giovedì 29 Maggio 2025

Allevamenti di salmoni in Scozia sotto accusa: mortalità altissima e sofferenze evitabili

Un’inchiesta giornalistica ha rivelato le gravi condizioni degli allevamenti di salmoni in Scozia. Le immagini mostrano pesci mangiati vivi dai pidocchi, con code amputate e occhi esplosi. Un pesce su quattro morirebbe prima del macello, a causa di malattie, riscaldamento delle acque e parassiti. L’indagine costituisce il prosieguo di una precedente inchiesta, che aveva già messo nel mirino la Food From the World, azienda di salmoni legata alla deputata animalista Michela Brambilla, già sanzionata dall’ATS Brianza perché priva della tracciabilità del prodotto.

L’inchiesta, oltre alle gravi condizioni in cui versano i salmoni allevati, ha infatti evidenziato un legame tra la Brambilla e l’azienda specializzata nel commercio di salmoni e gamberetti aperta nel 2022. La compagnia Food From the World avrebbe diverse collaborazioni molto vicine a Brambilla, tra cui una collaborazione con IoVeg, azienda di prodotti vegani di proprietà della deputata di Noi Moderati. Una possibilità che mette a nudo le contraddizioni tra etica proclamata e pratiche industriali, aprendo nuovi interrogativi su coerenza e responsabilità nel mondo dell’attivismo animalista. Ma le contraddizioni non finiscono qui. Mentre alcuni parlamentari scozzesi hanno definito gli impianti sotto inchiesta “tecnologicamente avanzati”, grazie a sistemi di sorveglianza per monitorare il comportamento dei pesci, le associazioni animaliste offrono un quadro ben diverso. Abigail Penny, direttrice esecutiva di Animal Equality UK, ha denunciato condizioni di vita incompatibili con ogni forma di benessere animale. Le ricadute poi non si limitano agli animali. Report ha segnalato ancora una volta l’impatto ambientale dell’industria del salmone. Le sostanze chimiche impiegate per combattere i parassiti e i residui di mangime si depositano sui fondali, danneggiando in modo irreversibile gli ecosistemi marini. La Scozia è oggi il terzo produttore mondiale di salmone atlantico da allevamento, con esportazioni in oltre 50 Paesi, tra cui l’Italia. Eppure, nonostante le ripetute denunce delle associazioni animaliste, le problematiche sembrano immutate nel tempo: pesci costretti a vivere per due anni in gabbie sottomarine sovraffollate, con tassi di mortalità che possono arrivare fino al 25%.

Un quadro critico che trova un analogo riscontro anche in Islanda, dove tra novembre 2024 e febbraio 2025 quasi 1,2 milioni di salmoni sono morti negli allevamenti a rete aperta di Kaldvík, trasformando una filiera in espansione in uno dei casi più gravi nella storia recente dell’acquacoltura europea. Le ispezioni condotte dall’Autorità islandese per la sicurezza alimentare e veterinaria hanno rilevato sovraffollamento estremo, condizioni di trasporto insostenibili e acque marine con livelli di ossigeno insufficienti, spingendo la polizia ad avviare un’indagine per negligenza e maltrattamento animale. La denuncia è partita da operatori e attivisti che hanno documentato reti colme e migliaia di cadaveri galleggianti, denunciando un sistema incapace di rispettare i minimi standard di benessere. Il disastro ha scatenato un’ondata di indignazione pubblica e una causa legale senza precedenti: i proprietari dei fiumi, sostenuti dall’Icelandic Wildlife Fund e finanziati anche dall’artista Björk, hanno chiesto di annullare le autorizzazioni per gli allevamenti nei fiordi islandesi, denunciando il rischio di contaminazione genetica del salmone selvatico a causa delle frequenti fughe dalle gabbie in mare aperto. Già nel 2023, migliaia di esemplari d’allevamento erano finiti nei fiumi islandesi, minacciando l’integrità genetica di popolazioni adattate da millenni. Il rischio è che l’acquacoltura intensiva, tra cambiamento climatico e inquinamento, trasformi una specie selvatica in un ibrido fragile. A questo si aggiunge una crescente opposizione sociale: secondo un sondaggio Gallup, oltre il 65% degli islandesi è contrario agli allevamenti in mare e quasi il 60% ne chiede il divieto assoluto. Nell’ultimo anno, più di quattro milioni di pesci sono morti in questi impianti, una cifra 72 volte superiore al numero totale di salmoni selvatici ancora presenti nel Paese. La pressione internazionale ha contribuito ad accendere il dibattito politico. Il Parlamento islandese discuterà entro fine anno una riforma della legge sull’acquacoltura, che punta a introdurre limiti più severi alla densità di carico, il monitoraggio continuo della qualità dell’acqua e il passaggio a impianti a terra o sistemi chiusi.

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Simone Valeri

Laureato in Scienze Ambientali e in Ecobiologia, attualmente frequenta il Dottorato in Biologia ambientale ed evoluzionistica della Sapienza. Oltre alle attività di ricerca, si dedica al giornalismo ambientale e alla divulgazione scientifica.

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