venerdì 17 Ottobre 2025

Perché il latte crudo è un patrimonio da salvare (nonostante le campagne di terrore)

Negli ultimi mesi il settore caseario è finito al centro dell’attenzione mediatica, dopo che giornali e social media hanno riportato numerose notizie di intossicazioni alimentari. Le critiche riguardano tanto la produzione industriale quanto quella artigianale e al centro dell’attenzione vi è il latte crudo, ovvero privo di pastorizzazione. Mentre in Paesi come la Francia la tradizione casearia con il latte crudo è un vanto, in Italia sembra essere improvvisamente diventata una minaccia per la salute. Tuttavia, per limitare gli allarmismi, è necessario fare un po’ di chiarezza.

Cos’è il latte crudo 

Il latte crudo è tale in quanto non ha subìto trattamenti termici di nessun tipo, come la bollitura o la pastorizzazione. Si tratta di un alimento integro, vivo, che mantiene le sue caratteristiche nutrizionali di partenza in uno stato di massima biodisponibilità per l’organismo. Questo significa che le sue proteine, vitamine, enzimi, grassi e fermenti lattici si trovano in una composizione biochimica naturale e intatta, cioè non modificata e alterata dall’intervento di stress termici o di altri trattamenti come la scrematura, con cui si rimuovono i grassi del latte. Il latte crudo è stato, ed è ancora oggi, la base di un patrimonio economico, culturale e gastronomico immenso. La cultura casearia del nostro Paese ha sviluppato nei secoli centinaia di tipologie di formaggi col latte crudo, dalle tome alpine ai caciocavalli, dai pecorini alle mozzarelle – basti pensare al Parmigiano Reggiano, al Grana Padano e alla Fontina, solo per citarne alcuni.

Allo stesso modo, è prodotta con latte crudo la maggior parte dei formaggi artigianali, frutto del lavoro di una moltitudine di piccoli produttori che custodiscono e tramandano saperi e competenze e preservano pascoli e razze locali, oltre a contribuire a mantenere vive le aree interne e la montagna (ovvero tre quarti del territorio italiano). Sono a latte crudo tutte le eccellenze casearie che il mondo ci invidia, così come lo sono i grandi formaggi francesi, svizzeri, spagnoli, belgi e tedeschi. Stiamo parlando di migliaia di produttori in tutta Europa, la stragrande maggioranza di piccola scala: tra questi, centinaia si trovano in Italia e aderiscono a consorzi DOP e IGP (28 delle 56 DOP/IGP italiane dei formaggi prevedono obbligatoriamente la produzione a latte crudo, come appunto il Parmigiano Reggiano DOP o la Fontina DOP). Il latte crudo è usato anche dall’industria, come nel caso del Parmigiano o del Grana. Questi dati basterebbero per far capire che un eventuale problema di salute pubblica non riguarda il latte crudo in sé, ma i fattori che subentrano nel processo produttivo, la cui responsabilità è da ascrivere ai singoli produttori (o consumatori) piuttosto che all’intero sistema produttivo. 

Il problema, dunque, sembra riguardare più che altro la comunicazione dei mass media, la cui superficialità in molti casi mina la percezione del valore di questo patrimonio, orientando i consumi sui formaggi prodotti con latte pastorizzato e prodotti standardizzati. Se il trend politico della UE non cambia di rotta, all’enorme danno di immagine subito dal settore potrebbe così seguirne uno economico di grande entità, con ricadute gravi soprattutto sui piccoli produttori e sulle piccole aziende casearie – che, ricordiamo, sono la maggior parte, sia in Italia che in Europa.

Misure già stringenti per il latte crudo

Il Parmigiano Reggiano è fatto solo con latte crudo: eccellenza mondiale che dimostra come, in una filiera controllata, il latte crudo non sia un rischio ma un valore

Un dato molto importante del quale i consumatori dovrebbero essere a conoscenza per fare scelte di acquisto più consapevoli – ma di cui i media non parlano mai – riguarda i profili di sicurezza alimentare del latte crudo e del latte pastorizzato. In Italia, il latte crudo destinato al consumo diretto o alla trasformazione in formaggi deve soddisfare criteri rigorosi per garantire la sicurezza alimentare e l’assenza di batteri patogeni come Listeria, Salmonella e Escherichia coli, e garantire un’igiene del processo impeccabile durante la mungitura e la conservazione a freddo. L’Istituto Superiore di Sanità precisa infatti che il regolamento comunitario prevede una serie di controlli ufficiali sulla produzione di latte crudo, come avviene per la filiera del latte destinato alla pastorizzazione, che riguardano in particolare:

