Nel finesettimana, decine di migliaia di persone sono scese in piazza in Portogallo, per protestare contro la nuova riforma del lavoro. Secondo gli organizzatori, almeno centomila persone si sarebbero ritrovate per opporsi a misure che, riporta il CGTP (il più grande sindacato portoghese), indeboliranno i diritti dei lavoratori attraverso iniziative quali l’abbassamento dei salari, una maggiore deregolamentazione degli orari di lavoro e procedure di licenziamento più semplici, compreso per quello senza giusta causa. La riforma prevede inoltre un allentamento delle restrizioni all’esternalizzazione e consentirebbe alle aziende di disporre legalmente di un certo numero di straordinari non pagati.
Sarebbero oltre un centinaio, riferisce Tiago Oliveira (segretatio generale del CGPT), gli aspetti della legislazione sul lavoro che il governo vorrebbe rivedere. Tra questi, in particolare, vi sono l’allungamento degli orari di lavoro e l’aumento del banco ore individuale, senza conseguente aumento degli stipendi (che si traducono, sostanzialmente, in straordinari non pagati per un massimo di 150 ore all’anno); maggiori possibilità per i datori di lavoro di assumere a tempo determinato, aumentando così la precarietà; facilitazione dei licenziamenti, incluso quello senza giusta causa; attacchi alla contrattazione collettiva, che facilitano «il ricatto padronale»; limitazione del diritto allo sciopero; limitazione di ingressi e contatti dei sindacati con i lavoratori nei luoghi di lavoro. Sono previste anche limitazioni per quanto riguarda congedi parentali, permessi per l’allattamento e lutto gestazionale. La stessa ministra del Lavoro, Maria do Rosário Palma Ramalho, nella conferenza stampa che annunciava la riforma, ha dichiarato che questa fosse necessaria per «rendere più flessibili» i regimi lavorativi e «aumentare la competitività dell’economia e delle imprese».
Per questo motivo, decine di migliaia di persone sono scese per le strade delle due maggiori città del Portogallo, Lisbona (la capitale) e Porto, e mostrare al governo la netta opposizione alle nuove misure. Dal palco di Lisbona, Tiago Oliveira, segretario generale del CGPT, ha definito senza mezzi termini la riforma del governo di Luís Montenegro come «uno dei più grandi attacchi mai sferrati ai lavoratori» ed accusato l’esecutivo di stare mettendo in atto «tutti i meccanismi affinchè il padronato possa avanzare ancora di più nello sfruttamento dei lavoratori». Oliveira ha anche accusato il governo di «attaccare e indebolire la lotta e l’organizzazione dei lavoratori», attraverso una maggiore individualizzazione dei rapporti di lavoro, attacchi alla capacità di organizzazione, deregolamentazione e precarietà.
La riforma andrebbe a colpire i cinque milioni di lavoratori del Portogallo, dei quali 1,4 milioni hanno già contratti di lavoro precari (il 54% dei giovani). «La redistribuzione della ricchezza è profondamente ingiusta nel nostro Paese», sostiene Oliveira, dal momento che «2 milioni di persone vivono in condizioni di povertà e una ogni dieci si trova in questa situazione anche se ha un lavoro», in un Paese dove il salario minimo è di 870 euro. In un simile contesto, il governo si sta muovendo nella direzione dello smantellamento del sistema di istruzione e salute pubblica, mentre si punta a ridurre il personale anche nei tribunali e nelle pubbliche amministrazioni, «non per una questione di soldi, ma di scelte politiche».
Secondo la Confederazione Intersindacale Galiziana (CIG), la riforma voluta dal governo è «ingiustificata, ingiusta e indesiderabile», in quanto non risolve nessuno dei problemi esistenti ma va piuttosto a rendere il rapporto tra lavoratore e dipendente ancora più squilibrato e iniquo. «Nessuna delle misure è neutra: tutte spostano l’equilibrio dalla parte di chi ha già più potere».




