domenica 20 Luglio 2025

In 425 Comuni italiani non esiste più nemmeno un negozio di alimentari

425 Comuni italiani, dove in totale abitano 170mila persone, non hanno alcun negozio di generi alimentari sul proprio territorio. 206 Comuni sono invece privi di qualsiasi attività di commercio al dettaglio. Soltanto il 44% della popolazione italiana può accedere a un panificio entro 15 minuti, il 35% a una pescheria, il 60% a un fruttivendolo. A fotografare lo stato di salute della distribuzione dei servizi commerciali essenziali in Italia è Unioncamere che, con l’ausilio dei dati elaborati dal Centro studi Tagliacarne, ha restituito l’immagine di un Paese diseguale, diviso tra il sovraffollamento e il turismo di massa dei grandi centri e lo spopolamento delle aree interne. Una situazione con implicazioni dirette soprattutto per la popolazione anziana, le famiglie prive di automobile e le persone fragili che abitano nei piccoli Comuni sempre più sprovvisti dei servizi essenziali.

Il tessuto urbano italiano riflette la sua storia fatta di divisioni e realtà politiche frammentate, di cui l’esperienza comunale sorta nel XIII secolo è simbolo. Nel nostro Paese si contano 7896 Comuni. Di questi ben 5523 registrano un massimo di 5mila residenti (i cosiddetti piccoli Comuni), per un totale di quasi 10 milioni di abitanti che popolano quindi le aree interne e non le grandi città, da cui per definizione distano. Qui Unioncamere ha fotografato un accesso disomogeneo ai servizi commerciali essenziali. Nei piccoli Comuni, si registrano 9,24 negozi ogni 1000 abitanti. Si tratta del 12,8% in meno rispetto alla media nazionale, pari a 10,42 negozi ogni 1000 abitanti. Le medie nascondono i casi estremi, come i 206 Comuni (205 dei quali con meno di mille residenti) privi di qualsiasi esercizio di commercio al dettaglio, per un coinvolgimento di oltre 51mila persone. In 170mila vivono invece in centri abitati, 425 in tutto, privi di esercizi alimentari. Sono 1124 i Comuni — con una popolazione complessiva di 630mila abitanti — dove è presente al massimo un’attività commerciale alimentare.

In tutti questi casi, l’indice di vecchiaia è nettamente superiore alla media nazionale. L’invecchiamento non è però l’unico fattore che incide sull’evoluzione del tessuto urbano italiano. Va tenuto conto ad esempio delle esigenze didattiche e lavorative che portano a trasferirsi dai centri minori spesso senza farvi ritorno. Pesano anche le politiche pubbliche inefficaci o controproducenti, incapaci di invertire la rotta dello spopolamento e del declino. Di recente ha fatto discutere il Piano Strategico Nazionale Aree Interne (PSNAI) 2021-2027 elaborato dal governo Meloni. Nel documento, che dovrebbe stabilire una gestione organica delle risorse per le aree più distanti dai servizi essenziali, si legge che alcune di queste «non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento». Qualche giorno dopo, l’esecutivo ha annunciato i tagli delle risorse destinate alle province per la rete stradale, nonostante la sua centralità nel collegamento e quindi nella sopravvivenza dei piccoli centri urbani italiani.

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Salvatore Toscano

Laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, per L’Indipendente si occupa di politica, diritti e movimenti. Si dedica al giornalismo dopo aver compreso l’importanza della penna come strumento di denuncia sociale. Ha vinto il concorso giovanile Marudo X: i buoni perché della politica.

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1 commento

  1. Così si risolve il problema dell’obesità 😂🤣😂 a parte scherzi con 3 mq di piantine in vaso per l’orto e un po’ di galline, nei paesetti, che bisogno hanno di negozi alimentari, beati loro che mangeranno meno veleni e faranno dispensa una volta alla settimana.

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