vittime, le domande, i dubbi e le perplessità non si sono diradati. Anzi. Il recupero del relitto e l’inchiesta in corso, finora, hanno evidenziato e confermato i coni d’ombra di un naufragio che resta un grande mistero, deflagrato l’anno scorso dopo Ferragosto con effetti e sfumature da spy-story internazionale.

Una crociera per miliardari

il proprietario dello scafo, Mike Lynch, magnate di Darktrace, multinazionale della cybersicurezza specializzata nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale

In primo luogo vi è il fatto che non si trattava di una crociera di lusso per turisti qualsiasi: il proprietario dello scafo era Mike Lynch, magnate di Darktrace, multinazionale della cybersicurezza specializzata nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Un colosso che nell’aprile 2021 era stato quotato 2,5 miliardi di sterline alla Borsa di Londra (2,9 miliardi di euro). E nella primavera 2024, pochi mesi prima del disastro davanti alle coste siciliane, era stato acquistato dal fondo statunitense Toma Bravo per 5,32 miliardi di dollari. Darktrace ha anche attivato una divisione che collabora col Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, oltre ad avere da sempre solidi legami con i servizi segreti inglesi, americani e israeliani.

Certo, è un amaro e beffardo paradosso che il tycoon di una compagnia specializzata nella sicurezza, oltre che nella previsione e neutralizzazione di rischi e minacce, sia stato risucchiato in una tempesta largamente annunciata e prevista, perlomeno dai pescatori della zona che quella notte – tra il 18 e il 19 agosto di un anno fa – avevano lasciato le loro barche ormeggiate in porto, guardandosi bene dal prendere il mare. La Procura di Termini Imerese parla senza mezzi di termini di catena di errori umani, aggiungendo in modo implicito l’aggettivo “incredibile”. Gli inquirenti sono al lavoro nell’inchiesta relativa al fascicolo aperto per “naufragio e omicidio colposo plurimo contro ignoti”. Ignote, per la verità e tutt’ora, sono le cause di quello che tutti, magistrati ed esperti, definiscono all’unisono un “affondamento repentino”.

Tutti gli elementi che non tornano

Il temporale e le forti raffiche di vento, annunciati con bollettini meteo ignorati dal comandante e dall’equipaggio del Bayesian, hanno inghiottito un veliero di 550 tonnellate nel giro di pochi minuti. Dai filmati delle telecamere piazzate sul porticciolo, si vede che alle ore 3.57 il veliero si è messo a dritta, per lo sferzare della tempesta di pioggia e vento che ha toccato il picco tra le 4.05 e 4.06. Ma già tre minuti prima, la barca era scomparsa alla vista e si è completamente inabissata alle 4.10, quando paradossalmente le condizioni meteo hanno cominciato a migliorare fino alle 4.18. Alle 4.03, inoltre, prima che la burrasca toccasse il suo culmine, il Bayesian si era già irrimediabilmente “coricato” a 90 gradi sulla teorica linea di galleggiamento, posizione dalla quale è praticamente impossibile recuperare l’assetto in equilibrio. Adagiato in quel modo, in mezzo a marosi e venti da 20 nodi, non ha avuto scampo il veliero che era uscito nel 2008 dai cantieri della Perini di Viareggio (unico “loop” varato da quel marchio) col nome molto poco profetico di Salute – poi cambiato in Bayesian nel 2014 quando fu acquistato dalla Revtom Ltd, società con sede nell’Isola di Man e riconducibile ad Angela Bacares, moglie di Lynch, sopravvissuta al naufragio insieme alla figlia piccola, mentre Hannah Lynch, appena 18enne, è deceduta nell’affondamento.

