martedì 16 Dicembre 2025

La Corte Penale Internazionale ha confermato il mandato di cattura contro Netanyahu

La Corte penale internazionale ha respinto il ricorso di Israele e ha confermato i mandati di cattura nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, che sono stati emessi il 21 novembre 2024. La Camera d’Appello della CPI ha ritenuto infondate le richieste di Tel Aviv di sospendere l’inchiesta e di neutralizzare gli effetti giuridici delle accuse. Il procedimento riguarda crimini di guerra e crimini contro l’umanità legati all’offensiva israeliana contro Hamas dopo il 7 ottobre 2023. Le accuse della CPI comprendono anche l’uso della fame come strumento di guerra e attacchi deliberati contro la popolazione civile.

Inizialmente la CPI aveva emesso un mandato di arresto anche nei confronti del leader di Hamas Ibrahim al-Masri, ma lo ha successivamente ritirato in seguito a segnalazioni attendibili sulla sua morte. In risposta ai mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant, il presidente USA Donald Trump ha imposto sanzioni alla CPI, congelando beni e risorse di suoi funzionari e complicando l’operatività della Corte, con alcune aziende che hanno bloccato servizi essenziali alla stessa CPI. La pronuncia dell’Aia di lunedì rappresenta un passaggio rilevante sul piano giuridico e diplomatico, con possibili ripercussioni nei rapporti tra Israele, i Paesi firmatari dello Statuto di Roma e la comunità internazionale. Secondo la Corte, l’indagine resta valida anche per gli eventi successivi all’inizio del conflitto e non può essere interrotta sulla base delle argomentazioni presentate dallo Stato israeliano. I giudici hanno stabilito che la Procura è legittimata a proseguire il lavoro investigativo, nonostante Israele non riconosca la giurisdizione della CPI. I mandati di cattura si fondano sull’ipotesi che alcune scelte militari e politiche abbiano avuto un impatto diretto sulla popolazione civile di Gaza, in particolare per quanto riguarda l’accesso a beni essenziali e la gestione delle operazioni belliche. Secondo le autorità sanitarie locali, i morti palestinesi sarebbero almeno 67.000, ma uno studio del Max Planck Institute for Demographic Research stima un bilancio fino a 110.000 vittime. La Corte ha inoltre chiarito che il principio di complementarità, invocato da Israele, non è sufficiente a giustificare la sospensione automatica dell’inchiesta in assenza di procedimenti nazionali equivalenti e verificabili.

Le reazioni ufficiali di Israele non si sono fatte attendere. Con un post su X, il Ministero degli Esteri israeliano ha rigettato con forza il quadro giuridico stabilito dalla Corte: lo stato ebraico, leggiamo nel comunicato, «respinge la decisione della Camera d’Appello della CPI, adottata per stretta maggioranza, che nega a Israele il diritto di ricevere un preavviso, come richiesto dal principio di complementarità, in particolare per uno Stato democratico con un sistema giudiziario indipendente e solido». Il governo di Tel Aviv parla di «politicizzazione della Corte» e di un «mancato rispetto dei diritti sovrani degli Stati non membri», bollando la sentenza come espressione di un processo che, a suo avviso, traveste la politica da diritto internazionale. Secondo Israele, la decisione rifletterebbe un’evidente mancanza di equilibrio e una visione distorta della realtà del conflitto, respingendo le accuse di crimini di guerra e riaffermando la legittimità delle sue azioni militari contro Hamas.

Nel più ampio teatro delle relazioni internazionali, la conferma della CPI rappresenta un punto di svolta potenzialmente epocale. È una sfida aperta a un ordine internazionale che da decenni fatica a imporre responsabilità per le violazioni più gravi e che ora si trova al centro di un confronto tra giustizia internazionale e sovranità statale. Mentre il conflitto israelo-palestinese prosegue con cicatrici indelebili per la popolazione di Gaza, la conferma del mandato di cattura contro Netanyahu e Gallant segna l’inizio di una nuova fase di dibattito sul ruolo delle corti internazionali nel perseguire la responsabilità per crimini di guerra, anche quando coinvolgono leader potenti, Stati intoccabili e alleanze complesse.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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