Dai giochi agli editor di foto, centinaia di app scaricate centinaia di milioni di volte sono il prodotto di una rete invisibile: quella di ex spie israeliane e membri dell’intelligence militare. Queste applicazioni costituiscono canali opachi che convogliano enormi entrate verso un’economia di occupazione, apartheid e genocidio, complici silenziose di un’ideologia e di una volontà di supremazia e annientamento. Un’inchiesta giornalistica ha infatti mostrato come individui con un passato nell’Unità 8200 dell’intelligence israeliana o nell’esercito riciclino le loro competenze in un’industria tech fiorente. Non si tratta propriamente di una novità: più di una volta abbiamo parlato dei profondi legami e rapporti tra le Big Tech e Israele, così come della porta girevole che mette in comunicazione le grandi aziende tecnologiche con gli apparati di sicurezza e le start-up israeliane, nel settore tecnologico come anche in altri settori ritenuti strategici. Vale la pena però conoscere sempre meglio tutti i fili e tutte le mani che si stringono attorno al popolo palestinese, così come su quelli che lo sostengono.
L’inchiesta riporta come Gal Avidor, fondatore e CEO di ZipoApps, colosso che acquisisce e monetizza app su larga scala, abbia ammesso che tutti i fondatori dell’azienda provengono dall’Unità 8200. App come Collage Maker Photo Editor e Instasquare Photo Editor, con centinaia di milioni di download, convogliano enormi quantità di dati e di profitti. Non a caso, gli utenti si lamentano da tempo delle aggressive politiche di privacy e data mining di ZipoApps: un’app come Simple Gallery è passata da gratuita e open source a un prodotto invasivo con tracker, solo una settimana dopo essere stata acquisita da Zipo.
Ma la lista è lunga. Playtika, quotata al NASDAQ con oltre 2,5 miliardi di dollari di ricavi, è un produttore di app di gioco d’azzardo saldamente invischiato nella macchina da guerra. Fondata da Uri Shahak, figlio dell’ex capo dell’IDF Amnon Lipkin-Shahak, l’azienda ha ammesso che il 14% del suo personale è stato richiamato come riservista per andare a Gaza. Bazaart, un’app di fotoritocco basata sull’IA, è stata fondata da ex ufficiali dell’intelligence dell’IDF, Dror Yaffe e Stas Goferman. Stessa cosa per Facetune di Lightricks, co-fondata da Yaron Inger, veterano dell’Unità 8200. Supersonic di Unity, uno dei maggiori editori di giochi mobile al mondo, che tra i suoi titoli ha un gioco chiamato Conquer Countries, è stata fondata da Nadav Ashkenazy, con un passato nell’IDF.
Crazy Labs, con un valore stimato di circa 1 miliardo di dollari, è un altro produttore di app fondato da membri dell’intelligence e dell’esercito. I suoi titoli più venduti sono Phone Case DIY, Miraculous Ladybug & Cat Noir e Sculpt People. Nir Erez, proveniente dal Mamram, il centro informatico specializzato dell’IDF che forma “guerrieri informatici” e gestisce l’intranet militare per l’attuazione del genocidio, è tra i fondatori di Moovit, l’app di trasporto urbano con quasi un miliardo di utenti. Call App, l’app che scherma le chiamate per lo spam, è un altro prodotto dell’economia militare israeliana, il cui CEO, Amit On, ha passato tre anni nell’Unità 8200. Anche le famose app di navigazione e ride-hailing come Gett e la popolarissima Waze, acquisita da Google per 1,3 miliardi di dollari, sono state fondate da persone formate e provenienti dagli stessi ambienti dell’intelligence israeliana.
L’infiltrazione di queste app nelle nostre vite digitali è profonda e insidiosa. Non solo contribuiscono a finanziare un regime di occupazione e violenza, ma sollevano anche serie questioni sulla privacy. Lo Stato di Israele si serve infatti enormemente della tecnologia, tra intelligenza artificiale, dati biometrici, big data e altro, per attuare i suoi scopi di dominio. Secondo l’autore dell’inchiesta, questa dovrebbe costituire una nuova e cruciale frontiera per il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), al fine di negare supporto a un’economia che dipende dalla militarizzazione e dall’applicazione tecnologica alla sofferenza palestinese.
Al momento, infatti, le app tradizionalmente utilizzate per comprendere quali prodotti ed aziende evitare per non sostenere Israele e il genocidio palestinese vengono scaricate da Google e ricevono finanziamenti attraverso le pubblicità sulla stessa piattaforma – nonostante Google sia tra le aziende da boicottare proprio per il suo sostegno a Israele. Una morsa di non facile soluzione, insomma, ma che non dovrebbe precludere all’azione.