  • le aziende di produzione di latte
  • il latte crudo al momento della raccolta
  • la distribuzione e vendita di latte crudo direttamente al consumatore finale
  • la gestione della stalla (controlli sulle malattie infettive trasmissibili con il latte, controlli sulle pratiche di mungitura, ecc.)
  • l’esecuzione di esami di laboratorio sul latte e sulle feci degli animali

A questo proposito citiamo solo un dato molto significativo: in Italia, il latte crudo destinato a processi di caseificazione o ad altre lavorazioni deve avere una carica batterica inferiore a 100.000 UFC/ml (unità formanti colonia per millilitro), un limite fissato a livello europeo. Il monitoraggio della carica batterica è insomma necessario per garantire un latte di alta qualità e soprattutto sicuro per il consumo umano. E questo monitoraggio avviene sempre, di routine, con i controlli delle aziende sanitarie locali e quelli effettuati dalle stesse aziende produttrici e dai caseifici, prima di ogni lavorazione e trasformazione in formaggi. L’osservazione di queste norme sulla sicurezza alimentare e delle buone pratiche di produzione è, da parte degli allevatori, l’unico modo per evitare problemi che potrebbero inficiare la produzione di latte da parte dei loro animali e la conseguente perdita di guadagno e/o ingente danno economico – in caso di risarcimento per intossicazioni alimentari riconducibili alla loro azienda agricola. In poche parole, se gli allevatori lavorano male ci perdono, da più punti di vista. 

Informare, non criminalizzare

Anche se il latte crudo è molto controllato e sicuro, come abbiamo documentato, ciò non significa che sia esente in senso assoluto da rischio microbiologico e da contaminazioni lungo la sua filiera produttiva. Purtroppo anche su questo alimento – come per ogni altro – sono sempre possibili errori, noncuranza o contaminazioni accidentali che esulano dai controlli di sicurezza. È ancora l’Istituto Superiore di Sanità a informarci: «È bene sottolineare che normalmente il latte così come prodotto dalla ghiandola mammaria non contiene germi in grado di provocare infezioni. La contaminazione del latte con microrganismi di tale tipo può avvenire al momento della mungitura, raccolta, lavorazione, immagazzinamento e distribuzione del latte. In particolare, il contatto con superfici contaminate come, ad esempio, la pelle delle mammelle delle mucche, le mani degli operatori e le superfici degli impianti di mungitura e dei serbatoi di stoccaggio (contaminazione successiva alla mungitura) può facilitare il passaggio dei germi al latte».

Il latte così come prodotto dalla ghiandola mammaria non contiene germi in grado di provocare infezioni. La contaminazione del latte con microrganismi di tale tipo può avvenire al momento della mungitura, raccolta, lavorazione, immagazzinamento e distribuzione del latte.

E qui arriviamo alle cronache degli ultimi anni e ad alcuni spiacevoli (ma per fortuna molto sporadici) episodi accaduti in Italia e in Francia. I consumatori devono essere certamente informati su questa tematica, ma con dati scientifici e informazioni corrette, evitando di creare un immotivato danno di immagine a un settore tanto importante per il Made in Italy e il turismo. 

Sia il latte crudo che i formaggi fatti con latte crudo possono essere contaminati e quindi presentare eventuali microrganismi nocivi per l’uomo, come per esempio Campylobacter, Listeria monocytogenes, Salmonella, Staphylococcus aureus ed Escherichia coli, produttore di tossina Shiga (STEC). Questi batteri patogeni possono dare dei problemi di salute in alcune categorie di individui, come le persone fragili e immunodepresse, gli anziani, le donne incinte e i bambini al di sotto dei 6 anni. I batteri in questione possono causare infezioni con sintomi lievi (febbre e disturbi gastrointestinali come diarrea e vomito), ma anche evolvere in forme più gravi come meningite, sindrome emolitico-uremica (SEU) e, in alcuni casi, portare al decesso. È importante sottolineare che questi patogeni possono contaminare anche il latte e i formaggi fatti con latte pastorizzato, non solo con quello crudo. D’altronde, le cronache sia italiane che europee sono piene da anni di casi di contaminazioni e ritiri dal commercio di prodotti a latte pastorizzato: si veda a titolo di esempio un caso recentissimo (1° settembre 2025), riguardante il richiamo da parte del Ministero della Salute italiano e conseguente ritiro dal commercio di un formaggio provolone Valpadana DOP, venduto presso i supermercati Famila e A&O, a causa di una contaminazione da Listeria. 

