sabato 11 Maggio 2024

Come si tutelano i diritti umani in un mondo senza guida?

La fine del Secondo conflitto mondiale ha sancito il definitivo riassetto dell’ordine geopolitico globale così come era stato fino all’inizio del Novecento. Il susseguirsi di due conflitti di tale portata in meno di mezzo secolo ha spinto i capi delle potenze mondiali a riunirsi intorno a un tavolo affinché si trovasse il modo di evitare che le generazioni a venire dovessero trovarsi di fronte agli orrori della guerra. Da questa profonda ferita nella storia dell’umanità è nato un nuovo equilibrio geopolitico, intorno alle Nazioni Unite e alle Convenzioni da esse emanate, a traino statunitense. In questo contesto, nel 1948, fu redatta la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, un documento dal valore simbolico che sanciva i diritti fondamentali e universali di ogni essere umano, dal quale hanno tratto ispirazione diverse Convenzioni destinate a proteggere tali diritti – quelle sì con valore vincolante per gli Stati che le hanno ratificate. Veniva reso chiaro in questo modo che, quantomeno su carta, esistevano delle basi giuridiche che imponevano il rispetto dei diritti umani. Tuttavia, nei decenni che seguirono il 1948 (e, in particolare, dopo la fine del bipolarismo USA-URSS) gli orrori della guerra non hanno smesso di insanguinare il mondo: si sono solamente spostati un po’ più in là, alle periferie del globo, lontani dal democratico occidente e dagli occhi delle masse. Chi, come Julian Assange, ha provato a denunciare gli orrori perpetrati proprio da quelle nazioni che si erano impegnate a difendere i diritti umani, la sta pagando cara. E se già in un mondo ad assetto unipolare è difficile comprendere come si possa garantire il rispetto di tali diritti, è lecito domandarsi come tutto ciò cambierà ora che l’ordine geopolitico sembra spostarsi sempre più verso un assetto multipolare.

I diritti umani nel sistema unipolare

La concezione dei diritti umani così come si è consolidata nell’Occidente moderno nasce e si sviluppa in seno a un contesto socioculturale ben definito, ovvero quello di una società capitalista e individualista. Basti pensare che tra i diritti fondamentali figura quello alla proprietà privata, uno degli assi portanti dell’intero assetto capitalistico. Una certa percezione diffusa porta a credere che, in quanto diritti fondamentali, questi siano tali da sempre, quando invece sono il frutto di un’evoluzione storica che affonda le proprie radici almeno nell’antica Grecia. I diritti umani sono (anche) un fenomeno sociale e sono andati moltiplicandosi man mano che l’uomo ha occupato un posto sempre più specifico nella società. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con i suoi 30 articoli, viene stilata proprio in un periodo storico ben determinato. Senza voler esprimere giudizi di valore in positivo o in negativo, o cadere nell’insidiosa trappola del relativismo, va notato come la pretesa di attribuire un valore universale al contenuto di una dichiarazione nata in un palazzo governativo occidentale e redatta da rappresentanti delle Nazioni occidentali sia di per sé problematica. Il periodo storico dal quale il mondo stava uscendo può tuttavia giustificare il tentativo di far sì che quanto accaduto non ricapitasse. In quegli stessi anni nascono le Nazioni Unite, il cui intento è quello di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità”, di “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo”, assicurare “la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale” e “promuovere il progresso sociale”. La pretesa dell’applicazione di tali diritti, nella forma nella quale è stata applicata successivamente, segue le direttrici dei rapporti di forza coloniali, dei quali il mondo non è mai riuscito a liberarsi. E, come sottolineava il filosofo Norberto Bobbio, di diritti umani si è teorizzato più nei salotti e nelle università di quanto si sia messo in pratica perché ne fosse garantito il rispetto.

