domenica 16 Novembre 2025

Teva: la multinazionale del farmaco complice dell’occupazione israeliana

Teva, multinazionale israeliana e una delle più grandi aziende farmaceutiche al mondo, con un fatturato di oltre 16 miliardi di dollari, vuol essere riconosciuta come un’azienda etica e corretta – o almeno così afferma il suo codice etico. Tuttavia, l’azienda è complice dell’occupazione israeliana in Palestina, in quanto gode dei vantaggi del mercato vincolato legato alle politiche oppressive e discriminatorie nei Territori Palestinesi Occupati (che lascia campo libero alle imprese israeliane e soffoca quelle palestinesi, controllando importazioni ed esportazioni), e del genocidio a Gaza, avendo sostenuto psicologicamente e materialmente l’esercito israeliano per diversi anni con l’iniziativa Adopt a Batallion. Nel 2017, Teva è stata tra le 150 imprese che hanno ricevuto una lettera di avvertimento dall’ONU per aver operato all’interno delle colonie illegali in Cisgiordania ed era prevista la sua inclusione nel database delle aziende che fanno affari nei territori occupati. Tuttavia, l’azienda non compare tra le 112 (delle 188 analizzate) incluse nella blacklist pubblicata nel 2020 dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite; la sua inclusione andrà verificata nel prossimo aggiornamento. Dopo il 7 ottobre 2023, Teva ha istituito Mental Caregivers, un programma per rafforzare la resilienza mentale delle vittime israeliane, e un fondo in collaborazione con la Israeli Trauma Coalition. L’azienda stessa dichiara di aver donato all’esercito e alle famiglie israeliane farmaci essenziali, cibo e tonnellate di attrezzature. Teva afferma di impegnarsi per «la creazione di un’economia sempre più inclusiva, sostenibile e responsabile», ma appoggia un Paese che annette la Cisgiordania e devasta Gaza, incluso il suo sistema sanitario. 

Per questi motivi, BDS Italia e Sanitari per Gaza hanno lanciato la campagna Teva? No grazie!: ulteriori informazioni al riguardo sono disponibili sul sito di BDS.

Il lato sanitario del genocidio 

Nicoletta Dentico, giornalista ed esperta di diritto alla salute, già direttrice di Medici Senza Frontiere (MSF), scrive su Il manifesto del 30 luglio 2025: «Secondo l’UNICEF a Gaza è stato distrutto l’84% delle strutture sanitarie e il 75% di quelle idriche. (…) Il rapporto di Physicians for Human Rights introduce il concetto di iatrocidio (dal greco iatros, persona che guarisce, e cidio, uccisione) per descrivere la distruzione di infrastrutture sanitarie e lo smantellamento dei sistemi di conoscenza medica collettiva. (…) La distruzione materiale degli edifici di cura – gli ospedali, i centri per il trauma, i locali per la maternità, le ambulanze e le cliniche mobili – è la forma più spettacolare. (…) Anche quando gli edifici restano in piedi, il sabotaggio delle altre infrastrutture – i sistemi fognari, elettrici, di gestione delle acque – li rendono letali. Un ospedale senza elettricità è una trappola. Una clinica senza acqua è un sito infettivo. Una sala operatoria senza anestesia una camera di tortura. Poi ci sono gli episodi di criminalizzazione, le sparizioni forzate e le uccisioni del personale sanitario. Il blocco o sabotaggio dei medicinali. La definitiva distruzione degli ecosistemi di ricerca medica e sanitaria (università, laboratori, ecc.) incluse le pratiche locali di cura». Ospedali e personale sanitario sono obiettivi deliberatamente scelti dall’esercito israeliano, in aperta violazione della Quarta Convenzione di Ginevra (Articoli 18, 19, 20 e 21) e di ogni norma del diritto internazionale.

