Lo sgombero di Askatasuna, a Torino, è stato raccontato come un atto dovuto. Il potere che ripristina la legalità, chiude una zona franca, rimette ordine. Giorgia Meloni continua a rivendicarlo: in uno Stato di diritto non ci devono essere eccezioni né spazi fuori dalle regole. Sembra una dichiarazione ovvia e politicamente neutra, di semplice buon senso. Ma non è così. Perché la legalità, così come viene rappresentata, non è un sinonimo di giustizia, ma semplice obbedienza a un ordine dato. E quando “ordine” diventa la parola chiave di un governo, la legalità smette di essere un mezzo e diventa un fine: non ciò che serve a proteggere i diritti, ma ciò che traccia il confine tra lecito e illecito in modo funzionale al potere.
Non è un’esclusiva della destra di governo. Negli ultimi anni tutte le forze politiche, con poche eccezioni, hanno contribuito a trasformare la legalità in un valore “in sé”, come se fosse sempre e comunque un bene. Ma la storia è piena di legalità ingiuste: leggi che hanno escluso, segregato, represso e criminalizzato. Il punto non è venerare la legge: il punto è perseguire la giustizia. E “legge” e “giustizia” non sono sinonimi, anzi alcune volte diventano contrari. Non è un caso che molti pensatori democratici hanno versato litri di inchiostro sul tema, anche quel noto violento dei centri sociali del Mahatma Gandhi lo affermava chiaramente: «Se la legge opprime, infrangerla è una risposta etica».
Askatasuna era una realtà scomoda da ben prima del cosiddetto assalto alla sede de La Stampa. Lo era come tutti quegli spazi collettivi, al di fuori della legge, agiscono per ideali di giustizia sociale. Nato ormai quasi 30 anni fa portando via spazio al nulla e alla polvere (l’immobile che occuparono è di proprietà comunale e giaceva in stato di totale abbandono dal lontano 1981), era diventato una presenza preziosa per tanti nel quartiere, specie per coloro che avevano poco. Askatasuna era un punto d’appoggio per campagne contro la speculazione e per vertenze sul territorio, un nodo per le mobilitazioni No Tav, ma anche un presidio di welfare dal basso: sport popolare, iniziative culturali, spazi di mutualismo, una rete di pratiche che intercetta bisogni reali del quartiere e li organizza fuori dai canali istituzionali. È questo, prima ancora delle barricate, a dar fastidio alle autorità: la capacità di fare comunità e di costruire potere sociale senza chiedere permesso. Non a caso, negli anni, su quell’esperienza è stata proiettata una narrazione punitiva arrivata, con la complicità della magistratura torinese, fino a contestazioni pesantissime e inconsistenti, come l’accusa di “associazione a delinquere” con cui venne inscenato un processo farlocco (e infatti finito nel nulla) contro alcuni suoi militanti, come se fossero una banda di rapinatori.
E mentre lo Stato “ripristina la legge”, la maggioranza di governo agisce in Parlamento per renderla sempre più dura verso chiunque alzi la testa. Nuovi reati e procedure accelerate contro le occupazioni e le lotte studentesche, stretta su blocchi stradali e picchetti operai, norme che colpiscono le azioni dimostrative degli attivisti ambientali, pacchetti sicurezza che allargano l’area del penalmente rilevante attorno al dissenso organizzato. La legalità come arma, non per risolvere i problemi sociali, ma per colpire chiunque la contesti. Ma non è tutto.
Poi c’è l’altra faccia di questa maggioranza, quella che improvvisamente sa diventare permissiva e garantista verso politici ed affaristi. Quella che approva l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, la riduzione di spazi di controllo, le riforme che rendono più difficile accertare responsabilità nei palazzi e nei consigli d’amministrazione: qui la severità si fa improvvisamente prudente, la mano pesante diventa leggera, e l’ansia di “punire” evapora. Non è un paradosso, ma il frutto un disegno politico coerente. Il risultato è davanti a noi: una nuova legalità che si costruisce pezzo dopo pezzo, spietata con chi si oppone, permissiva con chi occupa le stanze del potere politico ed economico.
Se questa è la legalità, siete così sicuri che sia un valore da difendere sempre e comunque?