L’uso politico della cooperazione e dell’ingerenza umanitaria

[Claudio Desclazi, CEO ENI Group.]
La Dichiarazione Universale non rappresenta un documento vincolante per gli Stati firmatari. In quanto dichiarazione di principi, è importante soprattutto perché rappresenta la volontà internazionale di far rispettare tali diritti. Dai principi in essa contenuti sono tuttavia stati elaborati diversi Patti e Convenzioni vincolanti per gli Stati che li hanno ratificati. Tra questi: il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (ICESCR), il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR), la Convenzione per l’eliminazione della persecuzione razziale (ICERD), la Convenzione contro la discriminazione della donna (CEDAW), quella contro la tortura (CAT), quella sui diritti del fanciullo (CRC), sulle persone con disabilità (CRPD), sulla sparizione forzata (CPED) e sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti (ICRMW). Tanto per fare un esempio, gli Stati Uniti hanno firmato e ratificato la ICERD, la ICCPR (senza tuttavia sottoscrivere il protocollo opzionale che autorizza controlli indipendenti) e la CAT (anche qui senza protocollo opzionale), mentre si sono limitati a firmare (senza ratifica) la ICESCR, la CEDAW e la CRC. Decisamente poco per la nazione autonominatasi patria della democrazia e dei diritti umani al punto di arrogarsi il diritto di esportarli. La tutela dei diritti sanciti dalle Convenzioni avviene principalmente tramite due meccanismi: la cooperazione internazionale e l’ingerenza umanitaria, termine con il quale si intende l’interferenza coercitiva di uno Stato sovrano in un altro per via di gravi violazioni dei diritti umani, infrangendo di fatto il diritto di sovranità e di non ingerenza. Mentre la cooperazione prevede l’istituzione di accordi (bilaterali o multilaterali) tra le parti, per l’ingerenza non esiste una vera e propria normativa di riferimento, essendo piuttosto legittimata per consuetudine. Di casi di violazione della sovranità di uno Stato in nome di criteri più o meno umanitari è piena la storia del Novecento, ma è solamente nel 1991 che questo viene accettato formalmente dal diritto internazionale. Il 5 aprile, con la risoluzione n. 688 del Consiglio di Sicurezza ONU (fortemente voluta dalla Francia), veniva autorizzato l’intervento in difesa del popolo curdo, oggetto di una violenta repressione da parte del governo iracheno. Nella pressoché totalità dei casi, le Nazioni si attivano per tutelare i diritti umani in un determinato contesto quando hanno in esso interessi di carattere economico. Nel caso dell’Italia, per esempio, la politica estera segue «diverse aziende che hanno interessi nei settori più disparati, dalle imprese edili all’estrazione mineraria», tra le quali «la principale è ENI» ha dichiarato a L’Indipendente un cooperante italiano, del quale abbiamo scelto di tutelare l’anonimato. È proprio per questo motivo che, se ci si occupa di tutelare gli interessi della popolazione in determinati contesti (l’Ucraina costituisce un esempio perfetto), molti altri vengono dimenticati o ignorati.

Tanto per fare un esempio, nel 2021 in Birmania vi è stato un golpe militare che ha sovvertito il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi e causato una sanguinosa guerra civile, che ha portato alla morte di migliaia di cittadini e al collasso dell’economia, oltre ad aver causato un’emergenza umanitaria che ha toccato milioni di persone, minori compresi. La reazione delle Nazioni Unite è stata tiepida (per usare un eufemismo), così come quella dei membri dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico), i quali hanno rifiutato di intervenire appellandosi al principio di non ingerenza. Ultimo, importante dettaglio sta nel fatto che i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’organo predisposto ad autorizzare eventuali atti di ingerenza umanitaria, è composto da Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, ovvero i maggiori esportatori di armi al mondo.

Pluralizzazione dei poteri: cambia davvero qualcosa?

