sabato 8 Novembre 2025

La vera libertà è il vagabondaggio

Queste parole stavano su un piccolo manifesto trovato molti anni fa in un paesino sui Pirenei francesi. Motto perfetto per un camperista come me, che da quasi quarant’anni attraversa l’Europa.

Tutti abbiamo una qualche idea di che cosa sia un popolo ma che cosa sia davvero la gente pochi lo sanno veramente. Girare in camper ti permette di fartene un’idea, anzi tante idee, e le più varie, perché la folla è più o meno anonima ma le persone no, le persone se le fai parlare in condizioni informali ti regalano spezzoni di film, inquadrature, scene, sequenze di una fiction. Ognuno è irripetibile ma nello stesso tempo è rappresentante di qualcosa.

Il contadino a Cabo Espichel, Portogallo, che all’alba portava la sua frutta e verdura in quel posto sperduto e rimpiangeva con me di non aver studiato, perché avrebbe voluto scrivere qualcosa anche lui sullo sfruttamento delle maestranze in Alentejo come aveva fatto il grande Saramago.

La ciclista nella Vandea, Francia, che aveva lasciato la bici fuori dalla chiesa sperduta. Saint-Révérien abbazia cluniacense del XII secolo. Eravamo arrivati lì quasi per sbaglio, sul Cammino francese di Santiago, io e Ave, appassionata e studiosa fra l’altro di arte medievale, e anche lei pilota indomabile. Appena entrati una commozione speciale: i capitelli tutti intatti, che non avevano subito l’oltraggio delle truppe napoleoniche. Una enciclopedia di simboli. E la ciclista che aveva appena deposto dei fiori di campo su una spalliera, stava disegnando una di quelle sirene di pietra. 

A proposito di fiori, per par condicio, indimenticabile il busto di Karl Marx nel parco cittadino di Neubrandenburg, Pomerania, Germania dell’Est, e quell’ombra indistinta che si allontana nella nebbia della sera dopo aver lasciato dei garofani bianchi. 

E sul Baltico, Rostock, i musicisti di strada che eseguono brani folclorici con strumenti tradizionali. Ti avvicini, ti parlano in quell’inglese improbabile da turista e ti dicono che un po’ sono russi e un po’ ucraini ma che le canzoni erano le stesse. 

Ivo ci aveva portati a visitare l’isola delle donne e l’isola degli uomini, in Croazia, prigionia-lager dei nemici di Tito. Ma con la barca eravamo andati a sbattere contro una bora contraria pazzesca. E allora Ivo aveva tirato fuori grappa per tutti. E sembravamo, gente di mezza Europa, la barca dei rovinati, come si chiamava nel Cinquecento, la piccola nave su cui si imbarcavano i relitti sociali, canzonatori del potere, personaggi di quel mondo alla Rabelais su cui avevamo letto gli studi fantastici del russo Mihail Bachtin. 

Lassù in Norvegia, verso il Circolo polare, ci mettiamo in una serata gelida a parlare con Knut, non troviamo la presa per l’elettricità, lui ci fa vedere come si fa ma un attimo dopo ci scateniamo con le ricette di baccalà e stoccafisso. E quel ragazzo al mercato del pesce, sempre nel grande Nord, siciliano? Io faccio il professore sul mare che unisce i popoli più diversi e lui incazzato con Salvini a cui dà la colpa se ha dovuto diventare emigrante. 

E Bakunin? C’è posto anche per lui. Il tipo dell’Ufficio di Turismo vuol farmi salire sul riksciò perché vede che faccio fatica a camminare. Ma gli dico no grazie e gli chiedo che cosa fa nella vita. Si sta per laureare alla Sorbona sul tema del potere con una allieva di Michel Foucault… 

E la polacca incontrata in un parco naturale di ampiezza sterminata. Vende gilet di renna, è di Wadowice, il paese di papa Wojtyła. Dipinge, ancora adesso dopo molti anni ci seguiamo su Instagram. Ci racconta la splendida leggenda dei troll, di queste piccole scorbutiche creature fantastiche che abiterebbero appena sottoterra, facendo trapelare ogni tanto la loro testa sotto quelle zolle rialzate che si vedono in lontananza. 

La realtà insomma, per chi la va a cercare, si trasfigura continuamente, assume le dimensioni del mito e la gente, ognuno di noi, è portatore di storie, di incantesimi perfino. E hai l’impressione che raccogliere racconti in giro abbia a che fare con un compito. Sentirci parte di uno stesso teatro.

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Gian Paolo Caprettini

Ha insegnato all'Università di Torino dal 1975 al 2013, dove è stato professore ordinario di Semiotica e Semiologia del Cinema, ha diretto Extracampus, la TV dell'Università, e il Master di Giornalismo. I suoi libri più recenti: Scrivere come sognare (Cartman), Vertigini dell'immaginario (con A. Bálzola, Meltemi), Complice la poesia (L'Indipendente), Dizionario della fiaba italiana (Meltemi).

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