domenica 26 Ottobre 2025

“Il salice”, una poesia di Anna Achmatova (1940)

Io crebbi in un silenzio arabescato,
in un’ariosa stanza del nuovo secolo.
Non mi era cara la voce dell’uomo,
ma comprendevo quella del vento.
Amavo la lappola e l’ortica,
e più di ogni altro un salice d’argento.
Riconoscente, lui visse con me
la vita intera, alitando di sogni
con i rami piangenti la mia insonnia.
Strana cosa, ora gli sopravvivo
Lì sporge il ceppo, e con voci estranee
parlano di qualcosa gli altri salici
sotto quel cielo, sotto il nostro cielo.
Io taccio...come se fosse morto un fratello.

Se qualcuno ti ascolta tutto diventa dicibile. Il tuo discorso prende la veste del teatro, dell’immaginario, c’è magari una minuscola platea davanti a te, di sconosciuti per il momento, che poi, a differenza degli spettatori, potranno a loro volta partecipare prendendo la parola.

E tu diventerai uditore, destinatario di espressioni, soggetto di scambi, di chiacchiere o di confessioni, di moti d’animo e di valutazioni, ironiche o sorridenti.

Le voci e il loro tono hanno un carattere prima che un significato, sono vento non corpo, mostrano un modo d’essere, fanno parte di un canto senza musica, di un dirsi come fenomeno umano.

Non sto descrivendo un’utopia ma una sensazione, l’idea che qualcuno si interessi a te, al tuo modo di vedere e di sentire, senza giudicarti, senza commentare, qualcuno che sia semplicemente disponibile. Come disponibile è in natura il salice pronto a volgersi verso di te.

Il filo del discorso allora si dipana, le parole, i tuoi sguardi diventano significativi.

Tu non hai particolari ruoli, non sei importante ma lo diventi se trovi anche uno solo, un ‘fratello’, che ti sta a sentire, che non ti dà ragione o torto ma che prende parte per capire e per dire la sua.

Nel mondo della tradizione russa, slovo, la parola è vento, come ànemos, vento, è per i greci l’anima. E il salice, come la betulla, sono alberi che impersonano la giovinezza e i moti dell’animo, quelli che Anna chiama gli arabeschi del nuovo secolo. Così questa poesia della grande Anna Andreevna Achmatova, che ho ripreso per tematizzare illusionisticamente l’ascolto, dà voce a nuove forme dell’intendersi e del tacere. In ascolto dei tempi nuovi che risorgono come alberi sensibili sui vecchi ceppi del tempo.

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Gian Paolo Caprettini

Ha insegnato all'Università di Torino dal 1975 al 2013, dove è stato professore ordinario di Semiotica e Semiologia del Cinema, ha diretto Extracampus, la TV dell'Università, e il Master di Giornalismo. I suoi libri più recenti: Scrivere come sognare (Cartman), Vertigini dell'immaginario (con A. Bálzola, Meltemi), Complice la poesia (L'Indipendente), Dizionario della fiaba italiana (Meltemi).

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