[Aung San Suu Kyi, politica birmana.jpg]
In questo contesto, pensare che plurale sia automaticamente sinonimo di giusto sarebbe ingenuo e semplicistico. Come scrive l’attivista per i diritti umani Kavita Krishnan, vi è una certa concezione del multipolarismo che ritiene che la chiave per contrastare l’egemonia e l’autoritarismo degli Stati Uniti sia il decentramento del potere e la sua pluralizzazione. Tale visione non tiene conto del fatto che, in ultima istanza, a regolare le politiche internazionali sono gli interessi capitalistici, i quali non riguardano solamente il blocco occidentale a guida statunitense, ma ogni Stato del mondo. Le forze che stanno cercando di imporsi come alternativa all’unipolarismo non sono forze sociali che lottano per il bene dei popoli, ma attori che pretendono di avere la propria fetta di guadagno nel mercato internazionale, imponendo le proprie condizioni. E se è vero che sono le logiche capitalistiche a produrre sfruttamento e devastazione, la liberazione dall’autoritarismo statunitense non può costituire la soluzione.

Come ricorda l’antropologo indiano Amitav Ghosh, tutti quei Paesi non-Occidentali che hanno vissuto in qualche forma l’oppressione del colonialismo sulla loro pelle sono in grado di replicare dinamiche coloniali basate sullo sfruttamento delle risorse, in particolare dei combustibili fossili, anche a costo di reprimere le popolazioni nel sangue. «In India – scrive Ghosh – negli ultimi tre decenni, le credenze, le pratiche e i mezzi di sostentamento dei popoli delle foreste sono stati presi di mira come non era mai accaduto prima. In una grottesca imitazione del trattamento che i coloni riservarono ai popoli indigeni, ettari ed ettari di foreste sono stati sacrificati all’industria mineraria e a quella turistica, a volte con il sostegno di ambientalisti discriminatori che auspicano lo spostamento coatto degli abitanti delle foreste in nome dell’ecologia. Le loro montagne sacre sono state profanate, le loro terre allagate dalle dighe, la loro fede e i loro rituali stigmatizzati come “superstizioni primitive” – esattamente le stesse parole un tempo usate dagli amministratori delle colonie, dagli scienziati e dai missionari. Nel replicare le pratiche coloniali, ci si spinge fino a trasferire forzatamente in collegio i bambini tribali».

Dall’altra parte del mondo, l’ex governo brasiliano guidato da Bolsonaro ha sottoposto a medesimo trattamento le popolazioni amazzoniche per poterne sfruttare le terre, ricche di risorse. E così avviene in innumerevoli altri contesti. In questo modo, il termine multipolarismo assume semplicemente il significato di moltiplicazione degli oppressori. Capire come tutelare i diritti fondamentali delle popolazioni è un tema complesso. Tuttavia, non sarà possibile compiere passi in avanti fino a che le forze sociali che rappresentano gli interessi dei popoli non potranno sedere al tavolo di discussione con le grandi potenze internazionali. È ciò che, per esempio, numerose associazioni indigene stanno cercando di fare, conquistando spazio ai tavoli di dibattito dove i capi di Stato decidono il destino delle loro terre, spesso violando il loro diritto all’autodeterminazione e alla vita.

Ai rappresentanti degli interessi nazionali, che hanno necessariamente carattere politico (in quanto seguono la direttrice dei governi di turno), vanno affiancati rappresentati dei diritti dei cittadini, che si muovano su direttrici stabilite non dal capitale ma dall’interesse a tutelare le popolazioni dalle ricadute che le politiche economiche di sfruttamento hanno sulle persone. Una prospettiva forse utopistica, ma per la quale vale la pena lottare.

[di Valeria Casolaro]

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3 Commenti

  1. Il mondo non è e non è mai stato senza guida, il primo anno di ogni Secolo e di ogni Millennio parla a chi capisce la storia.
    Questo millennio è iniziato con il crollo delle Torri gemelle ad indicare la fine del predominio USA ed UK e l’entrata della Cina nell’organizzazione del commercio Mondiale.
    Quindi passeremo da un dominio USA ed UK basato sulle armi ad un dominio Orientale e Cinese basato sul commercio, sicuramente un miglioramento!

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