venerdì 6 Giugno 2025

L’Abruzzo vince la battaglia contro le trivelle: nessun risarcimento al colosso petrolifero

L’Italia ha vinto l’arbitrato internazionale intentato dalla società britannica Rockhopper in merito al progetto petrolifero Ombrina Mare, un contestato piano di estrazione di idrocarburi a meno di 10 chilometri dalla costa dei Trabocchi, una delle zone naturalistiche più belle dell’Abruzzo. È stata la stessa compagnia a dare notizia dell’annullamento del risarcimento di 190 milioni di euro che le era stato inizialmente riconosciuto, ribaltando una sentenza che per anni aveva sollevato un acceso dibattito in Italia.

Il giacimento Ombrina Mare, scoperto nel 2007 dalla Mediterranean Oil & Gas (poi acquisita da Rockhopper nel 2014), ha rappresentato uno dei principali fronti di scontro tra interessi fossili e difesa ambientale. Dopo l’acquisizione della licenza di trivellazione da parte di Rockhopper, l’opposizione al progetto è montata rapidamente. Come racconta Enrico Gagliano, fondatore del Movimento No Triv: «Un giorno, nel 2008, abbiamo visto una piccola piattaforma spuntare dalla costa: un abominio. Ci siamo chiesti cosa stesse succedendo, ci siamo uniti, abbiamo iniziato a chiedere alle autorità, ci siamo fatti sentire».

La protesta ha attecchito in fretta, non solo tra le associazioni ambientaliste: i cittadini abruzzesi non potevano tollerare la costruzione di una piattaforma di trivellazione nel cuore di un piccolo paradiso naturale come quello della costa dei Trabocchi.

Le manifestazioni pubbliche sono esplose nel 2013 e nel 2015, con cortei di 40.000 persone a Pescara e 60.000 a Lanciano. Una mobilitazione che ha coinvolto cittadini, comitati civici, amministrazioni locali e operatori dei parchi nazionali. L’ondata di protesta ha portato il Parlamento italiano, nel 2015, a introdurre un divieto di trivellazioni entro le 12 miglia marine dalla costa, decretando la fine del progetto.

Tuttavia, nel 2017 Rockhopper ha deciso di portare il caso davanti a un arbitrato internazionale, sostenendo che la decisione italiana violasse le clausole del Trattato sulla Carta dell’Energia (Energy Charter Treaty), un controverso accordo firmato negli anni ’90 per proteggere gli investimenti nel settore energetico.

Il trattato è stato ampiamente criticato in quanto consente alle aziende fossili di ostacolare le politiche climatiche dei governi. Attraverso il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati (ISDS), le aziende possono citare in giudizio gli Stati in tribunali arbitrali privati, spesso segreti, per compensazioni miliardarie. Questo ha prodotto un “effetto raggelante” sulle politiche ambientali, dissuadendo i governi dall’adottare misure ambiziose per la transizione energetica.

Secondo un’analisi di Investigate Europe, le infrastrutture fossili protette dal Trattato sull’Energia in Unione Europea, Svizzera e Gran Bretagna valgono complessivamente 344,6 miliardi di dollari. Somme che gli Stati potrebbero essere costretti a pagare alle aziende qualora perseguissero politiche climatiche più rigorose. Inoltre, il trattato contiene una “clausola di sopravvivenza” che estende la protezione degli investimenti per 20 anni dopo il ritiro di uno Stato, come nel caso dell’Italia, che si è ritirata nel 2016 ma è stata comunque citata in giudizio da Rockhopper.

La prima decisione arbitrale aveva condannato l’Italia a versare un risarcimento di 190 milioni di euro più interessi alla società britannica. Una cifra che aveva suscitato indignazione tra gli ambientalisti, già critici verso il trattato stesso, giudicato obsoleto e pericolosamente favorevole agli interessi delle grandi compagnie fossili. Non a caso, l’Italia si era ritirata dal trattato alcuni anni fa, seguita recentemente anche dall’Unione Europea.

Ma la storia ha avuto un epilogo diverso. L’Italia ha presentato ricorso attraverso il Trattato Internazionale per il Regolamento delle Controversie relative agli Investimenti (ICSID), ottenendo infine l’annullamento del risarcimento.

Grande soddisfazione è stata espressa dal Forum H2O, uno dei promotori delle mobilitazioni. «Il popolo abruzzese aveva sfidato petrolieri e governo, e poi vinto. Aveva ragione a combattere contro la crisi climatica, per la tutela dell’Adriatico e contro il folle Trattato dell’Energia», ha dichiarato Augusto De Sanctis, portavoce del Forum. «Il clima non si difende scavando nuovi pozzi in un mare chiuso come l’Adriatico. Avevamo ragione allora, e questa sentenza lo dimostra: serve abbandonare subito tutte le fonti fossili».

Con questa decisione si chiude uno dei casi più emblematici della lotta ambientale in Italia, che ha visto prevalere la volontà popolare e la tutela del territorio contro gli interessi economici di breve periodo. Una lezione importante, nel pieno della crisi climatica globale.

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Fulvio Zappatore

Nato a Cesena nel 1984, muove i primi passi nel giornalismo scrivendo articoli per la stampa locale. Dopo la laurea in Storia contemporanea diventa professionista e inizia a dedicarsi anche al giornalismo televisivo. Collabora a L’Indipendente come corrispondente dall’Emilia-Romagna.

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