Dopo due anni di massacri in diretta streaming c’è chi ancora insiste nell’affermare che il genocidio palestinese sia solo frutto di un allestimento scenografico dei gruppi di resistenza della Striscia che con i loro effetti speciali hollywoodiani avrebbero preso in giro tutti i giornalisti del mondo. A farlo non è una persona qualunque, ma la capa ufficio stampa della Rai, Incoronata Boccia: «Dovremmo candidare Hamas al premio Oscar per la migliore regia», perché «non esiste una sola prova del fatto che siano state sventagliate mitragliate contro i civili inermi»; «vergogna, vergogna, vergogna», per il «suicidio del giornalismo» che ha riportato notizie «senza alcuna verifica delle fonti». Queste affermazioni sono solo la punta dell’iceberg di un discorso in cui Boccia alza l’asticella del negazionismo del genocidio palestinese. Intanto, come denuncia il sindacato Usigrai, davanti alle plateali menzogne e alle «accuse infondate all’informazione» pronunciate da una giornalista che ricopre un ruolo di rilevanza in Rai, «l’azienda resta muta».
Le parole di Boccia sono arrivate in occasione di un convegno sul 7 ottobre promosso dall’Unione delle comunità ebraiche italiane. «Si è parlato spesso del cinismo e della spietatezza dell’esercito israeliano, eppure non esiste una sola prova che siano state sventagliate delle mitragliate contro civili inermi. Eppure questo veniva raccontato, questo è stato detto senza alcuna verifica delle fonti. Vergogna, vergogna, vergogna, lo affermo tre volte», ha affermato Boccia di fianco a un compiaciuto David Parenzo. «Ci sarebbe da vergare un j’accuse tombale non solo sul suicidio dell’Occidente o di parte dell’Occidente, soprattutto l’Europa, ma sul suicidio del giornalismo. Io proporrei che oggi, da questa tavola rotonda, possa emergere una candidatura per Hamas: la vogliamo candidare all’Oscar per la miglior regia a cui noi giornalisti ci siamo piegati senza alcuno spirito critico?». Boccia ha poi contestato «l’uso ideologico della parola genocidio» chiedendo a coloro che la impiegano «con quale faccia usciranno di casa» durante la ricorrenza del giorno della memoria.
Dopo due anni di testimonianze, dichiarazioni, audio, foto e video, le affermazioni di Boccia si smentiscono da sole. Basta fare qualche esempio in cui le «prove» che la direttrice sostiene non esistere non sono solo verificate, ma confermate dallo stesso esercito israeliano: è il caso, per esempio, della strage della farina del 29 febbraio 2024, in occasione di cui le IDF scaricarono i propri fucili contro i civili in fila per ottenere il pane; per quel massacro fu il medesimo esercito a sostenere di essere responsabile, parlando di un «terribile incidente». O ancora, della strage di Rafah del 26 maggio 2024, in cui l’aviazione israeliana bombardò un campo profughi uccidendo 40 persone, molte di cui arse vive; anche in quel caso l’esercito si scusò affermando che si fosse trattato di un incidente. Ci sono poi le dichiarazioni dei gruppi umanitari internazionali che operano nella Striscia, le indagini indipendenti di esperti come la Relatrice ONU Francesca Albanese, e innumerevoli altre testimonianze: insomma, le affermazioni che Boccia ritiene essere «non verificate», in verità lo sono, e spesso dalla stessa parte israeliana. Per quanto riguarda la parola “genocidio”, oltre ai diversi rapporti di Albanese, è la stessa Corte di Giustizia Internazionale ad aver sancito che ci sono prove sufficienti per valutare tale accusa nei confronti di Israele.
Le parole di Boccia hanno scatenato una ondata di indignazione nelle opposizioni, che ne hanno richiesto la rimozione; anche la stessa Relatrice Albanese ha chiesto che la propaganda negazionista venga «indagata e punita». Boccia, dopo tutto, non è una giornalista qualunque. Ella ricopre una posizione dirigenziale e in quanto tale è portavoce della posizione della stessa azienda, dettando come, a parere suo, dovrebbe essere garantito il servizio pubblico dell’informazione. È per questo che Usigrai, il maggiore sindacato dell’emittente, ha chiesto ai vertici aziendali di esprimersi sull’accaduto: «Ciò che ha espresso la direttrice dell’Ufficio Stampa Rai in un convegno sul 7 ottobre che si è tenuto ieri al CNEL è la posizione dell’azienda?» si legge in un comunicato del sindacato, che rimarca come le parole di Boccia attacchino gli stessi giornalisti dell’emittente. Nonostante le richieste di Usigrai, i vertici Rai non hanno ancora rilasciato alcuna dichiarazione sulla vicenda.
Non è la prima volta che l’emittente pubblica o giornalisti che vi lavorano finiscono in mezzo alla bufera per il genocidio palestinese. Era già accaduto nel 2024, in occasione del festival di Sanremo, in cui i cantanti Ghali e Dargen D’Amico vennero silenziati per avere espresso posizioni in sostegno del popolo palestinese. Gli artisti si erano limitati a lanciare un appello per il cessate il fuoco e per fermare il genocidio, scatenando l’indignazione dell’ambasciata israeliana, che accusò il festival di essere un palco per la diffusione di «odio e provocazioni». Dopo le dichiarazioni dell’ambasciata, la Rai provò a tappare il buco: sul palco del Dopofestival la conduttrice Mara Venier lesse un comunicato dell’amministratore delegato, Roberto Sergio, in cui l’AD mostrava la sua solidarietà a Israele e agli ostaggi israeliani, senza menzionare una volta i civili palestinesi uccisi dalle IDF. In generale, la narrazione di Boccia si colloca sulla scia di una ondata di negazionismo del genocidio che sta prendendo piede anche in Italia, come testimoniato dai casi del Lava Café e di Gazawood. Lo stesso governo israeliano ha investito 150 milioni di dollari per portare avanti operazioni di propaganda e plasmare a proprio favore la narrazione pubblica del genocidio.
propongo di arrestare questa signora e deportarla in Gaza City con obbligo di permanenza per 7 giorni.