Il Bayesian ripescato nello scorso mese di giugno dalla Guardia Costiera

Nelle 42 pagine dell’informativa redatta dalla Guardia Costiera (mentre sono in corso gli accertamenti tecnici sul relitto ripescato lo scorso giugno e che vengono incrociati con i dati degli hard disk di bordo, decrittati da una ditta tedesca specializzata) è racchiusa la ricostruzione di quei terribili momenti nella rada di Porticello, in territorio di Santa Flavia. Il lavoro dei periti ha evidenziato particolari che aprono nuovi scenari sull’affondamento dello yacht, che secondo gli esperti si sarebbe trovato in posizione inclinata già prima dell’arrivo della tempesta. Il Bayesian avrebbe anche già imbarcato acqua, era anzi già allagato prima dell’arrivo della burrasca, piegato di 15 gradi: questo spiegherebbe il suo affondamento repentino. Secondo gli inquirenti, “il momento raddrizzante e la stabilità della nave erano già compromessi prima della tempesta”.

Resta comunque il problema di capire come sia stato possibile che, in condizioni di mare calmo e vento leggero (come è stato registrato fino ad un’ora prima della tempesta), il superveliero si sia potuto inclinare sull’acqua fino ad allargarsi. Visto che il recupero del relitto non ha evidenziato falle o urti nello scafo, l’unico modo per cui l’acqua poteva invadere la barca era un fattore interno, come un’apertura non richiusa in modo improvvido e con imperdonabile errore. Si pensa a qualche portellone dimenticato aperto, o forse a quello del tender a poppa. Mario Bellavista, avvocato dei familiari del cuoco di bordo (Recaldo Thomas, unico dell’equipaggio a perdere la vita), ipotizza senza mezze parole che, negli istanti precedenti alla burrasca, l’equipaggio abbia lasciato la nave per recarsi a terra e che una volta risalito, fosse stato troppo tardi per rimediare alla situazione. Ossia che i portelloni o i boccaporti siano stati chiusi troppo tardi, per impedire l’affondamento del Bayesian. Eppure, nessuno a terra ha notato la decina di uomini, tutti stranieri, in qualche locale o luogo di Porticello.

Marinai della domenica

Mike Lynch era un magnate di alto calibro. Il “Bill Gates britannico” vantava un patrimonio personale di 853 milionidi sterline. Tra i suoi ospiti a bordo del Bayesian vi erano, oltre al suo avvocato Chris Morvillo, anche Jonathan Bloomer e sua moglie, entrambe dispersi nel naufragio. Dal 2018, Bloomer era presidente di Morgan Stanley International, oltre che testimone nel processo per frode cui era stato sottoposto lo stesso Lynch negli Stati Uniti per aver truccato i ricavi di Autonomy, la sua società di software che poi è stata acquista da Hewlett Packard per 11 miliardi di dollari – Bloomer era alla guida del comitato di revisione contabile dell’azienda. La crociera, per Lynch, era anche un’occasione per festeggiare la sua assoluzione. Possibile che, con un tycoon del genere e ospiti del suo livello, la scelta dell’equipaggio sia ricaduta su marinai “della domenica” che, come si ipotizza, hanno abbandonato la barca per partecipare ad una festa sulla terraferma con le avvisaglie meteo che già circolavano? Sarebbe stato un comportamento del tutto non professionale, così come quello di ignorare gli avvisi sul meteo che sarebbe peggiorato di lì a poco. Sarebbe forse addirittura più plausibile, anche se in via del tutto ipotetica, che qualcuno li abbia indotti o invitati a lasciare lo scafo prima dell’arrivo della tempesta, oppure a non sigillare le possibili vie di allagamento interne. Secondo gli inquirenti, se la nave fosse stata in perfetto equilibrio ed efficienza e l’equipaggio si fosse attenuto ai protocolli di sicurezza “non solo nell’ultimo quarto d’ora fatale, ma anche nelle ore precedenti”, l’affondamento sarebbe stato “improbabile”.