Una strategia abituale è quella del “doppio colpo”: si bombarda, si aspetta l’arrivo dei soccorsi e si attacca di nuovo. Tutti i 36 ospedali della Striscia di Gaza sono stati bombardati. A partire dal 7 ottobre 2023, oltre 1600 operatori sanitari sono stati uccisi e oltre 400 risultano illegalmente detenuti, senza accuse e senza processo; 70 sono stati torturati a morte. Il giornalista Farid Adly, nella newsletter Anbamed del 3 agosto 2025, scrive: «Il numero dei pazienti supera enormemente le capacità degli ospedali: del 240% a Shifà, del 210% a Rantissi, del 180% a Nasser e del 300% a AlAhli. Per sopperire alla mancanza di letti, i sanitari stendono i malati per terra, su coperte, nei corridoi e sui marciapiedi attorno alle strutture». Mancano medicine, materiali e attrezzature. «Non sono più ospedali, ma cimiteri», ha detto il direttore del Nasser. Il 10 luglio scorso, mentre i carri armati ne distruggevano i muri di cinta, il personale ha lanciato questo appello: «Lavoriamo in ospedale con i carri armati a pochi metri di distanza, e siamo più vicini alla morte che alla vita. I soldati non hanno pietà per bambini, anziani, medici o infermieri. Restiamo qui perché siamo esseri umani (…) Non dimenticateci e non riduceteci a numeri». E non succede solo a Gaza. A Jenin, Tulkarem, Hebron e altre città in Cisgiordania e nel Sud del Libano gli ospedali sono stati ripetutamente attaccati o bombardati, i soccorsi impediti, i rifornimenti bloccati, gli operatori sanitari uccisi o arrestati illegalmente.

Cosa possiamo fare? 

La campagna Teva? No grazie! invita a compiere azioni di boicottaggio etico: i pazienti possono scegliere di non acquistare farmaci Teva e delle sue consociate (Dorom, Rathiopharm, Cephalon), consegnare lettere sulle ragioni del boicottaggio al proprio medico e farmacista e scrivere a Teva Italia per comunicare l’adesione al boicottaggio.

I medici possono scegliere di non prescrivere farmaci prodotti da Teva (per ogni specialità esistono equivalenti) e i farmacisti possono scegliere di non venderli. Paolo Usai, farmacista di Bari Sardo, racconta la scelta di boicottare le aziende che supportano l’economia israeliana: «Se io voglio mantenere una certa etica e guardarmi allo specchio senza vergogna, oggi boicottare a livello economico e finanziario diventa un dovere: per molto tempo ho provato vergogna nel non riuscire totalmente a boicottare prodotti di aziende che supportano l’apartheid israeliana, come invece riuscivo a fare nella vita privata. Era ora di dire basta. La scelta di boicottare nasce da questo: una collettiva presa di posizione etica» (Lisa Ferreli, La farmacia che a Bari Sardo sceglie di boicottare il genocidio e stare con la Palestina, www.italiachecambia.org, 20 luglio 2025).

Infine, le amministrazioni locali possono scegliere di non includere Teva tra i fornitori delle farmacie comunali. Da luglio l’AFS (Azienda Farmacie e Servizi spa), società controllata dal Comune di Sesto Fiorentino, ha smesso di vendere farmaci, parafarmaci, attrezzature mediche e preparati cosmetici prodotti da aziende israeliane o realizzati con capitale israeliano. L’AFS è il primo soggetto istituzionale ad aderire ufficialmente al boicottaggio. Il Comune di Sesto Fiorentino comunica «l’interruzione di ogni forma di relazione istituzionale tra l’amministrazione comunale e i rappresentanti del governo israeliano o enti e istituzioni a esso riconducibili fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale». Nell’agosto scorso, Sanitari per Gaza e BDS hanno lanciato la campagna #Digiunopergaza, che ha raccolto oltre 30.000 adesioni e che invita le aziende sanitarie di valutare con criteri etici la stipula di accordi e partenariati scientifici e commerciali per evitare collaborazioni con enti legati a Stati accusati di genocidio e di adottare regole per gli approvvigionamenti che escludano fornitori riconducibili agli stessi Stati. E a settembre anche il Comune di Jesi ha deciso di aderire alla campagna: le due farmacie municipali non venderanno più prodotti a marchio Teva.

Tutti noi, cittadini, medici, farmacisti e amministratori locali possiamo agire per boicottare TEVA, un’azienda complice dello Stato genocida israeliano: il boicottaggio economico funziona!

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BDS Italia

BDS Italia è un movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro l’occupazione israeliana, costituito da associazioni e gruppi che aderiscono all’appello della società civile palestinese. Il BDS sostiene il semplice principio che i palestinesi hanno gli stessi diritti del resto dell’umanità ed esorta ad agire per fare pressione su Israele affinché rispetti il diritto internazionale.

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