giovedì 15 Maggio 2025

Vaccini Covid, Tribunale UE annulla il divieto di accesso agli sms tra von der Leyen e Pfizer

La Commissione europea ha sbagliato a rifiutare la pubblicazione dei messaggi di testo tra Ursula von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, nel pieno della pandemia di Covid-19. È quanto ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, accogliendo il ricorso della giornalista del New York Times, Matina Stevis-Gridneff, che chiedeva accesso agli SMS scambiati tra von der Leyen e Bourla tra il 1° gennaio 2021 e l’11 maggio 2022. La Corte UE ha così annullato la decisione della Commissione di negare l’accesso ai messaggi di testo. L’istituzione aveva respinto la richiesta affermando di non essere in possesso dei documenti richiesti. L’intento della giornalista del New York Times era quello di indagare sulle accuse di scarsa trasparenza nelle trattative per l’accordo multimiliardario sui vaccini stipulato tra Pfizer e l’UE.

Bruxelles dovrà ora chiarire perché quei messaggi non siano stati conservati, dove siano finiti e se effettivamente non contengano informazioni rilevanti per l’interesse pubblico. Il contenuto di tali scambi non è mai stato reso pubblico, ma è stato descritto come il “cuore pulsante” delle trattative che portarono alla firma dell’accordo per la fornitura di 1,8 miliardi di dosi di vaccino fino al 2023, per un valore totale di 35 miliardi di euro.

L’indagine era stata inizialmente avviata dalla magistratura belga all’inizio del 2023, a seguito di una denuncia presentata dal lobbista locale Frédéric Baldan, alla quale si erano successivamente uniti i governi ungherese e polacco. Parallelamente, anche il New York Times ha intrapreso un’azione legale contro la Commissione, dopo che questa si era rifiutata di rivelare il contenuto degli SMS, sostenendo di non averne conservato traccia e, addirittura, di non poterne confermare l’esistenza.

Il verdetto della Corte è ora chiaro: la Commissione ha fallito nel tentativo di giustificare la mancata conservazione e divulgazione di documenti fondamentali per comprendere come sia stato negoziato il più colossale accordo vaccinale nella storia europea. La Commissione si è fin da subito rifiutata di rendere pubblici questi messaggi, sostenendo che non costituissero documenti ufficiali e che, pertanto, non rientrassero negli obblighi di pubblicazione previsti dalle norme europee sulla trasparenza. Una tesi respinta con fermezza dalla Corte: se un messaggio di testo contiene informazioni rilevanti per un processo decisionale pubblico, allora è un documento, indipendentemente dal mezzo con cui è trasmesso.

La sentenza specifica che «la Commissione non ha neppure spiegato in modo plausibile perché ha ritenuto che i messaggi di testo scambiati nell’ambito dell’acquisto di vaccini contro il Covid-19 non contenessero informazioni sostanziali o che richiedessero un monitoraggio tale da rendere necessaria la loro conservazione».

Nel suo dispositivo, il Tribunale ha sottolineato come la Commissione non abbia fornito spiegazioni “plausibili” per giustificare l’assenza di tali documenti nei propri archivi. Anzi, la Corte ha rimproverato l’istituzione per non aver nemmeno cercato seriamente i messaggi, limitandosi ad affermare di non possederli. Una difesa ritenuta non credibile né sufficiente, persino “contraddittoria”: «La Commissione non può semplicemente affermare di non possedere i documenti richiesti, ma deve fornire spiegazioni credibili che consentano al pubblico e al Tribunale di comprendere perché tali documenti non possano essere trovati», si legge nella sentenza. E anche qualora il loro reperimento fosse stato effettivamente impossibile, «la Commissione non ha sufficientemente chiarito se i messaggi di testo richiesti fossero stati eliminati e, in tal caso, se l’eliminazione fosse stata effettuata volontariamente o automaticamente, o se il telefono cellulare della presidente fosse nel frattempo stato sostituito».

Immediata la risposta della Commissione, che in una nota ha assicurato che «esaminerà attentamente la decisione del Tribunale e deciderà i passi successivi. A tal fine, adotterà una nuova decisione» con «una spiegazione più dettagliata».

Una condanna non solo giuridica, ma anche politica, che mina la credibilità di Ursula von der Leyen, il cui modus operandi, improntato all’opacità, è ormai noto. Durante il suo mandato come ministra della Difesa in Germania, fu coinvolta in uno scandalo legato all’assegnazione sospetta di consulenze milionarie, senza adeguate gare pubbliche, e ora tale stile sta emergendo anche negli ultimi mesi in una fase politica delicata per l’Eurozona. Von der Leyen si muove con crescente autonomia e disinvoltura su dossier strategici che spaziano dalla politica industriale alla difesa.

L’immagine che emerge è quella di una leader che agisce dietro le quinte, bypassando i canali istituzionali per rafforzare il proprio potere decisionale. Tuttavia, nel caso “Pfizergate”, la posta in gioco è molto più alta: si tratta di miliardi di euro di denaro pubblico, della salute di centinaia di milioni di cittadini e, soprattutto, della fiducia nei meccanismi democratici europei.

La decisione della Corte UE, pertanto, non investe soltanto il profilo istituzionale della Commissione, ma rimette al centro il nodo irrisolto del rapporto tra discrezionalità politica e trasparenza democratica. Questa sentenza rappresenta un monito per tutte le istituzioni europee e apre un dibattito cruciale sul loro ruolo, sulla loro trasparenza e sul diritto dei cittadini a conoscere i processi decisionali: se i decisori politici trattano in segreto questioni di interesse pubblico, chi li controllerà?

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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