lunedì 20 Ottobre 2025

L’alleanza tra USA e petro-monarchie affossa la tassa sulle emissioni in mare

Il Comitato dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), organismo dell’ONU, ha rinviato al 2026 il voto sul primo sistema vincolante per ridurre le emissioni di gas serra nel trasporto marittimo. La proposta era stata promossa da UE e Cina e le trattative per implementarla andavano avanti da un decennio; essa avrebbe introdotto limiti annualmente più severi per le navi di stazza superiore a 5.000 tonnellate e l’obbligo di compensazioni economiche per quelle che non rispettano le norme sulle emissioni dovute ai carburanti. Ad affossare l’accordo sono stati gli Stati Uniti, sostenuti da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Singapore e Russia, che hanno esercitato pressione su funzionari dell’IMO e politici favorevoli alla proposta, minacciando ritorsioni economiche. Una mossa del tutto in linea con l’agenda dell’amministrazione Trump, che sin dal suo insediamento ha aumentato gli investimenti nel settore degli idrocarburi e puntato sempre di più sulla deregolamentazione del fossile.

Il voto sulla proposta del sistema per ridurre le emissioni del trasporto marittimo si è tenuto lo scorso venerdì 17 ottobre, a Londra. La proposta era stata approvata preventivamente lo scorso aprile, e intendeva ridurre le emissioni di gas serra del settore di almeno il 20% entro il 2030, per arrivare a zero emissioni nette entro il 2050. L’accordo avrebbe introdotto, a partire dal 2028, limiti sulle navi di stazza superiore a 5.000 tonnellate, mediante l’imposizione di una imposta varia direttamente proporzionale alla quantità di emissioni rilasciate. L’imposta era basata su un sistema di crediti: chi non avesse rispettato i limiti imposti avrebbe dovuto acquistare delle cosiddette “unità correttive”, mentre chi fosse riuscito a rientrare nei parametri avrebbe generato “unità in eccesso” da usare nel futuro o da vendere alle altre navi. Ad oggi, il trasporto marittimo rappresenta circa il 3% delle emissioni globali, ma secondo diversi studi potrebbero arrivare al 10% entro il 2050.

I 176 Paesi dell’IMO hanno affossato la proposta approvando il rinvio dell’adozione della tassa al 2026: 57 Paesi hanno votato a favore del rinvio, 49 hanno votato contro e 21 si sono astenuti. Diversi funzionari dell’IMO hanno affermato, come riporta il quotidiano Politico, di avere ricevuto minacce e intimidazioni da parte dei funzionari statunitensi; altre testimonianze dell’atteggiamento «da bullo» dei funzionari statunitensi sono state raccolte dal quotidiano The Guardian, che riporta di minacce dirette ai rappresentanti politici dei Paesi. Gli USA, di preciso, hanno minacciato di imporre dazi aggiuntivi agli Stati che avrebbero votato contro la sospensione, e di introdurre restrizioni contro i loro cittadini. L’atteggiamento intimidatorio dei funzionari statunitensi è stato portato avanti anche pubblicamente: il 10 ottobre, il segretario di Stato Marco Rubio, il segretario all’Energia Chris Wright e il segretario ai Trasporti Sean Duffy hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui parlano esplicitamente di contromisure nei confronti dei Paesi che avrebbero votato a favore della misura, citando proprio eventuali imposte aggiuntive, e restrizioni ai visti.

La scelta di affossare la proposta in seno all’IMO si colloca in piena continuità con l’agenda politica trumpiana. Sin dal suo primo giorno come presidente, Trump ha approvato diversi decreti per incentivare il settore del fossile e revocare i limiti imposti dalla precedente amministrazione Biden. In fatto ambientale, Trump ha ritirato gli USA dagli accordi di Parigi, il patto internazionale per combattere il cambiamento climatico, e dichiarato un’emergenza nazionale sull’energia, così da sbloccare più fondi per il settore; Trump ha poi annullato il divieto di trivellazione sui 625 milioni di acri di acque federali promosso da Biden nel su ultimo mese di amministrazione; il presidente ha infine ordinato il riavvio delle revisioni dei nuovi terminali di esportazione per il gas naturale liquefatto e l’interruzione delle concessioni delle acque federali per i parchi eolici offshore. Nei mesi successivi, le politiche di rilancio del fossile sono continuate: il presidente ha riaperto la corsa all’esplorazione petrolifera in Alaska, e ha incentivato disboscamento e politiche estrattiviste nelle sue stesse leggi finanziarie.

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.

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