Equipaggio sotto accusa

Il comandante del Bayesian, James Cutfield

E’ questo il quadro di indizi e di indicazioni che è emerso finora dall’analisi del relitto e dalla ricostruzione dei suoi ultimi momenti, uno scenario costellato di dimenticanze, sbadataggini, errori e anche un presunto abbandono dello scafo: tutto molto strano (se non inconcepibile), dal momento che si parla di un equipaggio di marinai professionisti molto ben pagati e altrettanto addestrati. Al momento, gli indagati del disastro sono tre. Oltre al comandante, il neozelandese James Cutfield, l’ufficiale di macchina, Tim Parker Eatan e il marinaio Matthew Griffiths, entrambi inglesi. Quest’ultimo, a caldo, aveva dichiarato di aver svegliato il Cutfield – che quindi dormiva beato nella sua cabina con una burrasca annunciata in arrivo – per il vento forte e in crescendo e le condizioni meteo in peggioramento, con la barca che si era piegata. Secondo i magistrati, in sostanza, nessuno dei tre si sarebbe reso conto della gravità della situazione, nonostante il loro ruolo e la loro esperienza, cercando poi inutilmente di porre rimedio ai propri errori e alle proprie sviste. Il pm Raffaele Cammarano li cita così nel suo capo di imputazione: “(Griffiths) in qualità di marinaio addetto al turno di guardia notturno, perché non si avvedeva del peggioramento delle condizioni meteo ; Timothy Parker Eaton perché non si avvedeva che la barca aveva già imbarcato acqua… Il comandante Cutfield perché non adottava tempestivamente tutte le misure atte a fronteggiare la situazione di emergenza venutasi a creare e non avvertiva del pericolo dell’imminente naufragio tutti gli altri soggetti presenti sull’imbarcazione, cagionando la morte di sette di loro”.

Quelle mail senza risposta

Nella lista delle cose che non tornano, o che non trovano risposta plausibile, ci sono anche le mail scambiate da un agente marittimo del luogo, Marcello Meli, col comandante Cutfield nei giorni precedenti il naufragio e il giorno stesso del disastro. Meli aveva offerto al Bayesian di ormeggiare a Porto Marina di Villa Igea e anche il pomeriggio del 18 agosto si era detto disponibile per assicurare al veliero un approdo sicuro, visto il maltempo in arrivo. Visto che il comandante non ha accolto il suo invito, Meli aveva comunque pensato che, da lupo di mare, avrebbe provveduto a prendere le necessarie precauzioni per affrontare col veliero il pessimo meteo annunciato dalle previsioni. Non c’è spiegazione, col senno di poi, nemmeno a questo comportamento del comandante, che evidentemente doveva avere molta fiducia nelle sue qualità e conoscenze, oltre che esperienza di mare.

Il derby giudiziario tra fazioni opposte

Con la verità ancora lontana e ancora parecchi punti interrogativi sulla dinamica di questo disastro marittimo che ha acceso i riflettori di mezzo mondo sulla rada di Porticello, la vicenda giudiziaria sta prendendo lentamente le sembianze di un derby tra tesi contrapposte e la posta in palio, più che l’accertamento dei fatti, sembra siano i risarcimenti e alle faraoniche polizze di assicurazione legate al superveliero. Se da un lato la procura di Termini Imerese, insieme all’avvocato Bellavista e al costruttore, la Perini Navi, sostengono in modi diversi (ma con la stessa formula) le gravi responsabilità dell’equipaggio e il cosiddetto fattore umano, da parte inglese – il Bayesian batteva bandiera britannica – si cerca di dare la colpa del naufragio ai difetti del superveliero, facendo passare per dilettanti i cantieri italiani di eccellenza come nel caso del “loop” che aveva il più alto albero di alluminio al mondo (75 metri) e al limite all’imprevedibilità delle condizioni meteo. In particolare, è il rapporto del Maib (Marine Accident Investigation Branch), l’autorità governativa inglese che si occupa di tutti gli incidenti e naufragi di scafi britannici nel mondo, a delineare uno scenario non troppo edificante per i costruttori del Bayesian.

“Nelle condizioni di danno ipotizzate, velocità del vento superiori a 63,4 nodi erano sufficienti a far ribaltare Bayesian” scrivono gli esperti del Maid. “È possibile che il Bayesian fosse altrettanto vulnerabile a venti inferiori a 63,4 nodi. Queste vulnerabilità (in condizioni di navigazione a motore con vele ammainate, deriva mobile alzata e il 10% di materiali di consumo a bordo) non sono state identificate nel manuale di stabilità presente a bordo. Di conseguenza, queste vulnerabilità erano sconosciute sia al proprietario che all’equipaggio del Bayesian”, spiega ancora il Maib. In poche parole, secondo l’autorità inglese il superveliero orgoglio della marineria italiana non avrebbe retto alla forza e alle condizioni della tempesta, perché strutturalmente non in grado di farlo. La replica di Giovanni Costantino, amministratore delegato di The Italian Sea group, la società proprietaria della Perini Navi di Viareggio che costruì il Bayesian nel 2008, rende l’idea del clima da stadio in cui sembra essere piombata la vicenda: «Nave inaffondabile, c’è stata una catena di errori da parte dell’equipaggio».

