In un Paese come l’Italia, la cui capitale dà il nome a uno dei più importanti trattati costitutivi della legge internazionale, ci si aspetterebbe che il rispetto del diritto internazionale funga da punto di riferimento centrale nella delineazione della politica estera nazionale. Eppure, non sembra essere così. «Il diritto internazionale conta fino a un certo punto», ha detto infatti il vicepremier Antonio Tajani, che ricopre quella carica che la politica estera del Paese dovrebbe dettarla. Una dichiarazione a dir poco controversa che ha scatenato diverse polemiche, ma che certamente non è la prima a venire rilasciata dall’autodefinitosi «ministro degli Esteri più sfigato della storia», specialmente quando si tratta di Palestina. Le coste di Gaza sono «territorio israeliano», lo Stato palestinese non può essere riconosciuto «perché non esiste», e nonostante le sanzioni statunitensi l’Italia non fornirà assistenza alla Relatrice speciale ONU per la Palestina Francesca Albanese, perché «non è stata sanzionata come cittadina italiana».
L’ultima dichiarazione di Tajani è stata rilasciata dal ministro degli Esteri durante una puntata del programma televisivo Porta a Porta. Tajani stava parlando del fermo che la marina israeliana ha imposto alle navi della Global Sumud Flotilla, e sul ruolo che l’Italia ha giocato nella tutela degli attivisti arrestati. Il ministro ha detto che l’Italia ha chiesto a Israele di abbordare le navi senza usare violenza, e di «non intercettarle in acque internazionali»; l’operazione, tuttavia, è avvenuta proprio in acque internazionali. Dalla sala è dunque giunta una domanda di chiarimento a riguardo. «Sì, credo che sia avvenuto in acque internazionali, ma molto vicino alla zona dove c’è il blocco navale», ha detto Tajani titubante. Perché il blocco navale, secondo il ministro, comincerebbe in acque internazionali. Interrogato sulla sua personale posizione riguardo alla legittimità del blocco, Tajani ha iniziato un giro di parole che è stato prontamente interrotto dal conduttore. Ripreso il discorso, Tajani ha tagliato corto: «Comunque quello che dice il diritto è importante fino a un certo punto. Lì c’è un’area di guerra. Israele non poteva permettere che qualcuno violasse il blocco navale perché sarebbe stato un segno di debolezza» e avrebbe favorito Hamas.
Le dichiarazioni del ministro hanno scatenato una ondata di polemiche, ma non sono le prime a destare scalpore. Sempre parlando della Flotilla, Tajani sosteneva che la missione avrebbe provocato una reazione di Israele perché prevedeva di entrare nel territorio dello Stato ebraico; le navi della Flotilla tuttavia navigavano in acque internazionali e contavano di sbarcare sui litorali gazawi, ossia in acque che il diritto internazionale riconosce alla Palestina. Il territorio marittimo palestinese è infatti tracciato in una dichiarazione del 2019, che risponde alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNLOCS), di cui la Palestina è firmataria dal 2015; la UNLOCS è il principale trattato internazionale che regola la gestione dei territori marittimi e riconosce come parte del territorio degli Stati tutte le acque entro le 12 miglia dalla costa. L’Italia stessa ha ratificato la Convenzione, e, con essa, oltre 160 Paesi. Lo stesso blocco navale su Gaza, inoltre, non è riconosciuto dalle istituzioni internazionali e, anche se lo fosse, non permetterebbe a Israele di bloccare imbarcazioni umanitarie o arrestare attivisti a bordo di navi che trasportano aiuti.
Nonostante l’illegalità del blocco, Tajani ha di fatto legittimato le operazioni israeliane sulle navi della GSF. Tajani ha così indirettamente legittimato lo stesso blocco navale su Gaza e scaricato la responsabilità degli attacchi israeliani sugli stessi attivisti. Il fatto che Tajani abbia indebitamente riconosciuto le acque gazawi come israeliane e il blocco navale come legale non stupisce se si considera che il ministro ha negato la stessa esistenza dello Stato palestinese: «Riconoscere lo Stato palestinese non è possibile perché non esiste uno Stato palestinese», ha detto, dimenticandosi non solo che la Palestina è riconosciuta da 157 Stati, ma che se manca dei requisiti per la sovranità è perché Israele glieli nega da decenni. Secondo il diritto internazionale, infatti, i requisiti fondamentali perché uno Stato possa dirsi sovrano sono tre: una popolazione permanente, un territorio definito e un governo che abbia potere su quel territorio in maniera indipendente; Israele caccia la popolazione dalle proprie case, occupa il territorio palestinese e impedisce all’amministrazione di esercitare i propri poteri.
Nel corso della puntata di Porta a Porta Tajani suggerisce che il diritto internazionale non sarebbe poi così importante quando si tratta di prove di forza. Una posizione che pare poco da ministro degli Esteri di uno Stato del G7, firmatario di tutte le maggiori carte e convenzioni internazionali e sui diritti umani. Di queste vale la pena ricordarne almeno una, lo Statuto di Roma, con cui è stata istituita la Corte Penale Internazionale: il fatto che a Roma sia stata firmata la carta fondamentale della CPI, tuttavia, sembra contare poco. Il ministro lo dimostrava lo scorso gennaio quando, dopo l’emissione di mandati di arresto contro Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Gallant, affermava apertamente che l’Italia non avrebbe arrestato il premier israeliano se si fosse trovato in Italia. Secondo Tajani, non solo Netanyahu non sarebbe stato arrestato, ma la CPI sarebbe dovuta finire sotto inchiesta per le sue decisioni considerate politiche.
Non è stata invece considerata politica, o comunque degna di essere questionata, la scelta di sanzionare Francesca Albanese da parte degli Stati Uniti. Albanese è una cittadina italiana che ricopre un incarico internazionale presso le Nazioni Unite e in quanto tale dovrebbe ricevere un supporto diplomatico dal governo del proprio Paese. Secondo Tajani, tuttavia, l’Italia può fare poco, perché le sanzioni USA «non sono contro una cittadina italiana in quanto cittadina italiana» e sono unilaterali. Per assurdo, le stesse ragioni per cui Tajani sostiene che l’Italia non può fare nulla contro le sanzioni sono quelle per cui dovrebbe muoversi: le sanzioni ad Albanese violano infatti l’immunità funzionale della giurista garantita dall’incarico che ricopre.
La discesa agli inferi procede con passo spedito. Permettiamo ad un individuo del genere di rappresentarci, in spregio dei più elementari criteri politici, etici ed umani.