giovedì 11 Settembre 2025

Le proteste per la Palestina stanno ripetutamente bloccando la Vuelta di Spagna

BARCELLONA – Ancora una volta la resistenza popolare scende in strada per esprimere il proprio dissenso contro il genocidio in corso a Gaza. In quest’occasione è l’ottantesima edizione de La Vuelta a España ad essere stata presa di mira dai manifestanti, che, fin dalle prime tappe della competizione, hanno agito affinché si potesse produrre un boicottaggio reale dell’evento sportivo.  A causare le proteste è, nuovamente, la partecipazione di squadre che rappresentano Israele all’interno di rassegne sportive o culturali, nonostante il genocidio e l’apartheid commessi quotidianamente dallo stato genocida a Gaza e in Cisgiordania. 

Il precedente imposto contro squadre e atleti russi ai quali, dall’inizio dell’invasione in Ucraina, è stato applicato il divieto di partecipare alle varie competizioni, se non rinunciando ai colori del proprio paese, mette in evidenza il doppio standard che in questo momento riserva, se non addirittura favorisce, ad Israele il diritto di partecipare ad ogni evento sportivo. Il paradosso è così servito: in molti casi sono le proteste o la mera presenza di bandiere palestinesi ad essere proibite.

L’invito a boicottare la Vuelta è circolato tra i vari gruppi e associazioni propalestinesi già alcune settimane prima che iniziasse la corsa. Il focus delle proteste si sta concentrando sulla partecipazione del team Israel Premier-Tech, squadra professionale israeliana che dal 2018 ha partecipato alle principali competizioni ciclistiche internazionali. Inoltre, nel corso delle settimane, la protesta si è soffermata non solo sulla presenza del team, ma anche sulle figure che finanziano e permettono la partecipazione della squadra. Tra queste spicca Sylvan Adams, imprenditore multimilionario israelo-canadese e proprietario del gruppo. Adams, che ha più volte dichiarato con orgoglio di essere sionista, è una figura vicina al premier israeliano Benjamin Netanyahu e tra i principali fautori delle politiche di softpower dello stato israeliano.

Se già durante lo svolgimento delle prime tappe nel Paese Basco la resistenza popolare aveva conseguito comunicare messaggi di sostegno alla Palestina con scritte sulla strada o attraverso l’incursione di manifestanti con bandiere palestinesi e striscioni, è durante lo svolgimento della tappa di Bilbao che la protesta ha ottenuto un risultato straordinario. Un migliaio di persone, infatti, si è radunato per le strade della città basca con l’intenzione di mostrare la propria contrarietà verso il team israeliano; la moltitudine di persone è stata tale che l’organizzazione dell’evento, quando mancavano solo venti chilometri alla fine della corsa, ha deciso di anticipare l’arrivo di tre chilometri rispetto alla meta prestabilita e lasciare così la tappa straordinariamente senza un vincitore.

Protesta anti-Israele nei pressi di una tappa de La Vuelta a España contro il genocidio e la partecipazione degli atleti israeliani alla competizione

L’occasione ha chiaramente portato a delle conseguenze: lo stesso ente organizzatore della corsa, insieme ai rappresentanti delle squadre e il sindacato dei ciclisti ha discusso a lungo sulla partecipazione della squadra israeliana. Se da un lato le motivazioni dietro all’esclusione del team possono essere motivate da ragioni di sicurezza degli atleti e dei tifosi, dall’altro indubbiamente una risposta sociale così grande non può far altro che porre sotto i riflettori una riflessione di carattere prettamente etico. Nonostante ciò, il direttore tecnico della gara, Kiko García, ha affermato che la decisione non può spettare all’organizzazione, bensì alla squadra israeliana, e che pertanto invita il team a «rendersi conto che la sua presenza non facilita la sicurezza di tutti gli altri». Se la squadra israeliana ha deciso di rimuovere la scritta “Israel” dalle maglie della squadra, per cercare di garantire la sicurezza dei propri ciclisti, la Unione Ciclistica Internazionale (UCI), principale organismo responsabile della partecipazione del team israeliano, sembra voler continuare a guardare da un’altra parte.