Ginepraio assicurativo e una montagna di soldi in ballo

Con un disastro che presenta un conto di almeno 400 milioni di euro, e in un ginepraio assicurativo e legale di clausole, penali e codici, il Bayesian era coperto da due polizze sottoscritte dalla società Revtom Limited, controllata e amministrata dalla moglie di Lynch, Angela Bacares. La prima si chiama Hull e machinery, corpi e macchine, e riguarda i danni subiti dalla barca, con un massimale di 30 milioni. L’altra, Protection & Indennity, tutela l’armatore dai danni eventualmente patiti da terzi, così come le spese di recupero del relitto (25 milioni) e le spese legali che dovranno affrontare i membri dell’equipaggio sotto accusa. Ma c’è una clausola non scritta, che però pesa molto: la compagnia British Marine coprirà le parcelle dei loro avvocati, nella misura in cui loro sapranno tutelare in giudizio gli interessi della compagnia stessa e dell’armatore, ossia la moglie di Lynch e la sua società. In altre parole, il comandante Cutfield e i suoi due colleghi indagati dalla procura dovranno pesare bene le loro parole e la loro linea difensiva durante il procedimento, per non mettere in difficoltà l’assicurazione e l’armatore, se vogliono usufruire della tutela legale offerta. Gli scenari cambiano, dal punto di vista dei risarcimenti, in base a come saranno accertati i fatti in tribunale. Un disastro per colpa umana, dell’equipaggio, la compagnia dovrebbe pagare (con la seconda polizza, quella più onerosa) senza poter avanzare rivalse che potrebbe ottenere, invece, nel caso che venisse accertato un difetto originale nel veliero, circostanza che toglierebbe alla British Marine parte degli oneri. Ci sono insomma un mare di sterline e dollari in ballo, la partita si giocherà tra Londra e Palermo, e la verità sul naufragio del Bayesian e i suoi dispersi rischia di rimanere sepolta per sempre nei 50 metri di fondale in cui il veliero si è inabissato.

I leader europei volano a Washington per fare da scudo a Zelensky

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Dopo l’atteso vertice tra Trump e Putin di venerdì scorso, oggi la Casa Bianca ospiterà il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e diversi altri leader europei. Tra i presenti, il segretario generale della NATO Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il cancelliere tedesco Friederich Merz, il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico Keir Starmer e l’italiana Giorgia Meloni. In seguito al vertice con Putin, tanto Trump quanto l’omologo russo sono usciti dai negoziati soddisfatti, senza tuttavia fare trapelare troppe informazioni; secondo le indiscrezioni diffuse dai media, i due leader avrebbero parlato dell’ipotesi di congelare la attuale linea del fronte in cambio del ritiro delle truppe ucraine dall’intero Donbass. In questi giorni Zelensky e i leader europei hanno ribadito la loro posizione per cui non ci può essere accordo di pace senza la garanzia dell’integrità territoriale ucraina.

