venerdì 17 Ottobre 2025

L’arte 2.0 ai tempi dell’IA: una causa potrebbe segnare il punto di svolta

Negli Stati Uniti, la Corte Distrettuale del Colorado si trova a dover decidere un caso che potrebbe segnare un punto di svolta nella storia del diritto d’autore e, più in generale, nel rapporto tra arte e tecnologia. L’artista statunitense Jason M. Allen, fondatore dello studio Art Incarnate, ha citato in giudizio l’U.S. Copyright Office dopo che l’agenzia ha rifiutato di registrare il suo Théâtre D’opéra Spatial, un lavoro realizzato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Allen sostiene che la creazione, pur nata attraverso strumenti digitali, sia frutto di scelte artistiche e concettuali umane e che, di conseguenza, debba godere delle stesse tutele riconosciute a qualsiasi altra opera. 

La mozione, depositata lo scorso agosto ma discussa pubblicamente solo negli ultimi giorni, è seguita dall’avvocato Ryan Abbott, figura già nota nel dibattito internazionale sul rapporto tra IA e creatività. Abbott era stato infatti protagonista del caso DABUS, in cui aveva sostenuto la possibilità che un sistema di intelligenza artificiale potesse essere riconosciuto come inventore di brevetti tecnici. Quella causa, conclusasi con un rigetto, aveva aperto un serio confronto globale sulla proprietà intellettuale e sulla necessità di adattare il diritto all’evoluzione tecnologica. Se nel caso DABUS l’obiettivo era dimostrare che una macchina potesse rivendicare come sua un’invenzione, questa nuova battaglia legale si muove su un terreno più concreto: riconoscere l’autorialità a chi scrive un prompt, cioè a chi guida l’intelligenza artificiale verso un risultato creativo. Un eventuale riconoscimento in questa direzione consoliderebbe l’idea che la GenAI sia un semplice strumento, non un soggetto, a disposizione dell’artista e delle masse.

Il caso si intreccia con un progetto più ampio che Allen porta avanti da tempo e che lui stesso etichetta come “Arte 2.0”, una pratica che unisce linguaggi tradizionali e tecnologie generative. Come già anticipato a L’Indipendente nei mesi estivi, l’artista ha confermato che le sue opere digitali stanno per assumere una forma fisica attraverso il sistema Tradigital Luxe, un metodo di produzione eliografica che consente di trasformare creazioni nate in ambiente digitale in oggetti tangibili, dotati di texture e profondità visiva. Il progetto prevede edizioni limitate, accompagnate da certificati di autenticità e da NFT, con l’obiettivo dichiarato di introdurre nuovi standard di tracciabilità e valore nel mercato dell’arte generativa.

Allen rinnova dunque la sua posizione centrale all’interno di uno scontro critico: quello tra chi difende la centralità dell’intervento umano nel processo di creazione e chi, invece, spinge per un modello in cui la tecnologia sia considerata come parte integrante dell’opera stessa. La sua causa, più che una rivendicazione personale, rappresenta la richiesta di riconoscimento di una nuova generazione di artisti che opera in territori ancora privi di una cornice normativa chiara. In gioco non c’è dunque soltanto il destino di un singolo quadro, bensì la ridefinizione della stessa idea di “autorialità” nell’epoca degli algoritmi.

Qualunque sarà l’esito della causa, il caso Allen costringe il mondo dell’arte e del diritto a interrogarsi su cosa significhi oggi creare. La linea di confine tra autore e macchina, tra idea ed esecuzione, appare sempre più sfumata, mentre la legge – come spesso accade – sembra rincorrere una realtà che si è già trasformata. L’“Arte 2.0” di Jason Allen, con le sue contraddizioni e i suoi interrogativi, mette in luce una verità ormai ineludibile: nell’era dell’intelligenza artificiale, il concetto di opera d’arte non è destinato a scomparire, ma deve essere ricalibrato in funzione o in reazione alla comparsa della GenAI. Se non ancora sul piano filosofico, perlomeno su quello giuridico e istituzionale.

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Walter Ferri

Giornalista milanese, per L’Indipendente si occupa della stesura di articoli di analisi nel campo della tecnologia, dei diritti informatici, della privacy e dei nuovi media, indagando le implicazioni sociali ed etiche delle nuove tecnologie. È coautore e curatore del libro Sopravvivere nell'era dell'Intelligenza Artificiale.

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