Di episodi simili ce ne sono a decine ogni giorno in tutta la UE. Si tratta di un problema che va avanti sin dalla nascita del cibo industriale, che non è affatto più sicuro e controllato del cibo non industriale (come si tende a far credere): la mole di dati oggettivi al riguardo parla chiaro e non si può contestare. Tuttavia, a essere censurati nei mass media sono sempre e solo i formaggi a latte crudo e non anche quelli industriali a latte pastorizzato. Un altro caso emblematico di ciò e anch’esso molto recente è accaduto in Francia, alla vigilia di Ferragosto, e riguarda una intossicazione alimentare provocata da formaggi prodotti con latte pastorizzato e contaminati da Listeria. Ventuno le persone colpite, due i morti. A seguito della vicenda, Carrefour Italia ha operato il richiamo – per «rischio microbiologico: possibile presenza di Listeria monocytogenes» – di tre formaggi a latte pastorizzato prodotti dalla Chavegrand e distribuiti nel nostro Paese, tra cui il Buche Chevre La Belle du Bocage. La tragica notizia è giunta anche in Italia ed è stata diffusa in modalità terroristica anche da alcuni esponenti della classe medica, tra i quali il professor Matteo Bassetti, direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Policlinico San Martino di Genova. Questi dapprima è intervenuto con dichiarazioni rilasciate all’agenzia giornalistica AdnKronos e poche ore dopo ha pubblicato un video allarmistico nelle sue pagine social, riferendo l’episodio in Francia e avvertendo ancora una volta (in maniera del tutto errata e fuorviante in questo contesto) del pericolo dei formaggi a latte crudo. A settimane dalla clamorosa gaffe, né Bassetti né alcuna testata giornalistica tra quelle che hanno trattato in maniera errata la notizia hanno fatto precisazioni o rettifiche. 

Le nuove linee guida del Ministero della Salute

Ma c’è anche chi difende un intero settore e il patrimonio gastronomico a esso collegato: varie associazioni e realtà produttive cercano infatti di riportare il discorso su un piano equilibrato e informato. Tra questi una voce autorevole è l’associazione Slow Food

Nel frattempo è cambiato anche il quadro normativo sui prodotti a latte crudo. È stata presentata alla Camera una proposta di legge che propone un provvedimento drastico: apporre sulle etichette una frase e un marchio che segnalino la pericolosità dei formaggi a latte crudo per i soggetti fragili e a rischio. A luglio 2025 sono state inoltre emanate dal governo delle nuove linee guida che riguardano nello specifico il controllo del batterio Escherichia coli STEC nel latte non pastorizzato e nei suoi derivati, le quali prevedono nuovi controlli giornalieri molto gravosi, sul latte e sui formaggi. Queste si collocano tuttavia al di là delle possibilità economiche di molti produttori e diventano praticamente inattuabili per i produttori che alpeggiano a quote elevate, in località impervie o irraggiungibili con gli automezzi. Una stima fatta da Slow Food parla di una spesa extra (che si somma a quelle già previste dal Piano di Autocontrollo igienico-sanitario) di almeno 70 euro al giorno per l’allevatore per eseguire i nuovi controlli richiesti. Dal momento che l’allevatore munge ogni giorno, la spesa a fine mese è considerevole. L’organizzazione propone invece di puntare sulla formazione: per i produttori, gli allevatori, i consumatori. 