Il programma di oggi è fitto di impegni: alle 18 italiane (mezzogiorno locale) i leader europei arriveranno alla Casa Bianca, seguiti da Zelensky alle nostre 19:15. A quell’ora ci sarà un breve bilaterale tra il leader ucraino e Trump; dopo un’ora, alle 20:15, i saluti tra Zelensky e i colleghi di Finlandia, Francia, Germania, Italia e Regno Unito, alle 20:30 la foto di rito, e alle 21 la tavola rotonda tra i leader. «Zelensky può porre fine alla guerra con la Russia quasi immediatamente se lo desidera, oppure può continuare a combattere», ha scritto Trump questa notte, per parlare del vertice. Le parole di Trump suggeriscono nuovamente che l’incontro con Putin è andato come sperato dai due leader. Nel corso della conferenza stampa di venerdì scorso, Trump e Putin non hanno rilasciato dettagli sulle loro conversazioni, ma secondo le informazioni rilasciate dalla stampa, sarebbe emersa una proposta russa per la pace: il Financial Times e Reuters hanno citato fonti anonime che sostengono che Putin avrebbe proposto un congelamento dell’attuale linea di confine nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia e la garanzia che non avrebbe lanciato ulteriori attacchi, in cambio del ritiro completo delle truppe ucraine da Donetsk e Luhansk.

Secondo molti, un simile accordo costituirebbe una sostanziale sconfitta per l’Ucraina e per l’Europa. La Russia ha infatti conquistato larghe porzioni di Zaporizhzhia e Kherson (in questo momento per circa tre quarti occupate dalle truppe russe), rinforzando il proprio controllo sulla Crimea (Kherson è la regione situata subito a nord della penisola); non è tuttavia riuscita a prendere il pieno controllo del Donetsk. Trapelate queste informazioni, Zelensky ha ribadito la sua posizione per cui l’Ucraina non è pronta a cedere territori, rimarcando l’argomentazione secondo cui la Costituzione del Paese vieta la cessione di territori; i leader occidentali hanno fatto eco alle sue parole. Gli alleati del Vecchio Continente hanno ribadito il loro sostegno all’Ucraina attraverso l’uso di sanzioni per fare pressioni su Putin, e sottolineato la necessità che vengano fornite garanzie solide per evitare che la Russia attacchi l’Ucraina. Rimarcato anche il loro sostegno all’avvio di trattative per la pace solo dopo l’implementazione di un cessate il fuoco.

Israele, sciopero generale per gli ostaggi: 38 arresti

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I comitati per le famiglie degli ostaggi israeliani hanno organizzato uno sciopero generale in tutto il Paese, che secondo i media locali avrebbe raggiunto 300 distinte località. I manifestanti hanno chiesto il raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco a Gaza, concentrandosi sul rientro degli ostaggi nelle mani delle organizzazioni palestinesi. Limitate, invece, le proteste contro le politiche genocidarie a Gaza. A Tel Aviv, maggiore centro coinvolto, sono scese in piazza quasi un milione di persone. In altre aree del Paese, le persone si sono riversate per le strade, bloccando il traffico e dando fuoco a cumuli di pneumatici; al termine della giornata sono state arrestate 38 persone.

Al largo delle coste romagnole da molto tempo non si avvistavano così tanti delfini

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Le acque della Riviera romagnola si stanno popolando di delfini come non accadeva da tempo: il numero di avvistamenti è raddoppiato rispetto a giugno, con anche diversi gruppi che si spingono sempre più vicino alla costa. È quanto dichiarato dagli esperti del progetto “Delfini Metropolitano Adriatico”, coordinato dall’Acquario di Genova e dalla Fondazione Acquario di Genova Onlus, con il supporto dei team scientifici di Cattolica e Oltremare. Le uscite in mare condotte nei mesi estivi hanno permesso di identificare ben 53 individui, contro i 29 registrati poche settimane prima, confermando una...

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Belucistan, scontri tra forze iraniane e separatisti: sei morti

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Il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) iraniano ha annunciato di avere ingaggiato degli scontri con due gruppi di separatisti beluci, nella provincia sudorientale del Sistan e Belucistan. Secondo quanto comunica l’agenzia di stampa Fars, le IRGC avrebbero individuato due abitazioni in cui i gruppi di rifugiavano, situate rispettivamente nell’area settentrionale e in quella meridionale della provincia, e vi avrebbero condotto dei raid. Sei militanti di gruppi separatisti beluci sarebbero stati uccisi e altri sarebbero stati arrestati. I beluci sono una minoranza distribuita in una regione chiamata Belucistan, situata a cavallo tra Iran, Afghanistan e Pakistan. In questi tre Paesi sono attive diverse firme separatiste per l’indipendenza dei beluci.