Il clamore mediatico scaturito dalle proteste è deflagrato alimentando il livello d’allerta da parte dell’organizzazione e delle istituzioni per le proteste previste per le tappe successive. Mentre i mezzi di comunicazione hanno iniziato ad interessarsi alle manifestazioni che si sono susseguite nei giorni seguenti, martedì 9 settembre, nella seconda tappa de La Vuelta in Galizia, intorno alla meta situata nella città di Mos la polizia ha provato a fermare con la violenza i manifestanti radunati per l’occasione.

Durante tutta la giornata si sono svolte vari cortei in più punti interessati dallo svolgimento della gara: nelle località di Poio, Arcade, Soutomaior e Baiona le associazioni propalestinesi hanno organizzato varie manifestazioni lungo il tragitto percorso dai ciclisti, per poi darsi appuntamento intorno alle 16.30 vicino al traguardo per sorprendere l’arrivo degli atleti, previsto per le 17.45. 

Nel frattempo, l’organizzazione aveva già deciso di anticipare la meta di tre chilometri, come quanto avvenuto nella tappa bilbaina, anche se in questo caso eleggendo un vincitore. Nonostante ciò, decine di agenti in assetto antisommossa della Policia Nacional e della Guardia Civil hanno raggiunto le migliaia di manifestanti con l’intenzione di liberare il passaggio (nonostante fosse già nota la decisione di non far percorrere ai ciclisti la meta finale). 

Rapidamente gli agenti hanno iniziato a caricare le persone radunate per la protesta, le quali, nonostante le manganellate e le decine di arresti, hanno creato una catena umana e sono riusciti a far retrocedere, e successivamente allontanare, le forze dell’ordine.

Le proteste segnano un momento di climax per i movimenti impegnati contro il genocidio in corso a Gaza: i due attacchi in acque tunisine alle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, l’invasione delle IDF del nord della città di Gaza, l’attacco israeliano alla delegazione di Hamas in Qatar e le misure insufficienti annunciate dal presidente spagnolo Pedro Sánchez contro il genocidio stanno rapidamente alimentando il fuoco della protesta.

L’attenzione mediatica adesso è posta sulle tappe finali dell’evento, che si terranno nella Comunità di Madrid. Numerose associazioni hanno già organizzato varie manifestazioni per impedire lo svolgimento dell’ultima tappa, che si chiuderà domenica 14 settembre nella capitale spagnola. In merito alle proteste le reazioni non si sono fatte attendere: lo stesso vincitore della tappa galiziana, il danese Jonas Vingegaard, si è pronunciato affermando che queste proteste «avvengono per una ragione, quello che sta succedendo è terribile». Alcuni esponenti della politica basca, tra cui Arnaldo Otegi, coordinatore generale del partito indipendentista Euskal Herria Bildu ed ex portavoce del braccio politico di ETA, Batasuna, ha dichiarato che «il popolo basco ha dimostrato ancora una volta di essere un referente su scala mondiale della lotta per i diritti, la solidarietà e la libertà di tutti i popoli». Diametralmente opposto è il parere del sindaco di Madrid, José Luis Almeida, figura notoriamente vicina a Israele, che ha assicurato lo svolgimento della gara nella capitale e ha promesso «tolleranza zero verso i disturbi e gli incidenti violenti».

Ancora una volta le proteste in Spagna fanno sentire il loro dissenso contro la partecipazione di Israele negli eventi culturali e sportivi. Mentre in questi giorni le squadre israeliane continuano a competere indisturbatamente nel campionato europeo di basket e nelle qualificazioni dei mondiali di calcio, l’ottantesima edizione della gara ciclistica spagnola sta mettendo in evidenza il potere della protesta. Il 14 settembre si svolgerà la tappa finale de La Vuelta, ma questa volta non si parlerà soltanto della squadra vincitrice.

Avatar photo

Armando Negro

Laureato in Lingue e Letterature straniere, specializzato in didattiche innovative e contesti indipendentisti. Corrispondente da Barcellona, per L’Indipendente si occupa di politica spagnola, lotte sociali e questioni indipendentiste.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Articoli correlati

1 commento

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

+ visti