giovedì 20 Novembre 2025

Brasile: gruppi armati attaccano gli indigeni Guarani durante la COP30

Proprio mentre alla COP30 si discute di clima, ambiente e anche di terre indigene, domenica 18 novembre un gruppo formato da circa 20 persone ha assaltato un villaggio di una comunità indigena Guarani Kaiowá, nel sud del Brasile, aprendo il fuoco contro gli abitanti e incendiando le loro case. Quattro persone sono rimaste ferite e una uccisa: si tratta di Vicente Fernandes Vilhalva, attivista indigeno e leader della propria comunità. La denuncia arriva dalla comunità indigena, che riferisce come Vilhalva sia stato giustiziato sul posto con un colpo di pistola alla testa, ed è stata amplificata da Survival International. I Guarani Kaiowá sono solamente una delle molte comunità indigene nello Stato brasiliano di Mato Grosso do Sul che ormai decenni fa furono sfrattate con violenza dalle loro terre. Da allora, quasi tutta la loro terra è stata occupata da agroindustrie e allevamenti di bestiame. Alla loro resistenza e ai tentativi di rivendicare la propria terra sono seguiti attacchi violenti e mortali come quello di domenica.

pistoleiros (come vengono comunemente chiamati gli uomini armati in lingua brasiliana) non si sono limitati a sparare, ma hanno anche incendiato le capanne e distrutto i beni della comunità, in un chiaro tentativo di sfratto violento. Un leader della comunità, parlando a Repórter Brasil in forma anonima per motivi di sicurezza, ha descritto l’attacco: «Eravamo circondati. Noi non abbiamo armi, non abbiamo possibilità di difenderci. Ci siamo ritirati e ci siamo recati al villaggio, ma hanno continuato a sparare. Hanno bruciato tutto nell’area che stiamo rivendicando». 

I Guarani Kaiowá, che storicamente abitano un vasto territorio tra il Brasile e il Paraguay, sono uno dei popoli indigeni più perseguitati al mondo. La loro lotta è incentrata sulla rivendicazione e la rioccupazione delle loro terre ancestrali, note come tekohá, confiscate nel tempo per far spazio ad allevamenti di bestiame e piantagioni intensive di canna da zucchero e soia. L’attacco a Pyelito Kue non è un evento isolato, ma l’ennesima manifestazione violenza. Queste comunità indigene, costrette a vivere in piccoli accampamenti ai margini delle autostrade o a cercare di recuperare le loro terre tradizionali, sono esposte quotidianamente alla violenza di accaparratori di terra e fazendeiros (grandi proprietari terrieri).

L’assalto è avvenuto nel pieno della COP30, offrendo un macabro contrappeso alle promesse di protezione ambientale e dei diritti indigeni fatte dal governo brasiliano. Nonostante le promesse ambientaliste del Presidente Luiz Inácio Lula da Silva, così come quelle sul riconoscimento dei territori indigeni, la devastazione ambientale avanza e la violenza in Mato Grosso do Sul evidenzia il divario tra le intenzioni politiche espresse a livello nazionale e internazionale e l’effettiva applicazione delle leggi sul campo. Survival International, organizzazione che da decenni difende i diritti dei popoli indigeni, ha duramente condannato l’omicidio di Vicente Fernandes Vilhalva. «L’omicidio di Vicente Fernandes Vilhalva dimostra ancora una volta l’incapacità dello Stato brasiliano di proteggere i diritti dei popoli indigeni e, in particolare, i diritti territoriali dei Guarani Kaiowá».

Molti leader indigeni presenti alla COP30, pur partecipando ai dibattiti e alle manifestazioni, hanno espresso frustrazione per l’ipocrisia dei negoziati. Un gruppo di manifestanti indigeni, al grido di «La nostra terra non è in vendita», è arrivato ad assaltare la sede del vertice per far sentire la propria voce, mai realmente ascoltata dagli eredi storici di coloro che si presero il continente. La loro presenza a Belém serve a ricordare che la protezione dell’Amazzonia, così come di altri luoghi, dipende direttamente dal rispetto dei diritti territoriali delle popolazioni che vi abitano e che ne sono custodi da millenni.

L’omicidio di Vicente Fernandes Vilhalva non è solo una tragedia umana; è un campanello d’allarme che squarcia il velo della diplomazia climatica. Esso simboleggia il costo umano della deforestazione e dell’espansione dell’agrobusiness e riafferma una verità scomoda: non può esserci giustizia climatica senza giustizia territoriale e sociale, tanto per i popoli indigeni quanto in generale. Non si può pensare di risolvere i problemi creati dal sistema senza cambiare il sistema stesso. 

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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