mercoledì 5 Novembre 2025

Il grande inquisitore: la letteratura russa per capire il controllo e il potere

Se ripercorressimo la storia degli ultimi anni, con la sua litania di guerre non volute o al contrario appoggiate e finanziate, come per il genocidio della Palestina, senza il consenso della popolazione, non potremmo fare a meno di domandarci: in che modo siamo stati persuasi ad approvare con il nostro tacito assenso guerre, leggi e misure che vanno contro i nostri stessi interessi? Come riesce, di volta in volta, l’Autorità a convincerci che il riarmo è necessario, che le guerre siano inevitabili, che certe ingiustizie siano questioni troppo complesse e al di là della portata della nostra comprensione? E perché la gente sembra incapace di reagire? 

C’è un passo all’interno de I fratelli Karamazov di Dostoevskij che risponde a queste domande. Sto parlando de Il grande inquisitore, un capitolo che racchiude le pagine più sconcertanti di tutta la letteratura mondiale, pagine che spiegano perfettamente come e perché la gente venga assoggetta a un regime, a un governo o a qualsiasi tipo di casta che eserciti il potere. 

Il grande inquisitore è ambientato nel Cinquecento, in Spagna. Un vecchio inquisitore di quasi novant’anni visita un uomo tenuto prigioniero nelle segrete. Quell’uomo è Cristo, tornato sulla Terra per una seconda volta. Il vecchio lo ha riconosciuto e proprio per questo lo ha fatto arrestare: «Perché mai sei venuto a disturbarci? […] domani io Ti condannerò e Ti farò bruciare sul rogo, come il più malvagio degli eretici».

Potrei dirvi che Dostoevskij da cristiano ortodosso odiava la Chiesa romana, il papato e i gesuiti, ecco perché dipinge in modo tanto fosco questo inquisitore, pronto a mandare al rogo perfino Cristo. Potrei dirvi che questo vecchio si vanta di aver ingannato gli uomini. «Noi,» confessa (e qui parafraso), «diciamo di agire in Tuo nome, ma non è vero. Abbiamo ingannato gli uomini, li abbiamo allontanati dal Tuo messaggio. Tu parlando di libertà e amore e della comprensione che nasce dalla sofferenza, hai lasciato al mondo parole che avrebbero fatto breccia soltanto nel cuore di pochi. Gli uomini, invece, vogliono la sicurezza, vogliono l’autorità, vogliono beni materiali, tangibili, immediati».

Sono pagine straordinarie, ma non è importante capire le posizioni politiche e religiose di Dostoevskij, o chiedersi se sia vero che la Chiesa abbia deformato il messaggio di Cristo, o se Cristo sia mai esistito. Queste pagine, infatti, racchiudono una verità politica e sociale ben più profonda. Il grande inquisitore parla di una casta che esercita un controllo assoluto sul suo gregge. E in che modo ci riesce? Attraverso quale meccanismo riesce a dominare incontrastata?

Fedor Dostoevskij nel 1863

«Oh, li convinceremo che saranno liberi, soltanto quando si sottometteranno  a noi. […] Nel ricevere da noi i pani, certo loro vedranno chiaramente che noi portiamo loro i loro stessi pani, che si sono guadagnati con le loro mani, senza alcun miracolo, vedranno che non abbiamo tramutato le pietre in pani, ma in verità più che del pane stesso essi saranno lieti di riceverlo dalle nostre mani! […] Proveranno ammirazione e paura nei nostri confronti, e s’inorgogliranno per la nostra potenza e intelligenza, capace di domare un simile gregge ribelle e innumerevole. Tremeranno infiacchiti alla nostra ira, le loro menti si faranno timide, i loro occhi diverranno lacrimosi, come quelli dei bambini. Sì, li costringeremo a lavorare, ma nelle ore libere dal lavoro costruiremo la loro vita come un gioco, con canti infantili e danze innocenti. Oh, concederemo loro anche il peccato, e ci ameranno per il fatto che permettiamo loro di peccare. Diremo loro che ogni peccato sarà espiato se sarà fatto con il nostro permesso. E non avranno alcun segreto per noi. Permetteremo o proibiremo loro di vivere con mogli e amanti, di avere o non avere figli – sempre giudicando in base alla loro obbedienza – e loro si sottometteranno con allegria e con gioia. I segreti più tormentosi della loro coscienza, tutto, tutto porteranno a noi, e noi tutto risolveremo, e loro crederanno alla nostra decisione con gioia, perché li libererà dalla grande preoccupazione di una decisione libera e personale».

