Dopo giorni in cui le principali testate italiane e internazionali hanno rilanciato con certezza granitica la notizia di interferenze al sistema GPS del volo che trasportava Ursula von der Leyen verso Sofia, parlando di una manovra di sabotaggio condotta dalla Russia, arriva la smentita da parte delle autorità della Bulgaria (nazione in cui l’aero è atterrato) e la rettifica della Commissione europea, che precisa di non aver «mai detto» che si fosse trattato di «un attacco mirato». L’episodio era rimbalzato sui media ed era stato descritto come l’ennesima dimostrazione della volontà del Cremlino di destabilizzare l’Europa e di intimidire la presidente della Commissione. Come avevamo già analizzato, però, la notizia appariva fragile sin dalle prime ore, mancando verifiche ufficiali o prove tecniche a supporto del sabotaggio. Inoltre, Flightradar24, piattaforma che monitora i voli civili e militari in tempo reale, aveva precisato che il transponder dell’aereo aveva sempre trasmesso un valore NIC buono, cioè una qualità costante del segnale GPS dal decollo fino all’atterraggio. In altre parole, non si era verificata alcuna interruzione tale da compromettere la navigazione. Un’informazione cruciale, che contraddice la ricostruzione del Financial Times, secondo cui l’aereo avrebbe atteso oltre un’ora prima di atterrare ricorrendo a mappe cartacee, ma che è stata ampiamente ignorata dai media che avevano già confezionato la narrazione dell’attacco russo.
A riportare ordine è stata ieri la Bulgaria stessa, con una comunicazione ufficiale che ha tolto ogni dubbio: il primo ministro Rosen Zhelyazkov ha dichiarato in Parlamento che l’aereo di von der Leyen non ha subito «né interferenze né disturbi prolungati» e ha aggiunto: «Non c’è bisogno di indagare sulla situazione, perché questi disordini non sono né minacce ibride né minacce informatiche». Anche il vicepremier e ministro dei Trasporti, Grozdan Karadjov, in un’intervista al canale bTV, ha negato che Sofia abbia trasmesso a Bruxelles informazioni che facessero riferimento a un coinvolgimento russo. Karadjov ha spiegato che le autorità dell’aviazione civile hanno inviato all’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Easa) il verbale della comunicazione tra il pilota e la torre di controllo, in cui si parla soltanto di «piccoli problemi» con il segnale GPS, senza alcun riferimento a interferenze di matrice russa. Il ministro dell’Interno Daniel Mitov ha specificato che «Il dipartimento per la criminalità informatica del Servizio per la lotta contro la criminalità organizzata è stato incaricato di verificare se si trattasse di un attacco informatico. Possiamo affermare categoricamente che non è così». Alla smentita della Bulgaria è seguita la rettifica della Commissione europea che, sconfessata da Sofia, è stata costretta a ridimensionare l’accaduto tramite la portavoce Arianna Podestà: «Non abbiamo mai detto che l’interferenza al segnale GPS riscontrata dall’aereo sul quale volava la presidente Ursula von der Leyen in Bulgaria sia stata espressamente contro di lei». Eppure, in conferenza stampa, la portavoce capo della Commissione europea Paula Pinho aveva confermato le interferenze al GPS e aveva spiegato che il velivolo era atterrato in sicurezza, avvalorando quanto scritto in precedenza dal Financial Times.
La dinamica non è nuova: negli ultimi anni, l’informazione mainstream ha spesso privilegiato la costruzione di un racconto polarizzato, sacrificando il rigore giornalistico in nome della narrazione politica. L’idea di fondo è che Mosca debba essere indicata come responsabile a prescindere, anche quando mancano riscontri. Questo passaggio evidenzia quanto la dinamica comunicativa sia spesso più rilevante della verità fattuale. Prima vengono le accuse, rilanciate con titoli e commenti drammatici; solo in un secondo momento, quando la notizia ha già fatto il giro del mondo, arrivano – quando arrivano – le precisazioni, che però ottengono meno visibilità e raramente vengono enfatizzate con la stessa forza. Nel momento in cui un fatto viene presentato come “atto ostile” di Mosca, esso consolida una cornice interpretativa già sedimentata: quella della Russia come minaccia onnipresente, capace di infiltrarsi ovunque, anche nei cieli europei. Che poi la notizia si riveli infondata passa in secondo piano. Il risultato è che nell’immaginario collettivo resta l’associazione immediata: Russia uguale pericolo. Questa modalità non riguarda solo la vicenda del volo di von der Leyen. È un paradigma già visto con altre storie, in cui ogni episodio diventa il tassello di una narrazione che costruisce un nemico assoluto, mentre l’assenza di riscontri viene relegata a dettaglio secondario. È il segno di un giornalismo che corre più veloce della realtà e che, nel tentativo di rafforzare la narrazione politica dominante, rischia di perdere la sua funzione più importante: raccontare i fatti, non fabbricarli.