La seconda obiezione di Slow Food riguarda la comunicazione scorretta fatta finora sui media, che sta portando i clienti dei ristoranti a rifiutare i formaggi se prodotti con latte crudo. E sta spingendo molti piccoli produttori a pastorizzare il latte, a scegliere di non recarsi più nelle malghe, alcuni addirittura a chiudere l’attività. La terza osservazione è la seguente: le linee guida emanate dal Ministero richiedono l’adozione di una frase in etichetta per dissuadere le categorie fragili dal consumare formaggi a latte crudo. Le direttive europee, però, non prevedono questa indicazione, quindi i formaggi di importazione non saranno tenuti a segnalare alcun rischio specifico: il potenziale danno commerciale per i formaggi a latte crudo italiani è evidente. Infine l’obiezione più rilevante sollevata da Slow Food è la seguente: «Ci chiediamo: perché questa enorme attenzione sul rischio Escheriachia coli STEC solo nei formaggi a latte crudo? Lo STEC si può ritrovare anche nei salumi, nelle carni crude o poco cotte, nelle verdure crude, nei cereali, nelle farine, addirittura nell’acqua. Perché queste filiere non sono state prese in considerazione e non si prevedono linee guida analoghe? Perché la Listeria, che ha tassi di mortalità più elevati, per ogni età e condizione, non è considerata almeno alla stessa stregua? … Non stiamo sottovalutando il rischio per le categorie fragili, la comunicazione deve essere fatta. Noi contestiamo invece i toni allarmistici, l’intensità inspiegabile con la quale si sta investendo un settore produttivo che è già esausto a causa dei tanti adempimenti, a fronte di rischi molto ridotti rispetto ad altre fonti di contaminazione. Oltre al danno qualitativo e culturale causato dalla perdita di formaggi tradizionali a latte crudo, il passaggio alla pastorizzazione implicherebbe la diminuzione dei prezzi di mercato dei prodotti (un formaggio a latte pastorizzato può subire un calo del prezzo anche del 30%), i costi dell’energia necessaria per far funzionare i pastorizzatori triplicherebbero, servirebbe il doppio di acqua per raffreddare il latte, e di acqua ce n’è sempre meno».

In conclusione appare giustificato il timore di alcuni esperti che vedono negli attacchi portati al settore del latte crudo un ennesimo tentativo di standardizzazione della produzione alimentare, tutto a discapito di varietà, biodiversità, e maggiore ricchezza nutrizionale di produzioni tradizionali. Si viene a creare infatti il seguente paradosso industriale: filiere industriali legate a forme di allevamento intensivo (con vacche frisone iper sfruttate e trattate regolarmente con antibiotici), monocolture (e dunque pesticidi, erbicidi e fertilizzanti), inquinamento dell’aria (polveri sottili, generate dalle emissioni di ammoniaca dovute agli spandimenti di liquami) e dell’acqua (nitrati nelle falde), lavorazioni industriali (anche le peggiori, fatte con cagliate importate dall’estero e additivi) diventano rifugi rassicuranti, opzioni sicure e salutari. Mentre un formaggio di malga fatto con latte di animali al pascolo finisce alla gogna.

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Gianpaolo Usai

Educatore Alimentare, ha conseguito nel 2014 il Diploma di Nutrizione presso il College of Naturopathic Medicine (UK). Fondatore di ciboserio.it, il portale sulla spesa sana e l’educazione alimentare. Si occupa dello sviluppo di progetti di educazione alimentare in tutta Italia.

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2 Commenti

  1. Il latte crudo, pastorizzato o uht è comunque figlio di politiche anti etiche. Animali sfruttati fin dalla progettazione genetica delle razze, uccisi anzitempo dopo essere stati trasformati da INDIVIDUI COSCIENTI quali sono in fabbriche viventi. I vitelli, l’equivalente dei bambini umani, sgozzati dopo qualche mese di alimentazione innaturale e pro anemica. Il latte è morte. E diciamolo chiaramente morte per morte meglio che sia l’allevatore a lasciarci. L’unico allevatore buono è quello morto! E dopo questo articolo sicuramente non rinnoverò l’abbonamento. Non posso finanziare pologeti della peggiore forma criminale degli umani

    • Caro Piero,
      capisco da dove arriva il tuo richiamo all’etica e sono d’accordo sul fatto che la industrializzazione della produzione del cibo copra un modo abominevole di trattare i nostri animali.
      Comunque in fin dei conti la vita si nutre di vita: anche quando mangiamo ad esempio un ortaggio, soprattutto se freschissimo appena colto, stiamo uccidendo un essere vivente, lo stiamo mangiando vivo! Semplicemente non siamo sintonizzati sul suo modo di comunicare, ma se lo fossimo sentiremmo le sue urla! Non scherzo, sto solo sintetizzando qualcosa che chi conosce il mondo vegetale sa da sempre.
      Quindi cosa facciamo? Smettiamo di nutrirci perché quando lo facciamo comunque un essere vivente muore?
      Servirebbe un enorme cambio di paradigma, io credo, per trasformare l’etica da ennesima posizione ideologica a comprensione profonda di cosa sia il rispetto fra gli esseri viventi a tutti i livelli.
      Intanto nei secoli che passeranno da ora ad allora in qualche modo dobbiamo nutrirci.

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