La casta sacerdotale esercita il potere e impone la propria autorità in un modo semplicissimo: tenendo in uno stato di inferiorità coloro che domina. Non minaccia, non punisce, non tormenta, ma blandisce, intimidisce, manipola. Alla stessa conclusione era giunto George Orwell. In 1984 vi sono interi dipartimenti che lavorano giorno e notte col solo scopo di produrre libri, film e giornali spazzatura per anestetizzare il pensiero delle masse. Il Grande Fratello controlla ciò che la gente legge, sente e ascolta, perché, se si riempie la testa delle persone di gossip, stupidaggini e pettegolezzi, la gente, alla fine, parlerà soltanto di gossip, stupidaggini e pettegolezzi. Anche la casta descritta da Dostoevskij fa lo stesso. Vuole che la gente si diverta, purché non pensi ad altro che a divertirsi. S’ingegna per mantenerla in uno stato di perenne distrazione. Riempie le loro giornate di passatempi oziosi e giochi infantili, così «le loro menti si faranno timide, i loro occhi diverranno lacrimosi». È la stessa logica che oggi regge i meccanismi del consenso e dell’intrattenimento: distrai, consola, prometti pane e svago, e nessuno sentirà più il bisogno di ribellarsi. In un mondo che celebra la futilità e il gossip, l’autorità non ha più bisogno di punire o minacciare. Le basta sedurre: si serve della distrazione, del chiacchiericcio, del bisogno di appartenenza. 

Infantilizzare le masse, trasformare uomini e donne in eterni bambini, in eterni adolescenti è la conditio sine qua non per dominarli; i bambini cercano per istinto una figura autoritaria: un padre che li sostenga e che dica loro cosa possono fare, come devono pensare e agire.

George Orwell nel 1940

Ma c’è un altro aspetto fondamentale e altrettanto importante: il controllo. Non fine a sé stesso, il controllo, infatti, risponde a uno scopo psichico ben più preciso. Perché sembriamo incapaci di distogliere lo sguardo dallo schermo? Perché accettiamo di essere intrattenuti e distratti, anche quando sentiamo che dietro questo circo si nasconde un vuoto profondo? Perché sembriamo provare gratitudine per chi ci tiene per mano mentre ci addormenta?

La casta sacerdotale arbitra ogni aspetto della vita del suo gregge, lavora al suo benessere, ma vuole esserne l’unico regolatore. Stabilisce attraverso una minuziosa sfilza di leggi, divieti e prescrizioni come devono vivere, chi possono o non possono amare, regola i rapporti tra coniugi, tra genitori e figli, tra parenti, amici, cugini; infiacchisce la volontà, ostacola il pensiero, impedisce l’esercizio del libero arbitrio. In una parola, si rende indispensabile agli occhi delle persone. In quel geniale saggio che si chiama La democrazia in America Tocqueville giunge alle stesse conclusioni di Dostoevskij che ci ricorda che il potere più efficace non è quello che comanda, ma quello che ci convince a rinunciare spontaneamente alla nostra libertà.

Tra schiavo e padrone c’è sempre un rapporto di complicità. Nessun regime può esistere senza la collaborazione dei sudditi. Non esiste Stato, governo o sistema di potere che possa reggersi soltanto sulla forza. Nessuno può davvero dominare un popolo che non vuole essere dominato. E perché ciò avviene? Gli uomini sono felici di sottomettersi agli inquisitori, perché l’Autorità che essi incarnano li ha liberati dalla grande fatica di dover pensare e decidere da sé. Lo stesso meccanismo in fondo è alla base del successo e della popolarità di applicazioni, come ChatGPT: queste IA semplificano, velocizzano, automatizzano processi come la scrittura, l’ideazione, la progettazione, insomma si sostituiscono all’uomo nello svolgere quelle attività mentali che, costando tempo, energie e fatica, si preferisce demandare a una macchina. La mente umana tende a quella che si potrebbe definire un’economia del risparmio. Peccato che le energie mentali risparmiate e i pensieri salvati dalla necessità di essere formulati si traducano in un impoverimento della mente umana. «Le loro menti diventeranno timide», scriveva Dostoevskij due secoli fa, timide nel senso di poco propense al pensiero, al ragionamento, all’analisi critica e a quella che Pasolini chiamava l’atrocità del dubbio. Una profezia che oggi si è pienamente realizzata. 

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Guendalina Middei

Nata a Roma nel 1992, fin da adolescente coltiva la sua grande passione per la letteratura russa e la cultura classica. Laureata in Lettere e con un master in Giornalismo culturale, collaboratrice di diverse riviste letterarie. Sui social la sua pagina Professor X è un punto di riferimento per oltre cinquecentomila lettori appassionati o incuriositi dalla letteratura. Autrice di diversi libri, tra questi: Clodio (Navarra, 2022), Intervista con un matto (Navarra, 2023), Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera (Feltrinelli, 2024) e Sopravvivere al lunedì mattina con Lolita (Feltrinelli, 2025).

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