sabato 13 Dicembre 2025

IA generativa: anche Walt Disney sale a bordo del grande business

Nonostante sia famosa per difendere le proprie proprietà intellettuali con le unghie e con i denti, The Walt Disney Company ha scelto di stringere un’alleanza strategica con OpenAI. Il colosso dell’intrattenimento ha concesso in licenza all’azienda di intelligenza artificiale 200 dei suoi personaggi più iconici e, al tempo stesso, ha investito un miliardo di dollari nella società guidata da Sam Altman attraverso un’operazione di equity investment. La mossa, descritta dal CEO Bob Iger come un modo per “salire a bordo” di una tecnologia in grado di “stravolgere il modello di business” della casa di Topolino, segna un cambio di passo rilevante, evidenziando la necessità per Disney di presidiare un settore in rapida evoluzione, trasformando l’intelligenza artificiale generativa da potenziale minaccia a leva di innovazione.

La notizia è stata diffusa giovedì 11 dicembre attraverso due comunicati congiunti che annunciano l’avvio di un accordo triennale. L’intesa prevede la concessione in licenza una lista di personaggi che è ancora argomento di trattativa, tuttavia sono già stati nominati esplicitamente Topolino, Stitch, Simba, Elsa di Frozen, ma anche figure provenienti dai franchise Marvel e Star Wars quali Deadpool, Capitan America, Darth Vader e Yoda. Queste IP saranno messe a disposizione dell’intelligenza artificiale generativa di OpenAI, con particolare attenzione a Sora, la piattaforma capace di produrre clip video di 30 secondi. Iger, intervistato da CNBC, ha però chiarito che OpenAI potrà utilizzare le proprietà intellettuali in esclusiva per un anno, precisando con una certa enfasi che l’accordo non comprende le voci originali dei personaggi.

Disney ha imposto una serie di paletti rilevanti, riservandosi il diritto di limitare l’uso del proprio brand per “prevenire la generazione di contenuti illegali o dannosi”. L’azienda si è inoltre garantita la facoltà di selezionare alcune delle clip prodotte da Sora, con l’intento di distribuirle sulla piattaforma di streaming Disney+. Restano poco chiari gli oneri che OpenAI dovrà sostenere per la licenza, tuttavia quel che è certo è che il miliardo di dollari versato da Disney rappresenta una boccata d’ossigeno per Altman, il quale è alla guida di un’impresa perennemente in perdita e che, di recente, avrebbe lanciato un “codice rosso” per la paura di perdere la propria posizione dominante nel settore dell’intelligenza artificiale. 

Curiosamente, sempre ieri, Disney ha inviato a Google una lettera di diffida, accusando la Big Tech di una “violazione volontaria particolarmente allarmante” delle sue proprietà intellettuali, “perché sta sfruttando il suo dominio nell’IA generativa e in molti altri mercati per rendere i suoi servizi di IA illeciti il più disponibili possibile”. La mossa ricalca quanto già visto nella causa intentata contro Midjourney e conferma l’approccio protezionista che da sempre contraddistingue il gigante dell’animazione. Nel corso della sua storia, il ramo statunitense di Disney ha infatti esercitato un’influenza diretta sulla stesura di leggi volte ad ampliare la durata dei suoi diritti d’autore e perseguito con minuziosa petulanza chiunque abbia rappresentato i suoi personaggi senza autorizzazione, arrivando persino a colpire gli asili nido.

Perché, allora, adottare un approccio tanto diverso nei confronti di OpenAI? Non esiste una spiegazione ufficiale che chiarisca questa dissonanza, tuttavia la scelta sembra dettata da esigenze pragmatiche: l’accordo consente a Disney di partecipare finanziariamente a una possibile rivoluzione tecnologica e di non rischiare di restare indietro rispetto a nuovi attori emergenti. Considerando che una parte consistente delle produzioni di IA generativa si muove in aperta violazione dei diritti d’autore, la compagnia potrebbe aver dunque deciso di monetizzare, indirizzare e governare un fenomeno di cui, altrimenti, avrebbe subito passivamente. Da qui la decisione di concentrare le proprie risorse su un interlocutore riconoscibile come OpenAI, il quale ha certamente un suo pedigree, ma è meno dotato della forza e della complessità contrattuale di altri giganti del settore. Quali Google, per esempio. Si tratta in ogni caso di un approccio che appare più prudenziale che entusiastico, con Bob Iger convinto che l’intelligenza artificiale non sia (ancora) in grado di sostituire i creativi della sua scuderia, tuttavia, nel dubbio, l’azienda ha annunciato che diventerà cliente di OpenAI, così da mettere gli strumenti di IA a disposizione dei propri dipendenti.

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Walter Ferri

Giornalista milanese, per L’Indipendente si occupa della stesura di articoli di analisi nel campo della tecnologia, dei diritti informatici, della privacy e dei nuovi media, indagando le implicazioni sociali ed etiche delle nuove tecnologie. È coautore e curatore del libro Sopravvivere nell'era dell'Intelligenza Artificiale.

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