«Annunciamo lo sciopero generale a oltranza e chiediamo al popolo boliviano di unirsi alla protesta». Queste le parole di Andrés Paye, segretario della Federazione Sindacale dei Minatori della Bolivia (FSTMB), con cui ha dato inizio alla mobilitazione del settore. Poco dopo si è aggiunta anche la Centrale Operaia Boliviana (COB), il principale sindacato del Paese, che riunisce al suo interno diverse sigle, tra cui la FSTMB. I lavoratori si sono schierati contro il presidente Rodrigo Paz Pereira, la cui elezione, avvenuta lo scorso ottobre, ha interrotto 20 anni di socialismo boliviano, segnando la svolta a destra per il Paese. A finire nel mirino dei lavoratori sono state le misure approvate dal nuovo governo — in particolare il decreto supremo 5503 — accusate di favorire gruppi privilegiati e lobby a discapito della maggioranza della popolazione.
«Vogliamo dire alla comunità internazionale che tutto ciò che accadrà a partire da ora sarà responsabilità del governo», ha dichiarato Andrés Paye al culmine del discorso che ha dato inizio allo sciopero dei minatori boliviani, un settore chiave per l’economia del Paese. Poche ore dopo, la protesta è stata rilanciata anche dalla Centrale Operaia Boliviana, rinsaldando il carattere generale dello sciopero. Tra giovedì e venerdì scorso si sono registrati i primi disservizi, con diverse città boliviane rimaste senza trasporto pubblico. Contestualmente, i lavoratori hanno effettuato dei blocchi autostradali. Contromisure che i sindacati minacciano di riproporre fino all’abrogazione delle ultime leggi approvate in materia economica dal governo di Rodrigo Paz Pereira. La Federazione Sindacale dei Minatori della Bolivia rilancia, facendo sapere che il suo sciopero continuerà fino alle dimissioni del nuovo presidente.
Per ridurre il deficit fiscale, il decreto supremo 5503 ha eliminato la sovvenzione statale sui carburanti, facendone raddoppiare il prezzo per i consumatori finali. Ciò avrà conseguenze sul lungo termine, riguardando soprattutto trasporti e beni di prima necessità, per un generale aumento del costo della vita. Nella capitale La Paz, i costi del trasporto pubblico dovrebbero ad esempio crescere del 100% nei prossimi giorni.
I sindacati hanno bollato la riforma economica come un attacco alla classe lavoratrice, a tutto vantaggio di poche oligarchie industriali, a partire da quelle del carburante. Il risentimento popolare è alimentato dall’eliminazione delle tasse ai grandi patrimoni e alle transazioni finanziarie, decisa dal governo pochi giorni fa. Lo schema realizzato dal neopresidente boliviano Paz si inquadra nei canoni neoliberisti: di fronte alle crisi economiche si procede con i tagli alla spesa sociale, non curandosi delle conseguenze per le classi meno abbienti — lavoratori, contadini, poveri — su cui viene anzi fatto ricadere tutto il peso della crisi.




